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— Sembra vuoto — disse Cern.

— Niente fumo — aggiunse Gulta.

"Le finestre assomigliano a occhi" pensò Esk. Ma lo tenne per sé.

— È soltanto la casa della Nonnina — disse ad alta voce. — È tutto a posto.

Il senso di vuoto che veniva dal cottage era così forte che i bambini lo avvertivano. Le finestre sembravano degli occhi, nere e minacciose contro il biancore della neve. E nelle Ramtop mai nessuno lasciava spegnere il fuoco d’inverno. Era una questione di orgoglio.

Esk avrebbe voluto dire "Andiamo a casa". Ma sapeva che, se lo avesse fatto, i fratelli sarebbero partiti di corsa. Disse invece: — Mamma dice che appesa a un gancio del gabinetto c’è una chiave. — Un’alternativa non migliore dell’altra. Anche un comune gabinetto sconosciuto poteva contenere delle minacce come nidi di vespe, grossi ragni, cose misteriose che frusciavano nel tetto. E, durante un inverno particolarmente rigido, un piccolo orso ibernato che aveva causato un’acuta costipazione nella famiglia finché non era stato persuaso a svernare nel fienile… Il gabinetto di una strega poteva contenere qualsiasi cosa.

— Andrò a vedere, che ne dite? — domandò.

— Se vuoi — rispose Gulta con tono indifferente, che quasi riuscì a nascondere il suo sollievo.

In realtà, quando la piccola arrivò ad aprire la porta contro la neve che ci si era ammucchiata davanti, il locale era vuoto e pulito e non conteneva nulla di più sinistro di un vecchio almanacco o, più precisamente, la metà di un vecchio almanacco appeso a un gancio. La Nonnina nutriva una obiezione filosofica alla lettura. Ma sarebbe stata l’ultima a sostenere che i libri, specie quelli con le pagine sottili, non tornassero utili.

Vicino alla porta, la chiave divideva un ripiano con una crisalide e un mozzicone di candela. Esk la prese con precauzione, per non disturbare la crisalide, e tornò svelta dai fratelli.

Era inutile provare la porta principale sulla facciata della casa. A Cattivo Somaro le porte del genere le usavano solo le spose e i cadaveri, e la Nonnina aveva sempre evitato di diventare l’una cosa o l’altra. Sul retro la neve si era ammucchiata davanti alla porta e nessuno aveva rotto il ghiaccio sul cassone dell’acqua.

Nel tempo che ci volle per scavarsi un passaggio fino alla porta e convincere la chiave a girare, la luce ormai si stava dileguando dal cielo.

All’interno, la grande cucina era scura e fredda e odorava soltanto di neve. La cucina era sempre scura, ma loro erano abituati a vedere un bel fuoco nell’ampio camino e ad annusare lo spesso vapore di qualunque cosa lei stesse bollendo in quel momento. E che a volte dava il mal di testa o faceva avere delle visioni.

I tre bambini vagarono qua e là, incerti, chiamando, finché Esk non decise che non potevano più posporre di salire di sopra. Il rumore sordo del nottolino sulla porta della scaletta risuonò parecchio più forte del normale.

La Nonnina era stesa sul letto, con le braccia conserte sul petto. Il vento aveva spalancato la finestrella e aveva spinto la neve morbida sul pavimento e sopra il letto.

Esk fissava la trapunta variopinta sotto il corpo della vecchia, perché a volte un piccolo dettaglio poteva espandersi e riempire tutto il mondo. Udì appena Cern che si era messo a piangere. Stranamente, in quel momento ricordava il padre che aveva confezionato la trapunta due inverni prima, quando la neve era stata quasi altrettanto abbondante e nella fucina c’era stato poco lavoro. E come lui avesse usato ogni tipo di stracci che erano arrivati a Cattivo Somaro da tutto il mondo: seta, cuoio, cotone, lana. E, naturalmente, dato che lui non era molto bravo nel cucito, ne era risultato uno strano oggetto informe e pieno di bozzi, più simile a una tartaruga piatta che a una trapunta. E la madre aveva generosamente deciso di regalarla alla Nonnina la scorsa Notte della Posta al Cinghiale? E…

— È morta? — chiese Gulta, come se Esk fosse una esperta in materia.

La piccola alzò gli occhi su Nonnina Weatherwax. Il viso della vecchia era affilato e grigio. Era quello l’aspetto di una persona morta? Il suo petto non avrebbe dovuto alzarsi e abbassarsi?

Gulta si riprese.

— Dovremmo andare a cercare qualcuno e dovremmo partire ora perché tra un minuto farà buio — dichiarò. — Ma Cern rimarrà qui.

Il fratello lo guardò esterrefatto.

— Per che fare?

— Qualcuno deve rimanere con i morti — spiegò Gulta. — Ti ricordi quando è morto Zio Derghart e il babbo è dovuto andare e rimanere seduto lì tutta la notte con tutte le candele e il resto? Altrimenti arriva un essere cattivo a portarsi via l’anima da… da qualche parte — terminò debolmente. — E dopo la persona ritorna a perseguitarti.

Cern aprì la bocca per rimettersi a piangere. Esk disse in fretta: — Rimarrò io. A me non importa. È soltanto la Nonnina.

Gulta la guardò, sollevato.

— Accendi delle candele o roba del genere — la consigliò. — Credo che si debba fare così. E poi…

Dal davanzale della finestra si udì raspare. Era una cornacchia che ci si era posata e li fissava sospettosa, battendo le palpebre. Gulta gridò e le scagliò contro il cappello. Quella fuggì via, gracchiando con rimprovero, e lui richiuse la finestra.

— L’ho già vista qui intorno. Credo che la Nonnina le dia da mangiare. Le dava — si corresse. — Comunque, torneremo qui con gli altri, non ci metteremo molto. Vieni, Ce.

Scesero rumorosamente le scale. Esk li accompagnò giù e sprangò la porta dietro di loro.

Sopra le montagne il sole era una palla vermiglia e già spuntavano le prime stelle nel cielo.

Esk cercò qua e là nella cucina buia finché non scovò un pezzetto di candela e una scatola con l’esca e l’acciarino. Dopo molti tentativi riuscì ad accendere la candela e la mise sulla tavola, anche se in realtà non illuminava la stanza, ma semplicemente popolava di ombre l’oscurità. Poi trovò la sedia a dondolo della vecchia vicino al camino spento, e ci si sedette ad attendere.

Il tempo passava e non accadeva nulla.

Poi udì bussare alla finestra. Lei prese il mozzicone di candela e sbirciò attraverso gli spessi vetri rotondi.

Un tondo occhio giallo le ricambiò lo sguardo.

La candela sgocciolò e si spense.

La bambina rimase immobile, quasi senza respirare. Sentì bussare di nuovo, poi più nulla. Dopo un breve silenzio, il saliscendi della porta venne scosso rumorosamente.

"Arriva un essere cattivo" aveva detto il fratello.

Indietreggiò a tentoni fin quasi a inciampare sulla sedia a dondolo; la trascinò e la incuneò del suo meglio contro la porta. Con un ultimo rumore sordo, il chiavistello tacque.

Esk rimase in attesa ad ascoltare finché non le sembrò che il silenzio le rombasse nelle orecchie… Poi qualcosa cominciò a battere contro la finestrella del retrocucina, piano ma con insistenza. Dopo un po’ smise. Un momento dopo ricominciò nella camera da letto al piano di sopra… un debole rumore raschiante, un rumore come di artiglio.

Esk capiva che era necessario farsi coraggio, ma in una notte come quella il coraggio durava solo finché una candela rimaneva accesa. Attraversò la cucina scura, con gli occhi ben chiusi, finché arrivò alla porta.

Nel focolare un grosso grumo di fuliggine venne giù con un tonfo. E quando la piccola udì raspare freneticamente in provenienza del camino, tirò il chiavistello, aprì la porta e uscì a precipizio nella notte.

Il freddo era tagliente come la lama di un coltello e la neve si era coperta di una crosta di ghiaccio. Esk non si preoccupava di sapere dove fosse diretta, ma il terrore la spingeva ad arrivarci, ovunque fosse, il più rapidamente possibile.

Nel cottage la cornacchia atterrò pesantemente nel focolare in mezzo alla fuliggine, borbottando irritata tra sé e sé. Si allontanò saltellando nell’ombra e un momento dopo ci fu lo scatto del nottolino della porta che dava sulla scala e un fruscio su per i gradini.

Esk si alzò il più possibile sulla punta dei piedi e tastò con la mano il tronco dell’albero per cercare la tacca. Questa volta ebbe fortuna, ma la traccia segnata dalle incisioni le rivelò che si trovava a quasi due chilometri dal villaggio e che era scappata nella direzione sbagliata.