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Leigh Hunt entrò, scortato dal prete che mi aveva guidato nella basilica.

— Severn! — esclamò il fido consigliere di Gladstone. — Il PFE ha bisogno di lei immediatamente.

— Stavo proprio per andare a trovarla — risposi. — Sarebbe un errore gravissimo, se Gladstone permettesse al Nucleo di costruire e usare quell'ordigno micidiale.

Hunt batté le palpebre… una reazione quasi comica, in quel viso da basset-hound. — Lei sa sempre tutto ciò che accade, Severn?

Fui costretto a ridere. — Un bimbo seduto da solo in una piazzuola di proiezione vede molto e capisce pochissimo. Ma ha il vantaggio di poter cambiare canale e di spegnere l'apparecchio, quando ne è stufo. — Hunt conosceva già monsignor Edouard, a seguito di vari incontri ufficiali; gli presentai padre Paul Duré della Compagnia di Gesù.

— Duré? — riuscì a dire Hunt, lasciando quasi penzolare la mascella. Era la prima volta che lo vedevo restare senza parole; ne fui quasi rallegrato.

— Le spiegazioni a più tardi — dissi. Strinsi la mano al prete. — Buona fortuna su Bosco Divino, Duré. Non si trattenga troppo.

— Un'ora — promise il gesuita. — Non di più. Devo solo trovare una tessera del mosaico, prima di parlare al PFE. Le spieghi lei l'orrore del labirinto… più tardi aggiungerò la mia testimonianza.

— Può darsi che sia troppo occupata per ricevermi prima che lei sia di ritorno — dissi. — Ma farò del mio meglio per impersonare la parte di Giovanni Battista.

Duré sorrise. — Attento a non perdere la testa, amico mio. — Ci rivolse un cenno di saluto, batté sull'arcaico diskey il codice di trasferimento e varcò il portale.

Dissi addio a Monsignor Edouard. — Sistemeremo tutto prima che l'ondata Ouster arrivi troppo lontano.

L'anziano prete alzò la mano e mi benedisse. — Vada con Dio, giovanotto. Ho la sensazione che tempi oscuri ci attendano, ma che toccherà a lei il fardello più oneroso di tutti.

Scossi la testa. — Sono solo un osservatore. Aspetto, osservo e sogno. Un fardello trascurabile, monsignore.

— Aspetti, osservi e sogni più tardi — disse Leigh Hunt, brusco. — La Signora la vuole a portata di mano subito e devo tornare a una riunione che ho piantato in asso.

Guardai l'ometto. — Come mi ha trovato? — domandai, tanto per parlare. I teleporter erano azionati dal Nucleo e il Nucleo collaborava con le autorità dell'Egemonia.

— La sua carta di priorità rende più facile tenersi al corrente dei suoi viaggi — disse Hunt, con chiaro tono di impazienza. — In questo momento abbiamo l'obbligo di trovarci sul luogo degli eventi.

— Bene. — Rivolsi un cenno di saluto al monsignore e al suo segretario e con un gesto invitai Hunt a seguirmi; battei il codice di tre cifre per Tau Ceti Centro, aggiunsi due cifre per il continente, altre tre per la Casa del Governo e ancora due per il terminex privato nell'edificio. Il ronzio del teleporter crebbe di una tacca, la superficie opaca parve scintillare di aspettativa.

Varcai per primo il portale e mi spostai di lato per lasciare spazio a Hunt.

Non siamo nel terminex centrale della Casa del Governo. Per quanto ne capisco, non siamo neppure da quelle parti. In un attimo i miei sensi sommano l'input di luce del sole, colore del cielo, gravità, distanza dell'orizzonte, odori e sensazioni delle cose: non siamo su Tau Ceti Centro.

Avrei dovuto fare subito un balzo indietro, ma la Porta del Papa è piccola e Hunt ne emerge… gamba, braccio, spalla, petto, testa, seconda gamba; lo afferro per il polso, lo tiro bruscamente dalla mia parte, dico: — C'è uno sbaglio! — e cerco di varcare di nuovo il portale: troppo tardi. Il portale, privo di intelaiatura da questo lato, brilla, si contrae fino a diventare un cerchio grande quanto il mìo pugno, scompare.

— Dove diavolo siamo? — domanda Hunt.

Mi guardo intorno e penso: "Ottima domanda". Siamo in aperta campagna, sulla cima di un colle. In basso una strada serpeggia fra vigneti, scende un lungo pendio tra una valletta boscosa, scompare intorno a un altro colle lontano un paio di miglia. Fa molto caldo e l'aria ronza di insetti, ma nell'ampio panorama non si muove niente di più grosso di un uccello. Fra le scogliere alla nostra destra si intravede una macchia azzurra… l'oceano o il mare. Nel cielo corrono alti cirri; il sole ha appena passato lo zenit. Non vedo case, né tecnologia più complessa dei filari di vigneto e della strada di pietra e fango. Inoltre, il brusio costante della sfera dati è sparito. Sembra quasi di udire all'improvviso l'assenza di un rumore in cui si è stati immersi dall'infanzia: sorprende, sconvolge, rende perplessi e spaventa un poco.

Hunt barcolla, si stringe le orecchie come se sentisse davvero l'assenza di suono, dà un colpo al comlog. — Maledizione — brontola. — Maledizione. L'impianto non funziona. Il comlog è morto.

— No — dico. — Secondo me, siamo al di là della sfera dati. — Mentre lo dico, sento un ronzio più basso e più debole… qualcosa di molto più esteso e molto meno accessibile della sfera dati. La megasfera? "La musica delle sfere" penso; e sorrido.

— Cosa diavolo ha da ridere, Severn? L'ha fatto apposta?

— No. Ho battuto il codice giusto per la Casa del Governo. — La totale mancanza di panico, nel mio tono, è panico di per sé.

— Cosa, allora? La maledetta Porta del Papa? È questa, la causa? Un guasto, un trucco?

— No, non credo. La porta ha funzionato, Hunt. Ci ha portato proprio dove il TecnoNucleo ci vuole.

— Il Nucleo? — Quel poco di colore che restava sulla faccia da basset-hound svanisce rapidamente, appena il segretario del PFE capisce chi controlla i teleporter. — Oddio. Oddio. — Hunt barcolla a lato della strada e si siede sull'erba alta. L'abito di pelle scamosciata da alto funzionario e le morbide scarpe nere sembrano fuori posto, qui.

— Dove siamo? — domanda di nuovo.

Respiro a fondo. L'aria profuma di terreno appena arato, di erba tagliata da poco, di polvere di strada, di aspro sentore di mare. — Secondo me, Hunt, siamo sulla Terra.

— Terra. — L'ometto guarda fisso davanti a sé, senza mettere a fuoco niente. — Terra. Non Nuova Terra. Non Gea. Non Terra Due. Non…

— No — lo interrompo. — La Terra. La Vecchia Terra. O il suo duplicato.

— Il suo duplicato.

Mi siedo accanto a lui. Strappo un filo di erba e ne spelo l'estremità. Ha un sapore aspro e noto. — Ricorda il mio rapporto a Gladstone riguardo le storie dei pellegrini su Hyperion? Il racconto di Brawne Lamia? Lei e la mia controparte, il cìbrido… la prima personalità Keats ricuperata… viaggiarono in quello che ritenevato un duplicato della Vecchia Terra. Nell'ammasso Ercole, se ricordo bene.

Hunt guarda in alto, come se potesse giudicare l'esattezza delle mie parole controllando le costellazioni. In alto l'azzurro ingrigisce leggermente e i cirri si diffondono nella volta celeste. — L'ammasso Ercole — mormora Hunt.

— Perché il TecnoNucleo abbia costruito un duplicato e cosa se ne faccia, Brawne non l'ha mai scoperto — dico. — Il primo cìbrido non lo sapeva, o non ne ha parlato.

— Non ne ha parlato — annuisce Hunt. Scuote la testa. — Bene, come diavolo facciamo a uscire di qui? Gladstone ha bisogno di me. Non può… nelle prossime ore bisogna prendere decine di decisioni di importanza vitale. — Balza in piedi, si precipita al centro della strada, perfetta immagine di energia e determinazione.

Continuo a masticare il filo di erba. — Secondo me, da qui non usciamo.

Hunt viene verso di me come se volesse aggredirmi su due piedi. — Ma lei dà i numeri! Niente uscita? Che pazzia! Quali motivi avrebbe, il Nucleo? — Esita, mi guarda. — Non vogliono che lei parli con Gladstone. Lei sa qualcosa e il Nucleo non può rischiare che Gladstone la venga a sapere.