— Sant'Iddio — mormorai, interrompendo il contatto ma sentendo la pressione dell'ondata di notizie premermi ancora sui circuiti impiantati e sul cervello. Guerra. Attacco di sorpresa. Imminente distruzione della Rete. Proposte di incriminare Gladstone. Sommosse su decine di mondi. Ribellione del Culto Shrike, su Lusus. La flotta della FORCE in ritirata dal sistema di Hyperion con una disperata azione di retroguardia, ma troppo tardi, troppo tardi. Hyperion già sotto attacco. Timore di incursioni via teleporter.
Mi alzai, corsi a farmi la doccia e il bagno di ultrasuoni, a tempo record. Hunt o qualcun altro mi aveva preparato un abito formale grigio con mantello; mi vestii in fretta, mi pettinai all'indietro i capelli bagnati e dei riccioli umidi mi ricaddero sul colletto.
Non andava bene far attendere il Primo Funzionario Esecutivo dell'Egemonia dell'Uomo. Oh, no, non andava bene affatto.
— Era ora che arrivasse — disse Meina Gladstone, quando entrai nelle sue stanze private.
— Che cazzo ha combinato? — replicai, brusco.
Gladstone batté le palpebre. Evidentemente il PFE dell'Egemonia dell'Uomo non era abituata a sentirsi apostrofare in quel tono. "Merda" pensai.
— Ricordi chi è e con chi parla — disse freddamente Gladstone.
— Non so chi sono. E forse parlo con il più grande assassino di massa dai tempi di Horace Glennon-Height. Perché diavolo ha permesso che questa guerra scoppiasse?
Di nuovo Gladstone batté le palpebre e si guardò intorno. Eravamo soli. Il salotto era lungo e piacevolmente buio; alle pareti erano appese opere d'arte della Vecchia Terra. In quel momento non mi sarebbe importato nemmeno di trovarmi in una stanza piena di Van Gogh originali. Fissai Gladstone: il viso alla Lincoln era semplicemente la faccia di una donna anziana, nella scarsa luce che filtrava dalle persiane. Il PFE mi restituì lo sguardo per un momento, poi lo distolse di nuovo.
— Mi scusi — dissi bruscamente, senza traccia di scusa nella voce.
— Lei non ha permesso che scoppiasse la guerra, l'ha fatta scoppiare, vero?
— No, Severn, non l'ho fatta scoppiare. — La voce di Gladstone era smorzata, quasi un bisbiglio.
— Si spieghi. — Camminai avanti e indietro sotto le alte finestre, guardando la luce delle persiane muoversi su di me come strisce dipinte. — E non sono Joseph Severn — aggiunsi.
Inarcò il sopracciglio. — Devo chiamarla signor Keats?
— Mi chiami Nessuno. Così, quando arriveranno gli altri ciclopi, potrà dire che Nessuno l'ha accecata, e loro se ne andranno dicendo che è il volere degli dèi.
— Intende accecarmi?
— In questo momento le torcerei il collo e me ne andrei senza un briciolo di rimorso. Milioni di persone moriranno, prima che termini la settimana. Come ha potuto permetterlo?
Gladstone si toccò il labbro inferiore. — Il futuro si dirama in due sole direzioni — disse a bassa voce. — La guerra e l'incertezza totale, oppure la pace e l'assoluta certezza dell'annichilimento. Ho scelto la guerra.
— Chi lo dice? — Ora nella mia voce c'era più curiosità che rabbia.
— È un fatto. — Diede un'occhiata al comlog. — Fra dieci minuti devo essere in Senato per dichiarare la guerra. Mi informi delle ultime novità sui pellegrini di Hyperion.
Incrociai le braccia e la fissai. — Solo se mi promette di fare una cosa.
— Se posso.
Esitai. Nessuna leva dell'universo avrebbe indotto quella donna a firmare un assegno in bianco. — E va bene — dissi. — Voglio che si metta in contatto con Hyperion, che annulli la quarantena in cui ha messo la nave del Console e che mandi qualcuno lungo l'Hoolie a cercare il Console stesso. Si trova a circa centotrenta chilometri dalla capitale, sopra le chiuse Karla. Forse è ferito.
Gladstone si grattò il labbro. — Manderò qualcuno a cercarlo. La revoca della quarantena dipende da quel che mi racconterà. Gli altri sono vivi?
Mi strinsi nel mantello e mi lasciai cadere sul divano, di fronte a lei. — Alcuni.
— La figlia di Byron Lamia? Brawne?
— Lo Shrike l'ha presa. Per un poco è rimasta priva di conoscenza, collegata alla sfera dati da una sorta di shunt neurale. Ho sognato… si librava da qualche parte, riunita alla persona/impianto della prima personalità ricuperata Keats. Stavano per entrare nella sfera dati… nella megasfera, a dire il vero: connessioni col Nucleo e dimensioni che nemmeno sognavo, oltre alla sfera dati accessibile.
— È viva, al momento? — Gladstone si sporse, con espressione intensa.
— Non so. Il corpo è scomparso. Sono stato risvegliato prima di vedere la sua personalità entrare nella megasfera.
Gladstone annuì. — E il colonnello?
— Kassad è stato portato in un luogo imprecisato da Moneta, la femmina umana che pare risiedere nelle Tombe, mentre queste viaggiano nel tempo. L'ultima volta che l'ho visto, assaliva a mani nude lo Shrike. O meglio, gli Shrike: ce n'erano migliaia.
— È sopravvissuto?
Allargai le mani. — Non so. Erano sogni. Frammenti. Spizzichi di percezione.
— Il poeta?
— Sileno è stato portato via dallo Shrike. Impalato sull'albero di spine. Ma in seguito l'ho visto di sfuggita, nel sogno di Kassad. Sileno era ancora vivo. Non so come.
— Allora l'albero di spine è reale, non semplice propaganda del Culto Shrike?
— Oh, sì, è reale.
— E il Console se n'è andato? Ha cercato di tornare alla capitale?
— Con il tappeto Hawking di sua nonna. Ha funzionato bene, fino a un punto nei pressi delle chiuse Karla. Tappeto e Console sono caduti nel fiume. — Anticipai la domanda seguente. — Non so se sia sopravvissuto.
— E il prete? Padre Hoyt?
— Il crucimorfo l'ha riportato in vita come padre Duré.
— È davvero padre Duré? O un duplicato privo d'intelligenza?
— È Duré. Ma… danneggiato. Scoraggiato.
— E si trova ancora nella valle?
— No. È scomparso in una delle Grotte. Non so cosa gli sia accaduto.
Gladstone guardò il comlog. Cercai di immaginare la confusione e il caos che regnavano nel resto dell'edificio, del pianeta, della Rete. Era chiaro che il PFE si era ritirato per quindici minuti in quel salottino, prima di tenere il discorso al Senato. Forse sarebbe stato l'ultimo momento di solitudine di cui avrebbe goduto nelle prossime settimane. Forse per sempre.
— Il capitano Masteen?
— Morto. Sepolto nella valle.
Gladstone trasse un sospiro. — Weintraub e la piccina?
Scossi la testa. — Ho sognato cose fuori sequenza, fuori tempo. Credo che sia già accaduto, ma sono confuso. — Alzai gli occhi: Gladstone aspettava pazientemente. — La piccina aveva solo alcuni secondi di vita, quando lo Shrike è venuto. Sol l'ha offerta. Penso che lo Shrike l'abbia portata dentro la Sfinge. Le Tombe brillavano di luce molto intensa. Ne uscivano… altri Shrike.
— Allora le Tombe si sono aperte?
— Sì.
Gladstone toccò il comlog. — Leigh? Dica all'ufficiale di servizio del centro trasmissioni di mettersi in contatto con Theo Lane e i responsabili militari su Hyperion. Devono lasciare libera la nave in quarantena. Inoltre, Leigh, dica al governatore generale che fra qualche minuto gli invierò un messaggio personale. — Il comlog trillò e lei tornò a guardarmi. — C'è stato altro, nei suoi sogni?
— Immagini. Parole. Non capisco che cosa accade. Questi sono i punti principali.
Gladstone sorrise appena. — Si rende conto di sognare eventi che non rientrano nell'esperienza dell'altra personalità Keats?
Rimasi in silenzio, stordito dalla sorpresa provocata da quelle parole. Il mio contatto con i pellegrini era stato possibile mediante un legame basato su tecnologie del Nucleo con l'impianto/persona nell'iterazione Schrön di Brawne, attraverso di esso e attraverso la primitiva sfera dati che avevano condiviso. Ma la persona era stata liberata; la sfera dati era stata distrutta dal distacco e dalla distanza. Anche un ricevitore astrotel non può ricevere messaggi, se non c'è trasmettitore.
Il sorriso di Gladstone sparì. — Come lo spiega? — domandò.
— Non lo spiego. — Alzai gli occhi. — Forse erano soltanto sogni. Sogni reali.
Gladstone si alzò. — Forse lo sapremo, quando e se troveremo il Console. O quando la nave arriverà nella valle. Fra due minuti devo presentarmi al Senato. C'è altro?
— Una domanda. Io chi sono? Perché sono qui?
Un nuovo accenno di sorriso. — Tutti ci poniamo queste domande, signor Se… signor Keats.
— Dico sul serio. Sono convinto che lei lo sappia meglio di me.
— Il Nucleo l'ha inviata a me per fare da collegamento con i pellegrini. E da osservatore. In fin dei conti, lei è poeta e pittore.
Sbuffai e mi alzai. Ci avviammo lentamente al teleporter privato che l'avrebbe portata al Senato. — A cosa serve, l'osservazione, quando è la fine del mondo?
— Lo scopra. Vada a vedere la fine del mondo. — Mi tese una microcarta per il comlog. La inserii, guardai il diskey: era un chip universale che mi permetteva l'accesso a tutti i teleporter, pubblici, privati e militari. Il biglietto per la fine del mondo.
— E se resto ucciso?
— Allora non udremo mai le risposte alle sue domande — disse Gladstone. Mi sfiorò il polso, si girò e varcò il portale.
Per alcuni minuti rimasi da solo nel suo ufficio, apprezzando la luce, il silenzio, l'arte. C'era davvero un Van Gogh alla parete, un quadro che valeva più di quanto molti pianeti potessero pagare. Era la veduta della casa dell'artista, ad Arles. La follia non è invenzione nuova.
Dopo un poco uscii e lasciai che la memoria del comlog mi guidasse nel labirinto della Casa del Governo, finché non trovai il terminex centrale del teleporter e lo varcai per vedere la fine del mondo.