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Guardò di nuovo gli schermi: le figure umane si muovevano intorno all’astronave, sulla pianura.

Vengano pure pensò Muller. Sono anni che la città non ha le sue vittime. Se ne occuperà lei stessa. Io, qui, sono al sicuro.

Del resto sapeva bene che, se anche quelli fossero riusciti a raggiungerlo, non sarebbero certamente rimasti a lungo. La sua particolare malattia li avrebbe fatti scappare. Anche se fossero stati abbastanza intelligenti da sconfiggere il labirinto, non avrebbero però resistito al male che rendeva un uomo insopportabile agli esseri della propria specie.

«Andatevene!» disse ad alta voce.

Sentì il rombo dei rotori, e uscì dal rifugio per osservare un’ombra nera che attraversava lentamente la piazza. Stavano esplorando il labirinto dall’alto.

Rientrò in fretta, poi rise dell’impulso che l’aveva spinto a nascondersi. Potevano individuarlo dovunque fosse. I loro schermi avrebbero rivelato comunque la presenza di un essere umano nel labirinto, e allora quelli avrebbero certamente tentato di mettersi in contatto con lui, anche se non sapevano chi fosse. Dopo di che…

Si irrigidì, preso di colpo da un violento desiderio: fare in modo che lo raggiungessero. Parlare ancora con gli uomini. Spezzare il suo tremendo isolamento… «Voleva» che lo raggiungessero!

Ma fu questione di un istante. Un attimo di debolezza.

Subito la sua mente tornò lucida, consapevole di quello che significava affrontare di nuovo gli uomini. No! pensò. State alla larga! O crepate nel labirinto. Alla larga, alla larga, alla larga!

4

«Ecco, là! Proprio là» disse Boardman. «Ecco dove dev’essere, Ned. Guarda, lo schermo si è illuminato. Abbiamo captato la massa giusta, la densità giusta, tutto giusto! C’è un uomo vivo, e non può essere che Muller.»

«Nel cuore del labirinto» disse Rawlins. «Allora ce l’ha fatta davvero!»

«Già.» Boardman guardò di nuovo. Da un’altezza di due chilometri, la struttura della città interna era chiaramente visibile. Riusciva a scorgere otto zone distinte, ciascuna col suo stile architettonico caratteristico, le sue piazze e le sue passeggiate, i muri, il groviglio di strade che serpeggiavano seguendo un tracciato tanto complesso da dare le vertigini. Le zone concentriche si allargavano a ventaglio da una grande piazza che stava proprio al centro. Il rivelatore di massa dell’aereo aveva localizzato Muller in una fila di edifici bassi, nella parte est della piazza. Quello che Boardman non riusciva a vedere erano i passaggi che collegavano tra loro le varie zone. C’erano un’infinità di vicoli ciechi, e neanche dall’alto era possibile individuare la strada giusta. Come si poteva trovarla a terra?

Era estremamente difficile, Boardman lo sapeva bene. I dati conservati nell’astronave tenevano conto di lutti gli esploratori che avevano tentato l’impresa e che avevano fallito. Fra tutte le informazioni riguardanti l’esplorazione del labirinto ce n’era solo una positiva: Muller ce l’aveva fatta.

«Forse vi sembrerà una domanda ingenua» disse Rawlins «ma perché non scendiamo con l’aereo proprio in mezzo alla piazza principale?»

«Te lo dimostro subito.»

Boardman diede un ordine, e un robot ricognitore si staccò dal ventre dell’apparecchio dirigendosi verso la città. I due uomini lo seguirono con lo sguardo, finché arrivò a poche decine di metri dagli edifici. Attraverso l’occhio sfaccettato del robot, videro la complessità dell’agglomerato di pietra. All’improvviso il ricognitore scomparve. Un’esplosione incandescente, uno sbuffo di fumo verdastro, poi più niente.

«Visto? C’è ancora un campo protettivo sopra la città» disse Boardman. «Tutto ciò che tenta di attraversarlo viene disintegrato.»

«Allora anche un uccello che si avvicinasse troppo…»

«Non esistono uccelli su Lemnos.»

«Le gocce di pioggia, allora, o qualsiasi altra cosa che cada sulla città.»

«Qui non piove mai» dichiarò Boardman, cupo. «Perlomeno, non su questo continente. L’unica cosa che quel campo tiene lontana sono gli stranieri. Lo si sa fin dalla prima spedizione: alcuni coraggiosi l’hanno imparato a loro spese.»

«Ma non hanno provato con un ricognitore, prima?»

Boardman sorrise. «Quando uno trova una città morta nel mezzo di un deserto, l’ultima cosa che si aspetta è di saltare in aria se cerca di atterrare. È un errore perdonabilissimo, solo che Lemnos non perdona gli errori.» Eseguì una manovra. L’apparecchio perse quota, seguendo per un poco la cerchia delle mura esterne. Poi si alzò di nuovo e si tenne sopra il cuore della città. La luce solare si rifletteva in una sala piena di specchi, con lampi accecanti. Volarono ripetutamente sopra l’intero labirinto, tracciando un piano di esplorazione.

Il comandante Hosteen entrò nella cabina. Era un tipo basso e tarchiato, col naso camuso e la pelle color rame. Un brav’uomo, ligio al dovere e pronto a sacrificare una ventina di vite, compresa la sua, pur di penetrare in quel labirinto.

Hosteen lanciò un’occhiata allo schermo, poi guardò Boardman e chiese: «Niente di nuovo?»

«No. Non sarà un’impresa facile.»

«Si torna alla base?»

«Per me, possiamo anche tornare. A meno che Ned non voglia controllare ancora qualcosa.»

«Io? No. Cioè… Ecco, sto pensando che… forse potremmo evitare di avventurarci nel labirinto. Voglio dire che potremmo cercare di attirare Muller fuori dalla città con qualche altro espediente.»

«No.»

«Credete che non funzionerebbe?»

«Infatti» disse Boardman, scaldandosi. «Punto primo: Muller non uscirebbe mai se glielo chiedessimo. È un misantropo, non ricordi? È venuto a seppellirsi qui per sfuggire l’umanità. Perché dovrebbe fraternizzare con noi? Punto secondo: non possiamo chiedergli di uscire senza rivelargli troppo apertamente quello che vogliamo da lui. In questa impresa dobbiamo tenere in serbo le nostre risorse strategiche, Ned, non sprecarle tutte alla prima mossa.»

«Cosa intendete dire? Non capisco.»

«Supponiamo allora, per ipotesi, che noi si decida di applicare il tuo sistema» spiegò Boardman, pazientemente. «Cosa diresti a Muller per convincerlo a venir fuori?»

«Che siamo venuti dalla Terra per chiedergli di aiutarci in questa crisi che coinvolge l’intero sistema. Che ci siamo imbattuti in una specie sconosciuta, con la quale non riusciamo a comunicare; che è indispensabile abbattere rapidamente questa barriera, e che soltanto lui è in grado di farlo. Noi…»

Rawlins s’interruppe. Dopo un po’, con voce rauca, soggiunse:

«Su Muller, questi argomenti non faranno certamente presa, vero?»

«Infatti, Ned. Già un’altra volta la Terra l’ha mandato tra creature sconosciute, ed è stata la sua rovina.»

5

Erano venuti equipaggiati per risolvere il problema del labirinto. Il cervello elettronico dell’astronave, un calcolatore di prima classe, conteneva i particolari relativi a tutti gli altri tentativi fatti in precedenza dai Terrestri per penetrare nella città. Tutti, tranne uno e, sfortunatamente, proprio quello che era stato coronato dal successo. Ma anche gli altri dati avevano la loro importanza. La nave, inoltre, possedeva una quantità di estensioni mobili, quali ricognitori aerei e terrestri, occhi-spia, sensori a batteria. Prima di rischiare una sola vita umana nel labirinto, Boardman e Hosteen avrebbero sfruttato i ricognitori meccanici. Ne avevano molti, di ogni tipo, e potevano, se necessario, concedersi il lusso di «sprecarli»: la nave era, comunque, in grado di sostituire tutti i dispositivi che fossero andati distrutti. Una volta finito il lavoro dei ricognitori si sarebbero analizzati tutti i dati e tutte le informazioni raccolte e qui sarebbe entrato in scena l’uomo.