Lo Shrike si abbassò e spalancò la bocca. Kassad fissò file su file di denti di acciaio in un'orifizio simile alla bocca di una lampreda. Occhi rossi gli riempirono la vista già tinta di sangue.
Kassad piantò la base del palmo contro la mascella dello Shrike e cercò di fare leva. Era come sollevare una montagna di sterco metallico senza avere un punto di appoggio. Le dita affilate dello Shrike continuarono a lacerare la carne di Kassad. Il mostro spalancò la bocca e inclinò la testa finché i denti non riempirono da orecchio a orecchio il campo visivo di Kassad. Non aveva alito, ma il calore proveniente dall'interno puzzava di zolfo e di limatura di ferro surriscaldata. A Kassad non rimaneva difesa: quando il mostro avesse chiuso di scatto le fauci, avrebbe scarnificato fino all'osso la faccia di Kassad.
All'improvviso Moneta intervenne, gridando, in quel luogo in cui il suono non si propagava; piegando come artigli le dita rivestite di dermotuta, afferrò gli occhi sfaccettati come rubini, piantò con forza i piedi contro il carapace, sotto la punta nera, e tirò, tirò.
Le braccia dello Shrike si mossero di scatto all'indietro, mettendo in mostra la doppia giuntura simile a quella di un granchio da incubo; le dita graffiarono Moneta, che cadde via, ma non prima che Kassad rotolasse lontano, strisciasse carponi, sentisse il dolore senza però badarvi, e balzasse in piedi, trascinando con sé la donna, mentre si ritirava sulla sabbia e la roccia congelata.
Per un secondo, le due tute pellicolari si fusero com'era accaduto quando avevano fatto l'amore; Kassad sentì la pelle di Moneta contro la propria, sentì sangue e sudore di tutti e due mescolarsi, percepì il battito congiunto del loro cuore.
"Uccidilo!" bisbigliò Moneta, in tono pressante, lasciando intuire la sofferenza anche attraverso quel mezzo subvocale.
"Ci provo. Ci provo."
Lo Shrike era in piedi, tre metri di cromo e di lame e di sofferenza di altra gente. Non mostrava danni. Il sangue di qualcuno scorreva in piccoli rivoli lungo i polsi e il carapace. Lo sciocco sorriso pareva più ampio di prima.
Kassad separò la propria tuta da quella di Moneta, depose con gentilezza la donna sopra un sasso, pur intuendo che era stata ferita più gravemente di lui. Quella non era la battaglia di Moneta. Non ancora.
Si frappose fra l'amata e lo Shrike.
Esitò, nell'udire un debole ma crescente mormorio che ricordava la risacca contro una spiaggia invisibile. Lanciò un'occhiata in alto, senza mai perdere di vista lo Shrike che avanzava lentamente, e capì che si trattava del coro di grida proveniente dall'albero di spine, molto lontano alle spalle del mostro. Le persone crocifisse, piccole macchie di colore penzolanti dalle spine metalliche e dai gelidi rami, gridavano qualcosa, oltre ai subliminali gemiti di dolore che Kassad aveva udito in precedenza. Era un coro di incitamento.
Kassad riportò l'attenzione sullo Shrike, che aveva ricominciato a muoversi in cerchio. Sentì il dolore e la debolezza nel tallone quasi tranciato… il piede destro era inutile, non riusciva a sostenere il peso; per metà zoppicò, per metà ruotò puntando la mano sul masso, per mantenere il proprio corpo fra lo Shrike e Moneta.
L'incitamento lontano parve interrompersi, come per un ansito.
Lo Shrike smise di essere là e si materializzò qui, accanto a Kassad, sopra Kassad, le braccia già intorno a lui in una stretta definitiva, spine e lame già a contatto della carne. Gli occhi si accesero di luce. Le fauci si spalancarono di nuovo.
Kassad urlò di rabbia, di sfida, e colpì lo Shrike.
Padre Paul Duré varcò la Porta del Papa e si trovò senza incidenti su Bosco Divino. Dalla penombra permeata di incenso degli appartamenti papali fu all'improvviso nella vivida luce del sole, sotto un cielo giallo limone, in mezzo al fogliame verdeggiante.
I Templari lo aspettavano. Quando Duré scese dal teleporter privato, vide il bordo della piattaforma di legno muir, a cinque metri alla sua destra, e al di là di essa, niente… o, piuttosto, tutto, perché le cime degli alberi di Bosco Divino si estendevano fino all'orizzonte, il tetto di foglie brillava e si muoveva come un oceano vivente. Duré capì di trovarsi in alto nell'Albero Mondo, il più grande e il più santo di tutti gli alberi sacri.
I Templari in attesa erano importanti, nella complicata gerarchia della Confraternita del Muir, ma ora si comportarono da semplici guide, lo accompagnarono dalla piattaforma del portale a un ascensore di liane tese che si alzava fra i livelli superiori e le terrazze dove pochi estranei erano mai saliti, e poi di nuovo fuori e su per una scalinata protetta da una ringhiera del più fine legno muir, che saliva a spirale verso il cielo intorno a un tronco che dalla base di duecento metri si assottigliava a meno di otto metri di diametro in prossimità della cima. La piattaforma di legno weir era squisitamente intagliata; le ringhiere mostravano un delicato merletto di liane scolpite a mano, di colonnine e di balaustre che esibivano facce di gnomi, di amadriadi, di fate e di altri spiritelli; il tavolo e le poltrone cui Duré si accostò erano scolpite nello stesso blocco di legno della piattaforma.
Due uomini aspettavano il gesuita. Il primo era Sek Hardeen, la Vera Voce dell'Albero Mondo, Gran Sacerdote del Muir, Portavoce della Confraternita Templare. Il secondo fu una sorpresa. Duré notò la tonaca rossa — il rosso del sangue arterioso — bordata di ermellino nero, il massiccio fisico lusiano coperto da quella tonaca, la faccia tutta mascella e grasso, tagliata in due da un formidabile naso a becco, gli occhietti che si perdevano sopra le guance paffute, le mani grassocce con un anello nero o rosso a ciascun dito. Capì che quello era il Vescovo della Chiesa della Redenzione Finale, il gran sacerdote del Culto Shrike.
Il Templare si alzò in tutta la sua altezza, quasi due metri, e tese la mano. — Padre Duré, siamo assai compiaciuti che si sia potuto unire a noi.
Duré gli strinse la mano, pensando che sembrava davvero una radice, con le dita lunghe e affusolate, color giallo marrone. La Vera Voce dell'Albero Mondo portava una tonaca con cappuccio, identica a quella che aveva indossato Het Masteen, il cui rozzo tessuto di fili verdi e marrone strideva con lo splendore dell'abbigliamento del Vescovo.
— La ringrazio di avermi ricevuto nonostante un preavviso così breve, signor Hardeen — disse Duré. La Vera Voce era il capo spirituale di milioni di seguaci del Muir, ma Duré sapeva che i Templari detestavano usare nella conversazione titoli onorifici. Rivolse al Vescovo un cenno di saluto. — Eccellenza, non pensavo che avrei avuto l'onore di trovarmi in sua presenza.
Il Vescovo del Culto Shrike mosse il capo quasi impercettibilmente. — Ero qui in visita. Il signor Hardeen ha suggerito che la mia partecipazione a questo incontro poteva essere di una certa utilità. Sono lieto di conoscerla, padre Duré. Abbiamo sentito parlare molto di lei, negli ultimi anni.
Il Templare indicò una poltrona dall'altra parte del tavolo e Duré si accomodò, congiunse le mani sopra il piano levigato e rifletté intensamente mentre fingeva di esaminare la magnifica grana del legno. Metà dei servizi di sicurezza della Rete dava la caccia al Vescovo del Culto Shrike. La presenza di quell'uomo indicava complicazioni molto superiori a quelle che il gesuita si era preparato ad affrontare.
— Interessante, vero — disse il Vescovo — che tre rappresentanti delle più profonde religioni dell'umanità siano presenti qui oggi?
— Sì — rispose Duré. — Profonde, ma non rappresentative delle convinzioni religiose dalla maggioranza. Su quasi centocinquanta miliardi di anime, la Chiesa Cattolica ne conta meno di un milione. Il Culto dello… ah… la Chiesa della Redenzione Finale ne conta forse da cinque a dieci milioni. E quanti sono, i Templari, signor Hardeen?