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Rawlins si lasciò cadere accanto a una vasca di calcare e cercò di prendere fiato. «Datemi da bere» disse. «Quel vostro liquore…»

Muller andò a una fontana poco distante e riempì una fiaschetta del liquore che Ned desiderava. Poi si avvicinò per darglielo, e l’altro non si scompose: sembrava che non avvertisse più le emanazioni. Avidamente, convulsamente, vuotò la fiaschetta, incurante dei rivoletti di liquore che gli colavano lungo il mento e imbrattavano gli abiti. Poi chiuse gli occhi.

«Aspettate. Lasciatemi riprendere fiato. Ho corso sempre, dalla zona F.»

«Puoi dirti fortunato di essere ancora vivo, allora.»

Muller lo guardava, perplesso. Il cambiamento del ragazzo era stato troppo repentino e sconvolgente, non lo si poteva attribuire a stanchezza soltanto. Rawlins era sconvolto, congestionato, con la faccia contratta, lo sguardo che vagava sperduto in cerca di chissà cosa. Ubriaco? Malato? Drogato?

Dopo un po’, Muller disse: «Ho ripensato alla nostra ultima conversazione, sai, e mi sono convinto di avere agito in modo insensato.» S inginocchiò e cercò di scrutare negli occhi sfuggenti del giovane. «Ehi, Ned! Guardami. Ritiro tutto quello che ho detto. Sono disposto a tornare sulla Terra per farmi curare: anche se la cura è ancora in fase sperimentale, tenterò!»

«Non c’è nessuna cura» disse Rawlins, cupo.

«Nessuna…»

«No. È stata tutta un’invenzione.»

«Già… Naturalmente.»

«L’avevate capito anche voi» disse Rawlins. «Mi avevate detto che mentivo e vi siete chiesto che cosa ci guadagnassi. Mentivo, davvero, Dick.»

«Mentivi.»

«Sì.»

«Ma io avevo cambiato idea» mormorò Muller. «Ero pronto per tornare sulla Terra…»

«Non ci sono speranze di guarigione per voi.»

Rawlins si alzò lentamente e si passò le dita tra i capelli. Si rassettò gli abiti in disordine, raccolse la fiaschetta, si avvicinò alla fontana che gettava liquore e la riempì. Poi tornò indietro e porse la fiaschetta a Muller, che bevve.

Alla fine, Muller chiese: «Vuoi spiegarmi questa storia?»

«Non siamo archeologi. Siamo venuti qui appositamente per cercare voi. Non è stato un caso: sapevamo che eravate qui. Vi hanno spiato fin da quando avete lasciato la Terra, nove anni fa.»

«Avevo preso diverse precauzioni.»

«Non sono servite a niente. Boardman sapeva dov’eravate diretto e vi ha fatto seguire. Vi ha lasciato in pace soltanto perché non aveva bisogno di voi. Ma quando gli siete ridiventato utile, si è affrettato a scovarvi.»

«È stato Charles Boardman, dunque, che ti ha mandato?»

«Sì. Siamo venuti per prendervi. È l’unico scopo della nostra spedizione» disse Rawlins. «Sono stato scelto io per mettermi in contatto con voi, perché conoscevate mio padre e vi sareste fidato di me. Boardman mi ha guidato continuamente, suggerendomi quello che dovevo dire, consigliandomi perfino gli errori che dovevo fare per rendere più verosimile il mio racconto. È stato lui a dirmi di entrare nella gabbia, per esempio. Pensava che quel gesto avrebbe contribuito a guadagnarmi la vostra fiducia.»

«Boardman è qui? Qui su Lemnos?»

«Nella zona F. Ha stabilito là un campo.»

La faccia di Muller si era fatta di pietra. Dentro era il caos. «Perché l’ha fatto? Che cosa vuole da me?»

«Voi sapete che esiste una terza razza intelligente nell’Universo, oltre a noi e agli Hydrani?» disse Rawlins.

«Sì. Ne avevano appena scoperta l’esistenza quando sono partito. Per questo mi avevano mandato a prendere contatto con gli Hydrani. Dovevo stabilire un’alleanza difensiva con loro, prima che l’altro popolo, gli extra-galattici, venissero in contatto con noi. Non ce l’ho fatta, ma…»

«Che ne sapete di questi extra-galattici?»

«Pochissimo. Niente d’importante oltre quello che ti ho già detto. Ne avevo sentito parlare per la prima volta il giorno in cui ho accettato di andare su Beta Hydri IV. Me ne parlò lo stesso Boardman. Mi disse che erano esseri intelligentissimi, una specie superiore, e che vivevano in un ammasso stellare limitrofo; che possedevano una propulsione galattica e che avrebbero potuto farci visita, un giorno o l’altro.»

«Adesso ne sappiamo di più.»

«Prima dimmi che cosa vuole Boardman da me.»

«Lasciatemi spiegare con ordine, e sarà più facile.» Rawlins rise, forse un po’ ubriaco, e continuò: «Non che se ne sappia davvero molto su questi extra-galattici. Ci siamo limitati a lanciare un autoreattore e a inviarlo ad alcune migliaia di anni-luce dalla Terra, o forse miliardi. Comunque era un ricognitore equipaggiato con tutti i più moderni strumenti di rilevazione. L’apparecchio arrivò in una delle galassie a raggi-X, il nome è stato tenuto segreto, ma sembra che si tratti di Cigno A o Scorpione II. Così abbiamo scoperto che un pianeta di quel sistema galattico era abitato da creature stranissime, straordinariamente evolute.»

«Molto diverse da noi?»

«Vedono l’intero spettro» disse Rawlins. «Il loro campo visivo principale abbraccia la sfera delle alte frequenze. Distinguono gli oggetti alla luce dei raggi-X. Sembra inoltre che siano in grado di usare le frequenze radio per ottenere alcune informazioni sensoriali. E captano la maggior parte delle lunghezze d’onda, ma non s’interessano molto di ciò che sta tra l’infrarosso e l’ultravioletto, quello che noi chiamiamo lo spettro visibile.»

«Aspetta un minuto. Sono radiosensoriali, hai detto. Hai idea di cosa significhi? Se quelle creature captano le loro sensazioni da un’onda radio, devono avere occhi, ricettori, o qualunque altra cosa sia, di proporzioni gigantesche. Come sarebbero grandi questi esseri?»

«Potrebbero mangiarsi un elefante con la stessa facilità con cui noi mangiamo un panino.»

«Gli esseri intelligenti non raggiungono mai proporzioni simili.»

«E che cosa potrebbe limitarli? Quello è un gigantesco pianeta gassoso, senza oceani, e quasi completamente privo di gravità. Galleggiano. Non hanno problemi in quel senso.»

«Un gruppo di super-balene avrebbe sviluppato una civiltà tecnologica? Non vorrai farmi credere…»

«Eppure è così. Vi ho detto che sono esseri stranissimi. Non sono in grado di costruirsi le macchine da sé, ma hanno degli schiavi.»

«Ah! Così?» disse Muller.

«Di questo cominciamo soltanto adesso a rendercene conto, e io, naturalmente, non sono informato di tutto, ma sembra che questi esseri si servano di forme di vita inferiori, trasformandole in robot radio-controllati. Si servono di tutto ciò che possiede membra e capacità di muoversi. Hanno cominciato con alcuni animali del loro pianeta, piccole creature che somigliano a delfini, forse alle soglie dell’intelligenza, e per mezzo loro sono riusciti a realizzare la propulsione spaziale. Poi si sono spinti sui pianeti vicini, mondi di terra, e si sono assicurati il controllo di pseudo-primati, specie di proto-scimmie. Hanno bisogno di qualcuno che possieda mani e dita, capite? Danno molta importanza all’abilità manuale. Attualmente la loro sfera d’azione si estende per ottanta anni-luce, e sembra espandersi velocemente.»

Muller scosse la testa. «Sono sciocchezze anche più grosse di quelle che volevi darmi a intendere sulla mia guarigione! Senti, c’è una velocità limite per la trasmissione radio, no? Se controllano i loro lacchè da una distanza di ottanta anni-luce, ci vorranno otto anni perché ciascun comando giunga a destinazione. Ogni contrazione di muscolo, ogni movimento…»

«Possono abbandonare il loro mondo natale.»

«Ma se sono tanto grandi…»

«Hanno addestrato i loro schiavi a costruire serbatoi di gravità. Ora possiedono anche la propulsione stellare. Tutte le colonie sono controllate da sovrintendenti che se ne stanno in orbita, a una distanza di alcune migliaia di chilometri, e galleggiano in un ambiente simulato che ha le caratteristiche di quello natale. Basta un solo sovrintendente per governare un intero pianeta.»