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La creatura alzò di colpo la testa, attenta ora; protese le quattro braccia, come lame che scattino da un coltello a serramanico; con uno schiocco aprì le dita in un tagliente benvenuto.

Con una scivolata Kassad si arrestò a dieci metri dalla creatura e attivò il fucile di assalto; ridusse in scorie vetrificate la sabbia sotto lo Shrike, in una esplosione di raggio compatto alla massima potenza.

Lo Shrike fiammeggiò, mentre il carapace e le gambe simili a statue di acciaio riflettevano la luce infernale che l'avvolgeva. Poi tre metri di mostro iniziarono a sprofondare nella sabbia che gorgogliava in un lago di vetro fuso. Kassad gridò di trionfo e si avvicinò, tenendo sotto il raggio lo Shrike e il terreno, nello stesso modo in cui, da ragazzo, nei bassifondi di Tharsis, aveva spruzzato gli amici usando tubi di gomma per innaffiare, rubati.

Lo Shrike affondò. Le braccia smanacciarono sabbia e roccia, cercarono un appiglio. Volarono scintille. Lo Shrike traslò, con il tempo che scorreva all'indietro come un ologramma rovesciato, ma Kassad traslò con lui, rendendosi conto che Moneta lo aiutava, che la tuta della donna lavorava per la sua ma lo guidava attraverso il tempo; e poi innaffiò di nuovo il mostro, con un calore concentrato superiore a quello della superficie del sole, fuse la sabbia sotto di lui, guardò le rocce esplodere in fiamme.

Sprofondando in quel calderone di fiamme e di roccia fusa, lo Shrike gettò indietro la testa, spalancò l'ampio orifizio della bocca e mugghiò.

Kassad smise quasi di sparare, per la sorpresa. L'urlo dello Shrike risuonò come ruggito di drago misto allo scoppio di un razzo a fusione. Lo stridio legò i denti a Kassad, vibrò contro le pareti della valle, scagliò al suolo la sabbia sospesa a mezz'aria. Kassad commutò il fucile sul tiro solido ad alta velocità e scagliò diecimila micro-fléchettes contro la faccia della creatura.

Lo Shrike traslò, di anni, secondo la vertiginosa sensazione nelle ossa e nel cervello di Kassad; non furono più nella valle, ma a bordo di un carro a vela che procedeva rumorosamente nel mare di Erba. Il tempo tornò; lo Shrike balzò avanti, con le braccia metalliche sgocciolanti vetro fuso, e afferrò il fucile di assalto di Kassad. Il colonnello non mollò l'arma e i due barcollarono in tondo in una goffa danza: lo Shrike vibrava colpi, col secondo paio di braccia e una gamba ornata di punte di acciaio, Kassad spiccava balzi per schivare, sempre aggrappato disperatamente al fucile.

Si trovavano in una sorta di piccolo scompartimento. Moneta era presente sotto forma di un'ombra nell'angolo; un'altra figura, un uomo alto e incappucciato, si mosse a velocità ultralenta per evitare l'improvvisa confusione di braccia e di lame in uno spazio ristretto. Attraverso i filtri della dermotuta, Kassad vide nel locale il campo di energia, azzurro e violetto, di un erg legante: l'erg pulsò e crebbe, poi si ritrasse dalla violenza temporale dei campi organici anti-entropici dello Shrike.

Lo Shrike menò un fendente che attraversò la tuta di Kassad fino a raggiungere carne e muscoli. Il sangue riempì di schizzi le pareti. Kassad infilò a forza la canna del fucile nelle fauci della creatura e sparò. Una nube di duemila fléchettes ad alta velocità piegò all'indietro la testa dello Shrike come se fosse su una molla e sbatté contro la parete il corpo della creatura. Pur cadendo, con le punte della gamba il mostro colpì Kassad alla coscia e mandò una spirale di sangue a schizzare finestre e pareti della cabina del carro a vela.

Lo Shrike traslò.

A denti stretti, sentendo la dermotuta tamponare e suturare automaticamente le ferite, Kassad rivolse un'occhiata a Moneta, annuì una volta e seguì la creatura attraverso il tempo e lo spazio.

Sol Weintraub e Brawne Lamia si guardarono alle spalle, quando un terribile ciclone di calore e di luce parve turbinare e morire. Sol riparò col proprio corpo la donna, mentre vetro fuso schizzava da tutte le parti e cadeva sfrigolando sulla sabbia fredda. Poi il frastuono svanì, la tempesta di sabbia oscurò il laghetto ribollente dove quella violenza si era scatenata e il vento sbatacchiò il mantello di Sol intorno a tutt'e due.

— Cosa diavolo era? — ansimò Brawne.

Sol scosse la testa e l'aiutò a mettersi in piedi nel vento ruggente. — Le Tombe si aprono! — gridò. — Un'esplosione, forse.

Brawne barcollò, trovò l'equilibrio, toccò il braccio di Sol. — Rachel? — domandò ad alta voce per superare il frastuono.

Sol serrò i pugni. Aveva la barba già piena di sabbia. — Lo Shrike… l'ha presa… non mi ha fatto entrare nella Sfinge. Mi aspettava!

Brawne guardò a occhi socchiusi la Sfinge, visibile solo come un profilo risplendente nel furioso turbinio di polvere.

— Stai bene? — le gridò Sol.

— Come?

— Stai… bene?

Brawne annuì con aria assente e si toccò la testa. Lo shunt neurale era sparito. Non solo l'osceno cordone dello Shrike, ma anche lo shunt che Johnny le aveva applicato con un'operazione chirurgica mentre si tenevano nascosti nell'Alveare Sedimento, molto tempo prima. Spariti per sempre shunt e iterazione Schrön, non aveva modo di rimettersi in contatto con Johnny. Ricordò che Ummon aveva distrutto la personalità di Johnny, l'aveva sbriciolata e assorbita, con la stessa fatica con cui lei avrebbe schiacciato un insetto.

— Sto bene — rispose, ma si accasciò, tanto che Sol fu costretto a sorreggerla per impedirle di cadere.

Sol gridò qualcosa. Brawne cercò di concentrarsi, di mettere a fuoco il luogo e il momento. Dopo la megasfera, la realtà le pareva piccola e limitata.

— …non possiamo parlare, qui — gridava Sol. — …tornare nella Sfinge.

Brawne scosse la testa. Indicò le pareti rocciose sul lato nord della valle dove l'immenso albero dello Shrike era visibile fra nuvole di polvere. — Il poeta… Sileno… è là. L'ho visto!

— Non possiamo fare niente per lui! — gridò Sol, usando il mantello per ripararsi e ripararla. La sabbia vermiglia tamburellò contro la fibroplastica col rumore di fléchettes su di una corazza.

— Forse possiamo — gridò Brawne, sentendo il calore di Sol, mentre lui la riparava tra le braccia. Per un secondo immaginò di potersi rannicchiare contro di lui con la stessa facilità di Rachel e dormire, dormire. — Ho visto… delle connessioni… quando uscivo dalla megasfera! — continuò, superando il ruggito del vento. — L'albero di spine è collegato in qualche modo al Palazzo dello Shrike! Se riusciamo ad andarci, a trovare il modo di liberare Sileno…

Sol scosse la testa. — Non posso lasciare la Sfinge. Rachel…

Brawne capì. Con la mano toccò la guancia dell'anziano studioso, poi gli si accostò, sentì contro la guancia la barba ispida. — Le Tombe si aprono — disse. — Non so quando avremo un'altra possibilità.

Sol aveva gli occhi bagnati di lacrime. — Lo so. Vorrei aiutarti. Ma non posso lasciare la Sfinge, nel caso… nel caso che lei…

— Capisco — disse Brawne. — Torna laggiù. Io vado al Palazzo dello Shrike per vedere se riesco a capire come è collegato all'albero di spine.

Sol annuì, a disagio. — Hai detto di essere stata nella megasfera — disse. — Cos'hai visto? Cos'hai appreso? La personalità Keats… è forse…

— Ne parleremo quanto torno — disse Brawne, scostandosi di un passo, in modo da guardarlo meglio. La faccia di Sol era una maschera di sofferenza: la faccia di un padre che ha perduto il figlio.

— Torna alla Sfinge — disse Brawne, ferma. — Ci vediamo lì, fra un'ora o anche meno.

Sol si lisciò la barba. — Sono spariti tutti, tranne te e me, Brawne. Non dovremmo separarci…

— Sì, per un poco — replicò Brawne, allontanandosi da lui, cosicché il vento le frustò la stoffa dei calzoni e della giacca. — Ci vediamo fra un'ora o meno. — S'incamminò rapidamente, prima di cedere all'impulso di rifugiarsi di nuovo nel tepore delle braccia di Sol. Il vento era più intenso, soffiava dritto giù dall'imboccatura della valle, per cui la sabbia colpiva negli occhi Brawne e le martellava le guance. La donna riuscì bene o male a seguire il sentiero tenendo la testa bassa. Solo il bagliore vivido e pulsante delle Tombe le illuminava la strada. Brawne sentì le maree del tempo tirarla come se l'aggredissero fisicamente.