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Ormai sapeva quale sarebbe stato lo scopo della sua vita.

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Jeserac non era molto disponibile, anche se non oppose le resistenze che Alvin si aspettava. Nella sua lunga carriera di tutore si era sentito porre altre volte domande del genere, ed era convinto che nemmeno un Unico come Alvin potesse sottoporgli problemi impossibili da risolvere.

Certo Alvin si comportava in modo alquanto singolare. Non prendeva parte come avrebbe dovuto alla complicatissima vita sociale della città, né alle fantasie dei compagni. Non prendeva neanche interesse alle attività superiori del pensiero, ma forse per questo era ancora troppo immaturo.

Piuttosto preoccupante poi era la sua instabilità sentimentale. D’accordo che per formare un legame stabile bisognava almeno aver compiuto il secolo, ma Alvin era famoso per la sua incostanza. I suoi amori erano intensi, finché duravano… ma nessuno aveva resistito per più di una settimana.

A quanto pareva, Alvin poteva interessarsi a fondo solo a una cosa per volta. Talora si perdeva con tutto se stesso nei giochi erotici delle compagne, oppure scompariva per diversi giorni con la ragazza che aveva scelto. Ma passato quel particolare stato d’animo, trascorreva lunghi periodi di totale disinteresse per quella che alla sua età avrebbe dovuto essere l’occupazione preferita. Probabilmente non era un bene per lui, e di certo non era un bene per le amanti che lasciava: diventavano tutte di pessimo umore, e passava molto tempo prima che riuscissero a consolarsi con qualcun altro. Alystra, Jeserac se n’era accorto, stava appunto sperimentando quella triste fase.

Non che Alvin fosse senza cuore, o mancasse di serietà. In amore, come in tutto il resto, pareva in cerca di qualcosa che Diaspar non poteva offrigli.

Ma Jeserac non si lasciava impressionare da queste bizzarrie. Un Unico doveva per forza avere un temperamento un po’ difficile, e a tempo opportuno Alvin si sarebbe uniformato allo schema generale della città. Nessun individuo singolo, per quanto brillante, poteva tener testa all’inerzia di una società che era rimasta immutata da più di un miliardo di anni. Jeserac credeva nella stabilità, anzi non riusciva a concepire nient’altro.

«Il problema che ti tormenta è antichissimo» disse ad Alvin. «Ma difficilmente accade che qualcuno ci pensi o se ne preoccupi. Un tempo la specie umana occupava uno spazio infinitamente più grande di questa città.

Tu hai visto qualcosa di quel che era la Terra prima della sparizione degli oceani e la comparsa del deserto. Le registrazioni che tanto ami proiettare sono le più vecchie che possediamo, le uniche che mostrino come sia stata la Terra prima dell’arrivo degli Invasori. Non penso che molti le abbiano viste. Quegli spazi aperti e senza limite sono uno spettacolo che pochi hanno il coraggio di contemplare. La Terra, poi, era solo un granello di sabbia nell’Impero Galattico. Nessuna mente sana oserebbe immaginare come dovessero essere quegli spazi tra le varie stelle. I nostri progenitori li attraversarono all’alba della storia quando si accinsero a costruire l’Impero.

Poi li riattraversarono per l’ultima volta quando gli Invasori li ricacciarono sulla Terra.

«La leggenda dice che gli uomini fecero un patto con gli Invasori. Loro si sarebbero tenuti l’universo, noi ci saremmo accontentati del mondo su cui eravamo nati. Abbiamo mantenuto il patto e dimenticato gli inutili sogni della nostra infanzia, come accadrà anche a te, Alvin. Gli uomini che costruirono questa città, e concepirono la società che l’avrebbe occupata, erano signori dello spirito oltre che della materia. Misero entro queste mura ciò che la specie umana avrebbe potuto desiderare, e si assicurarono che noi non avremmo mai pensato a lasciarle.

«Le barriere materiali non contano, naturalmente. Forse esistono strade che portano fuori della città, ma sono certo che se anche tu ne trovassi una non avresti il coraggio di allontanarti troppo. Ma anche ammesso che ci riuscissi, quale sarebbe lo scopo? Il tuo corpo non durerebbe a lungo nel deserto, quando la città non potesse più proteggerlo e nutrirlo.»

«Ammettiamo che ci sia il modo di uscire dalla città» rispose Alvin, pensoso. «Cosa potrebbe impedirmi di lasciarla?»

«Questa è una domanda sciocca. Conosci già la risposta.»

Jeserac aveva ragione, ma non nel senso che immaginava. Alvin sapeva, o meglio aveva sospettato la risposta. Gliel’avevano data i compagni, sia nella vita reale che durante le saghe che avevano vissuto con lui. Loro non avrebbero mai trovato il coraggio di lasciare Diaspar; Jeserac, però, non sapeva che questo istinto che regolava la loro vita non aveva alcun potere su Alvin. Questa differenza era uno degli effetti della sua Unicità. Alvin si chiedeva quanti altri ne avrebbero scoperti in seguito.

Nessuno aveva mai fretta a Diaspar, e perfino Alvin rispettava questa regola. Per parecchie settimane considerò attentamente il problema, dedicando parecchio tempo all’esame dei documenti storici della città. Per ore intere restava disteso, sorretto dalle impalpabili braccia dell’antigravità, sotto gli effetti del proiettore ipnotico che gli apriva la mente al passato. Al termine della proiezione la macchina spariva, ma Alvin continuava a restare disteso con gli occhi fissi nel vuoto, per passare lentamente attraverso gli eoni, e giungere nuovamente alla realtà. Vedeva le ampie distese di acqua azzurra, molto più vaste della terra stessa, che spingevano le onde verso spiagge dorate. Le sue orecchie sentivano il boato delle onde che erano rimaste in silenzio per milioni di anni. E ricordava le foreste, e le praterie, e gli strani animali che una volta popolavano la Terra insieme con l’uomo.

Le proiezioni da usare allo scopo non erano molte; era generalmente accettato il fatto che, nel periodo tra la venuta degli Invasori e la fondazione di Diaspar, tutti i ricordi delle ore primitive fossero andati perduti. La distruzione era stata così completa da far sospettare che non fosse avvenuta per puro incidente. L’umanità aveva smarrito il suo passato, a eccezione di poche cronache che sembravano avvicinarsi più alla leggenda che alla storia. Prima di Diaspar esisteva solo la Preistoria. In essa si confondevano inestricabilmente i primi uomini che avevano scoperto il fuoco e quelli che avevano scoperto l’energia atomica, i primi navigatori e i piloti spaziali.

Erano uniti gli uni agli altri, al confine di quel deserto di tempo.

Alvin avrebbe preferito fare i suoi esperimenti da solo, ma a Diaspar non sempre era possibile starsene in pace. Aveva appena lasciato la sua stanza quando incontrò Alystra che veniva a trovarlo.

Alystra era bella, ma Alvin, che non aveva mai visto la bruttezza umana, non se ne accorgeva nemmeno. Quando è universale, la bellezza perde tutto il suo potere. Soltanto quando manca può suscitare delle emozioni. Per un attimo restò seccato per quell’incontro. Era troppo giovane per sentire il bisogno di una relazione duratura e d’altra parte la barriera della sua unicità si frapponeva tra lui e la sua compagna. Alvin, nonostante l’aspetto, era ancora un ragazzo e lo sarebbe stato ancora per molti decenni, mentre Alystra e tutte le altre coetanee avevano già cominciato a trasformarsi in un complesso di ricordi e di esperienze che trascendevano la sua comprensione. Era un fatto che aveva già visto accadere, e questo lo rendeva cauto nel concedersi totalmente a una qualsiasi altra persona. Anche Alystra, che ora sembrava tanto ingenua e spontanea, sarebbe presto diventata un complesso di ricordi e di capacità da sbalordire.

Il leggero senso di irritazione si dissipò quasi subito. Non c’era ragione di impedire che Alystra venisse da lui, se lo desiderava. Non era egoista, e non voleva rinchiudere tutte le nuove esperienze dentro di sé, come un avaro. In fondo, poteva benissimo imparare qualcosa dalle reazioni di lei.

La ragazza, contrariamente al solito, non fece domande mentre la strada mobile li portava verso la periferia. Si spostarono sulla parte centrale della strada, quella ad alta velocità, senza mai preoccuparsi di osservare il miracolo che si stava srotolando sotto i loro piedi. Uno scienziato del vecchio mondo sarebbe impazzito nel tentativo di comprendere come una strada, apparentemente fissa ai lati, potesse muoversi con sempre maggiore velocità verso il centro. Ma per Alvin e Alystra era assolutamente normale che esistesse una materia capace di avere le proprietà dei solidi in una direzione, e le proprietà dei liquidi in un’altra. Attorno a loro gli edifici si elevavano sempre più alti, quasi la città volesse rinforzare i suoi baluardi contro il mondo esterno. Che strano sarebbe stato, pensò Alvin, se quelle pareti fossero diventate trasparenti come il vetro, rivelando la vita che si svolgeva al loro riparo. Sparpagliati attorno a lui vivevano gli amici che conosceva, coloro che gli sarebbero diventati amici in futuro, e sconosciuti che lui non avrebbe mai incontrato… anche se questa era una probabilità molto remota, dato che nel corso della sua lunga vita avrebbe finito col conoscere quasi tutti gli abitanti di Diaspar. Molti forse si trovavano nelle loro stanze, ma con tutta probabilità non erano soli. A Diaspar bastava formare il desiderio per trovarsi in compagnia della persona scelta, anche se non fisicamente. Nessuno poteva annoiarsi, perché tutti avevano accesso a tutto quanto era accaduto, sia nell’immaginazione che nella realtà, dai giorni in cui Diaspar era stata fondata. Per uomini dalle menti formate in quel modo, l’esistenza era del tutto soddisfacente. Ed era anche completamente futile, anche se Alvin non lo comprendeva ancora.