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È più facile permettere a me stesso di andare alla deriva nella sfera dati che non stare disteso sul letto nella notte che sembra non finire mai, ascoltare la fontana e aspettare la prossima emorragia. Questa debolezza è peggio che debilitante: mi trasforma in un uomo vuoto, tutto guscio e niente sostanza. Ricordo quando Fanny si prendeva cura di me, durante la convalescenza a Wentworth Place, e il tono della sua voce e le riflessioni filosofiche che soleva proclamare: "C'è un'altra vita? Mi risveglierò e scoprirò che questa è un sogno? Dev'esserci: non siamo stati creati per questo genere di sofferenze".

Oh, Fanny, se solo tu sapessi! Siamo stati creati esattamente per questo genere di sofferenze. Alla fin fine, è tutto ciò che siamo, limpide pozze di autocoscienza fra scroscianti ondate di dolore. Siamo destinati e progettati per portare con noi il dolore, stringendolo al ventre come il giovane ladro spartano che nascondeva un cucciolo di lupo, in modo che possa sbranarci le viscere. Quale altra creatura nell'ampio dominio di Dio porterebbe il ricordo di te, Fanny, polvere da novecento anni, e se ne lascerebbe divorare, anche se la consunzione fa lo stesso lavoro con spontanea efficienza?

Le parole mi assalgono. Il pensiero di libri mi fa star male. La poesia mi risuona nella mente; se avessi il potere di scacciarla, lo farei all'istante.

Martin Sileno: ti odo, sulla tua vivente croce di spine. Reciti poesie come un mantra e intanto ti domandi quale dio dantesco ti abbia condannato a un posto simile. Una volta dicesti… ero lì, con la mente, quando raccontavi agli altri la tua storia!… dicesti:

"Essere un poeta, mi resi conto, un poeta vero, significava diventare l'Avatar incarnato dell'umanità; accettare il manto di poeta equivaleva a portare la croce del Figlio dell'Uomo, a sopportare le doglie del parto dell'Anima Madre dell'Umanità.

"Essere un poeta vero è diventare Dio".

Bene, Martin, vecchio collega, vecchio amico, tu porti la croce e sopporti le doglie, ma sei forse più vicino a diventare Dio? O ti senti soltanto un povero idiota che ha un giavellotto di tre metri conficcato nel ventre e senti il freddo acciaio dove soleva esserci il fegato? Fa male, vero? Sento il tuo dolore. Sento il mio dolore.

Alla fin fine, non importa un fico. Pensavamo di essere speciali, di aprire le nostre percezioni, di affilare la nostra empatia, di versare sulla pista da ballo del linguaggio quel calderone di dolore condiviso e poi cercare di rendere un minuetto tutta quella caotica sofferenza. Non importa un fico. Non siamo l'Avatar, non siamo il figlio di dio o dell'uomo. Siamo soltanto noi stessi: scribacchiamo le nostre immagini barocche da soli, leggiamo da soli, moriamo da soli.

Perdio, se fa male! L'impulso a vomitare è continuo, ma il vomito porta su pezzi di polmone, oltre a bile e catarro. Per chissà quale ragione, è altrettanto difficile, forse più difficile, questa volta. Morire dovrebbe diventare più facile, con la pratica.

Nella piazza la fontana manda per tutta la notte il suo gorgoglio idiota. Là fuori, da qualche parte, lo Shrike aspetta. Al posto di Hunt, me ne andrei subito… abbraccerei la Morte, se la Morte offre un abbraccio… e la farei finita.

Ma gli ho fatto una promessa. Ho promesso a Hunt di fare il tentativo.

Non posso raggiungere la megasfera, o la sfera dati, senza passare attraverso questa nuova cosa che chiamo metasfera, e quest'ultima mi spaventa.

È in gran parte vastità e vuoto, così diversa dai panorami di analogia urbana della sfera dati della Rete e dai bio-analoghi della megasfera del Nucleo. Eccola qui… incerta. Piena di ombre bizzarre e di masse cangianti che non hanno niente a che fare con le Intelligenze del Nucleo.

Mi muovo rapidamente verso l'apertura buia che vedo come connessione teleporter primaria con la megasfera. (Hunt aveva ragione… senza dubbio esiste un teleporter, in un punto imprecisato della riproduzione della Vecchia Terra… in fin dei conti siamo giunti proprio tramite teleporter. E la mia consapevolezza è un fenomeno del Nucleo.) Questa, allora, è la mia sagola di salvataggio, il cordone ombelicale della mia personalità. Scivolo nel nero vortice turbinante come una foglia in un tornado.

C'è qualcosa di sbagliato, nella megasfera. Appena emergo, intuisco la differenza; Brawne aveva percepito l'ambiente del Nucleo come una biosfera affaccendata di vita IA, con radici di intelletto, terriccio di ricchi dati, oceani di connessioni, atmosfere di consapevolezza e l'andirivieni rumoroso e incessante dell'attività.

Ora questa attività è sbagliata, non incanalata, casuale. Grandi foreste di consapevolezza IA sono state bruciate o buttate via. Percepisco forze massicce in opposizione, maree di conflitto che rifluiscono dalle vie di comunicazione protette delle arterie principali del Nucleo.

Come se mi trovassi in una cellula del mio stesso corpo morente condannato a essere Keats: non capisco, ma sento che la tubercolosi distrugge l'omeostasi e getta nell'anarchia un ordinato universo interno.

Volo come un piccione viaggiatore smarrito fra le rovine di Roma, plano tra manufatti un tempo ben noti e quasi dimenticati, cerco riposo in rifugi che non esistono più e sfuggo i lontani rumori dei fucili dei cacciatori. In questo caso, i cacciatori sono branchi vaganti di IA, personalità coscienti così smisurate da rimpicciolire il mio analogo di Keats fantasma, come se fossi un insetto che ronza in una casa umana.

Dimentico la via e volo sconsideratamente nel panorama adesso alieno, con la sicurezza di non trovare l'Intelligenza Artificiale che cerco, con la sicurezza di non ritrovare mai più la via per la Vecchia Terra e Hunt, con la sicurezza di non sopravvivere a questo labirinto tetradimensionale di luce, di rumore, di energia.

All'improvviso sbatto contro un muro invisibile: l'insetto volante è preso in una mano che si richiude in fretta. Pareti opache di forza cancellano il Nucleo. Lo spazio potrebbe essere l'analogo di un sistema solare, quanto a dimensioni; ma mi sento come in una minuscola cellula con le pareti curve che si stringono su di me.

Con me c'è qualcosa. Ne sento la presenza e la massa. La bolla in cui sono prigioniero fa parte del qualcosa. Non sono stato catturato, sono stato ingoiato.

[Kwatz!]

[Sapevo che un giorno saresti tornato a casa]

È Ummon, l'IA che cerco. L'IA che fu mio padre. L'IA che uccise mio fratello, il primo cìbrido Keats.

"Sto morendo, Ummon."

[No/ il tuo corpo a tempo lento muore/ passa nella non-esistenza/ diviene]

"È doloroso, Ummon. Assai doloroso. E ho paura di morire."

[Così come noi/ Keats]

"Avete paura di morire? Non credevo che i costrutti IA potessero morire."

[Possiamo\\ Moriamo]

"Perché? A causa della guerra civile? La battaglia su tre fronti fra Stabili, Volatili, Finali?"

[Una volta Ummon domandò a una luce minore/

Da dove sei giunta›///

Dalla matrice sopra Armaghast//

rispose la luce minore/// Di solito//

disse Ummon//

non irretisco entità

con parole

né le abbindolo con frasi/

Vieni un po' più vicino\\\

La luce minore venne più vicino

e Ummon gridò// Sia finita

con te]

"Parla in modo chiaro, Ummon. Troppo tempo è passato da quando decodificai i tuoi koan. Vuoi dirmi perché il Nucleo è in guerra e cosa posso fare per bloccarla?"

[Sì]