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Una ragazzina di dodici anni si alzò sorridendo e si girò verso gli altri. — Oh, quando arriveremo — cominciò, con voce dolce e squillante, e gli altri le fecero coro…

Oh, quando arriveremo,

Oh, quando arriveremo a Lisbona,

Le bianche navi ci attenderanno.

Oh, quando arriveremo…

Le nubi si stavano allontanando, pesanti e sfrangiate, sopra il fiume e le colline settentrionali. A sud, una striscia della baia esterna si stendeva argentea e remota. Le gocce dell’ultimo acquazzone cadevano di tanto in tanto dalle fronde dei grandi alberi di lancotone sulla sommità della collina, a est della casa di Southwind; non c’era altro suono. Un mondo silenzioso, un mondo grigio. Luz era sola, sotto gli alberi, e guardava quella terra vuota. Era da molto tempo che non stava da sola. Quando si era avviata verso la collina non sapeva dove stesse andando, cosa stesse cercando. Quel luogo, quel silenzio, quella solitudine. I suoi passi l’avevano portata verso se stessa.

Il suolo era fangoso, le erbe cariche di umidità, ma il poncho che le aveva dato Italia era di stoffa spessa; si sedette sulle soffici foglie cadute, sotto gli alberi, e con le braccia strette intorno alle ginocchia, sotto il poncho, restò immobile a guardare verso ovest, oltre l’ansa del fiume. Rimase così a lungo, senza vedere altro che la terra immobile e il lento muoversi delle nubi e del fiume.

Sola, sola. Era sola. Non aveva avuto tempo di accorgersi che era sola, mentre lavorava con Southwind e assisteva Vera e parlava con Andre e partecipava a poco a poco alla vita di Shantih; aveva collaborato a creare la nuova scuola del paese, perché adesso la scuola della città era chiusa per la gente di Shantih; era stata invitata in questa e in quella casa, da questa e da quella famiglia: invitata e messa a suo agio, perché quella era gente mite e gentile che non conosceva il risentimento e la diffidenza. Soltanto di notte, sul materasso di paglia, nell’oscurità del soppalco, sopraggiungeva la solitudine, con un volto pallido e amareggiato. Allora si spaventava. "Cosa farò?", gridava mentalmente; poi, girandosi per sfuggire all’amaro volto della solitudine, si rifugiava nella stanchezza e nel sonno.

Ora stava per sopraggiungere di nuovo, camminando senza far rumore lungo il grigio dosso della collina. Adesso aveva il volto di Lev. Lei non voleva distogliere lo sguardo.

Era venuto il momento di guardare ciò che aveva perduto. Guardare e vedere, tutto. Il tramonto primaverile sopra i tetti della città, tanto tempo prima, e il volto di lui illuminato da quello splendore… «Puoi vedere ciò che dovrebbe essere, ciò che è…». La semioscurità della stanza nella casa di Southwind, e il suo volto, i suoi occhi. «Vivere e morire per lo spirito…». Il vento e la luce sulla Collina di Roccia, e la sua voce. E il resto, tutto il resto, tutti i giorni e le luci e i venti e gli anni che avrebbero dovuto essere e che non erano, perché lui era morto. Ucciso sulla strada, nel vento, a ventun’anni. Senza aver scalato le sue montagne, senza più poterle scalare.

Se lo spirito restava nel mondo, pensò Luz, era là che era andato ormai, a nord, nella valle che aveva scoperto, sulle montagne di cui le aveva parlato, l’ultima sera prima della marcia sulla città, con tanta gioia e nostalgia: — Più alte di quanto tu possa immaginare, Luz, più alte e più bianche. Guardi in su e ci sono sempre altre vette al disopra delle vette.

Lui sarebbe stato là, ora, non qui. Era soltanto la propria solitudine quella che lei vedeva, anche se aveva il volto di Lev.

— Va’, Lev — mormorò. — Va’ sulle montagne, sempre più in alto…

"Ma io dove andrò? Dove andrò, sola?

"Senza Lev, senza la madre che non ho mai conosciuto, senza il padre che non potrò mai conoscere, senza la mia casa e la mia città, senza un amico… Oh, sì, gli amici: Vera, Southwind, Andre, tutti gli altri, sono tutti buoni con me, ma non sono la mia gente. Soltanto Lev, soltanto Lev lo era, e lui non ha potuto restare, non ha voluto attendere, doveva scalare la sua montagna e rimandare a dopo la vita. Era la mia occasione, la mia fortuna. E io ero la sua. Ma lui non è riuscito a vederla, non ha voluto fermarsi a guardare. Ha gettato via tutto.

"E ora io mi fermo qui, tra le valli, sotto gli alberi, e devo guardare. E vedo Lev morto, e la sua speranza perduta; mio padre, assassino e pazzo; e me stessa traditrice della città, estranea al paese.

"Che altro c’è?

"Tutto il resto del mondo. Il fiume, là, e le colline, e la luce sulla baia. Tutto il resto di questo mondo vivo e silenzioso, disabitato. E io, sola."

Quando scese dalla collina vide Andre che usciva dalla casa di Southwind e si voltava a parlare con Vera, sulla soglia. Si chiamarono attraverso i campi, e lui l’attese alla svolta del viottolo che portava a Shantih.

— Dov’eri, Luz? — le chiese, con quel suo fare timido e preoccupato. Diversamente dagli altri, non cercava mai di coinvolgerla: era semplicemente lì, pronto, fidato. Dopo la morte di Lev, per lui non c’erano state gioie ma soltanto ansie. Adesso stava lì, solido, un po’ curvo, paziente.

— In nessun posto — rispose Luz, sinceramente. — Passeggiavo. Pensavo. Andre, dimmi. Non volevo chiedertelo in presenza di Vera, non voglio turbarla. Cosa succederà, adesso, fra la città e Shantih? Non ne so abbastanza per capire quello che dice Elia. Continuerà… come prima?

Dopo un indugio piuttosto lungo, Andre annuì. Il suo volto scuro, con gli zigomi sporgenti, come di legno scolpito, era chiuso. — O peggio — disse. Poi, desideroso di mostrarsi giusto verso Elia, aggiunse: — Certe cose vanno meglio. L’accordo sugli scambi… se lo rispetteranno. E l’espansione nella Valle Sud. Non ci saranno lavori forzati, o «tenute». Questo posso sperarlo. Là potremo lavorare insieme, per una volta.

— Tu ci andrai?

— Non lo so. Credo di sì. Dovrei andare.

— E la colonia a nord? La valle che avete scoperto, le montagne?

Andre la guardò. Scrollò la testa.

— In nessun modo…?

— Soltanto se andassimo come loro servitori.

— Marquez non lascerà che andiate da soli, senza quelli della città?

Lui scosse il capo.

— E se andaste comunque?

— Cosa credi che io sogni, ogni notte? — disse Andre, e per la prima volta c’era amarezza nella sua voce. — Dopo essere stato con Elia e Jewel e Marquez e il Consiglio, a parlare di compromessi, a parlare di collaborazione, a parlare di ragionevolezza… Ma se noi andassimo, ci seguirebbero.

— Allora andate dove non possano seguirvi.

— E dove? — disse Andre; e la sua voce era di nuovo paziente, ironica e mesta.

— Dovunque! Più a est, nelle foreste. O a sudest. O a sud, lungo la costa, oltre il punto dove si spingono i pescherecci… Devono pur esserci altre baie, altri posti adatti a una città! È un continente, un mondo intero. Perché dobbiamo restare qui, qui, ammucchiati qui a distruggerci a vicenda? Tu sei stato nelle terre disabitate, tu e Lev e gli altri: sai come sono…

— Sì, lo so.

— Siete ritornati. Perché dovete ritornare? Perché la gente non potrebbe semplicemente andarsene? Non troppi tutti insieme: ma andare, di notte, e proseguire; forse alcuni dovrebbero precedere gli altri, e preparare i posti per sostare, con le provviste; ma senza lasciare tracce. Andare… lontano! E poi, dopo cento chilometri, o cinquecento, o mille, quando trovate un luogo adatto, vi fermate e create una colonia. Un nuovo insediamento. Soli.