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«Capisco» disse Edith, e tirò via la mano.

«Gradirei, Miss Tanner,» le disse Barrett «che non allarmasse mia moglie prima del tempo.»

«Non intendevo metterla in allarme, dottore. Tuttavia…» Esitò. Poi riprese: «Lei l’avrà messa sull’avviso, suppongo».

«Mia moglie è stata avvertita che ci potranno essere degli inconvenienti.»

Fischer grugnì. «Chiamiamoli inconvenienti» disse. Era la prima volta che apriva bocca, da un’ora buona.

Barrett si rivolse a lui. «È stata anche avvertita che siffatti fenomeni non significheranno, in alcun modo, la presenza di anime di morti.»

Fischer annuì, estrasse un pacchetto di sigarette. «Disturba se fumo?» domandò. Li guardò in faccia. Non ricevendo obiezioni, accese.

Florence parve sul punto di dire qualcos’altro a Barrett, poi cambiò idea. «Strano,» disse invece «strano, che un progetto come questo venga finanziato da un uomo come Deutsch. Non l’avrei mai creduto capace d’interessarsi a certe cose.»

«È molto vecchio» disse Barrett. «Il pensiero della morte lo tormenta, e vuol persuadersi che non è la fine di tutto.»

«Certo che non lo è.»

Barrett si limitò a sorridere.

Edith si rivolse a Florence: «Eppure il suo viso non mi è nuovo» disse. «Come mai?»

«Facevo l’attrice, fino a qualche anno fa. Alla televisione, per lo più, ma ho anche interpretato qualche film. Col nome d’arte di Florence Michaels.»

Edith annuì.

Florence guardò Barrett, poi Fischer. «È una cosa che mi eccita molto,» disse «lavorare con due giganti come voi. E noi tre l’espugneremo, quella casa.»

«Perché la chiamano Casa d’Inferno?» domandò Edith.

«Perché il suo proprietario, Emeric Belasco, ne fece a suo tempo un inferno privato» disse Barrett.

«E sarebbe lui che, adesso, infesta quella casa?»

«Ma non soltanto lui» disse Florence. «I fenomeni sono troppo complessi per essere opera di un solo spirito malvagio. Devono essere parecchi, gli spettri, là.»

«Diciamo semplicemente che c’è qualcosa di arcano, là» corresse Barrett.

Florence sorrise. «D’accordo.»

«E tu conti di venirne a capo con la tua macchina?» Edith domandò.

Florence e Fischer guardarono Barrett. Questi disse: «Vi spiegherò poi».

Tutti guardarono fuori del finestrino, mentre l’auto iniziava una discesa. «Siamo quasi arrivati» disse Barrett. Guardò Edith. «La casa è nella Valle Metawaskie.»

Tutti guardarono verso la valle, incorniciata di colline, il cui fondo era coperto di nebbia. Fischer spense la cicca nel portacenere, dopo un’ultima penosa boccata. Guardò di nuovo avanti a sé e fece una smorfia. «Eccoci dentro.»

L’auto infatti si trovò d’improvviso immersa in una foschia verdastra. L’autista rallentò e si sporgeva in avanti verso il parabrezza, aguzzando lo sguardo. Poi accese i fari antinebbia e azionò il tergicristallo.

«Come può essergli venuto in mente a qualcuno, di costruirsi una casa in un posto simile?» domandò Florence.

«Per Belasco questo era il clima ideale» disse Fischer.

Tutti guardavano oltre i vetri la nebbia che ondeggiava più o meno fitta. Faceva l’effetto di viaggiare in sottomarino, lentamente, attraverso un mare di latte rappreso. Di tanto in tanto appariva un albero, un cespuglio, un masso, poi spariva nell’inquieto biancore. L’unico rumore era il ronzio del motore.

Alla fine, una frenata. Tutti cercarono di intravedere l’altra Cadillac, che doveva essere poco oltre: si era udito sbattere uno sportello. Poi apparve tra la fitta nebbia la figura dell’uomo di Deutsch. Barrett spinse un bottone che faceva abbassare il vetro del finestrino. L’odore fetido di quella nebbia gli fece storcer la bocca.

L’uomo si sporse. «Siamo al bivio» disse. «Il vostro autista prosegue con noi, per Caribou Falls. Sicché uno di voi dovrà guidare fino alla villa: non è lontana. Il telefono è stato allacciato, la luce funziona, le vostre stanze sono in ordine.» Indicò col mento. «In quel paniere c’è abbastanza per il pranzo. La cena vi verrà portata alle sei. Siamo a posto?»

«E la chiave della porta d’ingresso?» domandò Barrett.

«Non è chiusa.»

«Meglio averla, comunque» disse Fischer.

Barrett lo guardò, poi tornò a guardare l’uomo. «Sì, credo anch’io sia meglio.»

L’uomo estrasse un mazzo di chiavi dal taschino del panciotto e ne sfilò una che consegnò a Barrett. «Nient’altro?»

«Telefoneremo, se funziona il telefono.»

L’uomo sorrise lievemente. «Allora, addio» disse. E si allontanò.

«Spero bene che intendesse arrivederci» disse Edith.

Barrett sorrise, richiudendo il finestrino.

«Guido io» disse Fischer. Scavalcò la spalliera, per mettersi al posto di guida. Avviò il motore. L’auto infilò una stradina ghiaiata, solcata da carraie.

Edith emise un sospiro. «Vorrei proprio sapere cosa ci aspetta.»

Fischer rispose senza voltarsi. «Non si aspetti niente di buono» disse.

ore 11.47

La Cadillac doveva avanzare con estrema cautela per quella strada stretta, tutta buche, fra la nebbia. Poi Fischer frenò e spense il motore. «Ci siamo» disse. Aprì lo sportello e discese, abbottonandosi il montgomery.

Edith attese che suo marito scendesse, a fatica, sbuffando, poi discese a sua volta. Rabbrividì. «Fa freddo» disse. «E che razza d’odore!»

«Ci sarà qualche palude qui d’intorno.»

Florence scese a sua volta; tutti e quattro ristettero per un po’ guardandosi intorno, in silenzio.

«Da quella parte» disse Fischer, indicando, oltre il cofano dell’auto.

«Prima diamo un’occhiata, poi veniamo a prendere i bagagli» disse Barrett. E rivolto a Fischer: «Lei faccia strada».

Fischer si incamminò.

Percorsi pochi metri, raggiunsero un ponticello in muratura. L’attraversarono. Edith guardò oltre il parapetto. Se c’era dell’acqua, non la si vedeva a causa della nebbia. Questa aveva già inghiottito la limousine.

«Attenti a non cadere nello stagno» li avvertì Fischer, in avanguardia. Edith distinse infatti uno specchio d’acqua, sulla destra d’un sentiero ghiaiato che lo costeggiava. La superficie dello stagno era immota e pareva gelatinosa, sotto la nebbia che la lambiva, ed era cosparsa di foglie morte e altri sottili detriti. Ne emanava un odore di cose putride e le pietre che ne delimitavano il bordo erano verdi, viscide.

«È di qui che provengono i miasmi» disse Barrett. Scosse la testa. «Come poteva mancare uno stagno puzzolente nella proprietà di Belasco?»

«È la Palude dei Bastardi» disse Fischer.

«Perché è chiamata così?»

Fischer non rispose. Dopo un po’ disse: «Poi ve lo dirò».

Procedettero in silenzio, la ghiaia scricchiolava sotto i loro passi. Il freddo era intenso, penetrante, e pareva insinuarsi nel midollo delle ossa. Edith rialzò il bavero, si fece più accosto a Lionel, cui dava il braccio, badando dove mettesse i piedi. Florence Tanner li seguiva davvicino.

Quando Lionel si fermò, alla fine, Edith rialzò la testa.

Di fronte a loro, avvolta dalla nebbia, c’era il massiccio torvo spettro di una casa.

«Orrenda» disse Florence, con una punta di rabbia nella voce.

Edith la guardò. E Barrett disse: «Non siamo ancora neanche entrati, Miss Tanner».

«Non c’è bisogno di entrare.» Florence si rivolse a Fischer, che fissava la casa. D’un tratto l’uomo rabbrividì. Florence gli posò una mano sull’avambraccio. Lui gliela prese e la strinse, così forte da procurarle una smorfia.

Barrett e Edith seguitavano a esaminare l’edificio ammantato di nebbia. Sembrava una muraglia spettrale che sbarrasse loro la strada. Edith esclamò: «Ma non ha finestre!».