L'uomo accovacciato sorride, muove avanti e indietro la lama a filo-zero, cinque centimetri davanti agli occhi del Console. — Con cosa, nonnetto? Abbiamo la tua carta universale e quassù non vale una merda.
— Oro — dice il Console, sapendo che è l'unica parola che abbia mantenuto potere attraverso i secoli.
L'uomo accovacciato non reagisce, ha negli occhi una luce malata, mentre osserva la lama, ma l'altro si fa avanti e posa la mano sulla spalla del socio. — Di cosa parli, amico? Dove ce l'hai, l'oro?
— La mia nave — dice il Console. — La Benares.
L'altro si alza, tiene la lama vicino alla guancia. — Mente, Chez. La Benares è quel barcone a fondo piatto, tirato da mante, che avevano i pelleblù che abbiamo fatto fuori tre giorni fa.
Il Console chiude gli occhi per un secondo, in preda alla nausea, ma non si lascia andare. A. Bettik e gli altri androidi dell'equipaggio hanno lasciato la Benares in una scialuppa, meno di una settimana prima, puntando a valle verso la "libertà". Evidentemente hanno trovato altro. — A. Bettik — dice. — Il capo dell'equipaggio. Non ha parlato dell'oro?
L'uomo col coltello sogghigna. — Ha fatto un mucchio di casino, ma non ha detto molto. Ha detto che la nave era risalita a Limito. Tròppo lontano, per una chiatta senza mante, penso io.
— Chiudi il becco, Obem. — L'altro si siede sui talloni di fronte al Console. — Per quale motivo tieni oro in quella vecchia chiatta, amico?
Il Console alza il viso. — Non mi riconosci? Per anni sono stato il Console dell'Egemonia su Hyperion.
— Ehi, chi credi di fregare… — incomincia l'uomo col coltello, ma l'altro lo interrompe. — Già, amico, ricordo la tua faccia nell'olo da campo, quand'ero ragazzo. Allora, amico dell'Egemonia, perché porti oro su per il fiume, adesso che pure il cielo crolla?
— Cercavamo rifugio… Castel Crono — dice il Console, cercando di non mostrarsi troppo ansioso, ma grato per ogni secondo di vita in più. "Perché?" pensa una parte della sua mente. "Eri stanco di vivere. Pronto a morire." Ma non così. Quando Sol e Rachel e gli altri hanno bisogno del suo aiuto.
— Alcuni fra i più ricchi cittadini di Hyperion — dice. — Le autorità di evacuazione non avrebbero permesso il trasferimento dei lingotti di oro, così ho convenuto di depositarli nei sotterranei di Castel Crono, il vecchio castello a nord della Briglia. In cambio di una percentuale.
— Sei un pazzo fottuto! — sghignazza l'uomo col coltello. — A nord di qui ormai è tutto territorio dello Shrike.
Il Console china la testa. Non ha bisogno di fingersi esausto e sconfitto. — Ce ne siamo accorti. Una settimana fa, l'equipaggio androide ci ha abbandonati. Alcuni passeggeri sono stati uccisi dallo Shrike. Scendevo il fiume da solo.
— Stronzate — dice l'uomo col coltello. Negli occhi ha di nuovo quella luce malata, folle.
— Solo un momento — dice il suo socio. Colpisce con uno schiaffo il Console, forte, una volta. — Allora, vecchio, dove sarebbe questa nave piena di oro?
Il Console sente il sapore del sangue. — A monte del fiume. Non sul fiume, nascosta in un affluente.
— Già — dice l'uomo col coltello, appoggiando di piatto la lama filo-zero contro il collo del Console. Non ha bisogno di vibrare un colpo, per tagliare la gola del Console: gli basta ruotare la lama. — Sono tutte stronzate, dico io. Perdiamo solo tempo.
— Ancora un momento — replica l'altro, brusco. — A che distanza?
Il Console pensa agli affluenti sorvolati nelle ultime ore. È tardo pomeriggio. Il sole quasi tocca la linea di una macchia di alberi, a ovest. — Appena sopra le chiuse Karla — dice.
— Allora perché volavi su quel giocattolo, invece di scendere il fiume per chiatta?
— Andavo a cercare aiuto — dice il Console. L'adrenalina è svanita: ora sente una stanchezza assai prossima alla disperazione. — C'erano troppi… troppi banditi, lungo le rive. La chiatta sembrava un grosso rischio. Il tappeto Hawking era… più sicuro.
L'uomo di nome Chez ride. — Metti via il coltello, Obem. Facciamo una passeggiata, eh?
Obem scatta in piedi. Impugna ancora il coltello, ma ora la lama, e la furia, sono rivolte al socio. — Sei rincoglionito? Hai la testa piena di merda? Racconta stronzate per salvarsi la pelle.
Chez non batte ciglio. — Certo, forse conta palle. Che ce ne frega, eh? Le chiuse sono a meno di mezza giornata di cammino e tanto andiamo da quella parte, no? Niente barca, niente oro, e gli tagli la gola, eh? Lentamente. Se c'è l'oro, fai lo stesso il lavoro, un colpo di lama, ma sei ricco, eh?
Per un secondo Obem sta in bilico fra rabbia e ragione; si gira di lato, vibra la lama di ceramica a filo-zero contro un neville dal tronco spesso otto centimetri. Ha il tempo di girarsi e accovacciarsi davanti al Console, prima che la gravità dica all'albero che è appena stato tagliato di netto: il neville cade verso la sponda del fiume, con uno schianto di rami spezzati. Obem afferra il Console per la camicia. — E va bene, uomo dell'Egemonia, andiamo a vedere cosa troviamo. Parla, corri, inciampa, barcolla, e ti affetto dita e orecchie, solo per tenermi in esercizio, eh?
Il Console si alza a fatica. I tre si tengono di nuovo al riparo dei cespugli e degli alberi bassi. Il Console cammina tre metri dietro Chez e precede Obem di altrettanto. Fa a piedi la stessa strada dell'andata, si allontana dalla città, dalla nave, dall'ultima possibilità di salvare Sol e Rachel.
Trascorre un'ora. Il Console non riesce a escogitare un piano astuto da mettere in atto quando arriveranno agli affluenti e non troveranno la chiatta. Diverse volte Chez segnala di fare silenzio e di nascondersi, una volta al rumore di ragnatelidi che svolazzano fra i rami, un'altra perché sulla riva opposta c'è un po' di trambusto, ma non si vede segno di esseri umani. Né di possibile aiuto. Il Console ricorda gli edifici bruciati lungo il fiume, le baracche deserte e i moli abbandonati. Il terrore dello Shrike, la paura di essere lasciati agli Ouster e mesi di saccheggi a opera di canaglie della FAD hanno reso terra di nessuno tutta la zona. Il Console escogita scuse e modi per perdere tempo, poi li scarta. Ha solo una speranza: arrivare abbastanza vicino alle chiuse da buttarsi nell'acqua profonda e rapida, tenersi a galla nonostante le mani legate dietro la schiena e nascondersi nel labirinto di isolotti più a valle. Ma è tanto stanco che non riuscirebbe a nuotare neppure se avesse le mani libere. E le armi dei due lo centrerebbero facilmente, anche se avesse dieci minuti di vantaggio fra le rocce sporgenti e gli isolotti. Il Console è troppo stanco per avere idee brillanti, troppo anziano per essere coraggioso. Pensa alla moglie e al figlio, morti ormai da parecchi anni, uccisi nel bombardamento di Bressia da uomini altrettanti privi di onore di questi due banditi. Ha solo il rimpianto di avere mancato alla promessa di aiutare gli altri pellegrini. E quello di non vedere come andrà a finire.
Dietro di lui, Obem sputacchia. — Merda, Chez! E se ci fermiamo, lo affettiamo un poco e gli facciamo sciogliere la lingua, eh? Poi andiamo da soli alla chiatta, se esiste.
Chez si gira, si toglie dagli occhi il sudore, osserva con aria pensierosa e accigliata il Console. — Ehi, già, forse hai ragione. Ma con calma e senza chiasso, amico. E che sia in grado di parlare, verso la fine, eh?
— Certo — sogghigna Obem. Si mette in spalla il fucile ed estrae il filo-zero.
— FERMI! — Il grido rimbomba dall'alto. Il Console cade carponi; i due banditi ex FAD si tolgono di tracolla i fucili, con la rapidità dovuta alla lunga pratica. C'è una corsa impetuosa, un rombo, un frustare di rami e polvere tutt'intorno; il Console alza gli occhi in tempo per vedere un'increspatura nel cielo coperto della sera: ha l'impressione che dalle nuvole una massa scenda dritto su di loro. Chez alza il fucile a fléchettes e Obem punta il lanciabombe e tutt'e tre cadono, rotolano, non come soldati colpiti, non come elementi di rinculo di una equazione balistica, ma come l'albero abbattuto da Obem poco prima.