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Adikor annuì. «Da sessanta mesi.»

«Lo amavi?»

«Moltissimo.»

«La sua compagna è morta di recente, vero?»

«Era anche la tua compagna» disse Adikor cogliendo al balzo l'opportunità di sottolineare il conflitto di interessi di Bolbay.

Ma la donna era preparata: «Sì. La mia amata Klast. Non è più in vita, e ne provo un gran dolore. Ma per quello che è accaduto non incolpo nessuno, perché nessuno è responsabile della sua morte. La malattia è un evento naturale, e gli specialisti hanno fatto tutto il possibile per renderle sereni gli ultimi mesi di vita. Ma per la morte di Ponter Boddit esiste un responsabile.»

«Sia più prudente, Daklar Bolbay» intervenne il giudice Sard. «Non ha ancora provato che lo scienziato Boddit sia morto, e finché non sarò io a dichiararlo tale lei si deve limitare solo a ipotizzare una simile circostanza.»

Bolbay si voltò verso Sard. «Le mie scuse, signor giudice» disse con un inchino. Quindi si voltò nuovamente a fronteggiare Adikor. «Stavamo parlando di un'altra morte, sulla quale non esiste dubbio alcuno: quella di Klast, che è stata la compagna di Ponter… oltre che la mia.» Chiuse gli occhi e continuò: «Il mio dolore è troppo grande da comprendere, e non è mia intenzione manifestarlo a nessuno. E il dolore di Ponter, ne sono sicura, è stato altrettanto grande. Klast parlava spesso di lui, e so bene quanto lo amasse, e quanto lui amasse lei.» Si fermò un attimo, come per ricomporsi. «E alla luce di questa recente tragedia, dobbiamo formulare un'altra ipotesi riguardo alla scomparsa di Ponter: potrebbe essersi tolto la vita per la morte di Klast?» Fissò Adikor, rivolgendogli la domanda: «Qual è la tua opinione in proposito, scienziato Huld?»

«La scomparsa di Klast lo aveva duramente colpito, ma è avvenuta già un po' di tempo fa. Se avesse deciso di suicidarsi lo avrei certamente saputo.»

Bolbay annuì come se condividesse la supposizione fatta dall'accusato. «Non pretendo di conoscere bene Ponter Boddit quanto te, ma condivido quanto hai detto. Ma ti chiedo ancora: ci potrebbero essere state delle ragioni per spingerlo al suicidio?»

Adikor fu colto di sorpresa: «Quali?»

«Be', per esempio il vostro lavoro. Perdonami, scienziato Huld, ma non trovo un modo cortese per affermare che il vostro lavoro è stato un fallimento. La sessione del Consiglio dei Grigi, nella quale entrambi avreste dovuto discutere del vostro contributo alla comunità, era imminente. Potrebbe darsi che lui si sia tolto la vita temendo che avrebbero fermato i vostri esperimenti?»

«No» rispose Adikor sbigottito. «No. In effetti, se qualcuno rischiava qualcosa davanti al Consiglio, quello ero io.»

Bolbay lasciò che le parole fossero pienamente recepite dall'uditorio, quindi chiese: «Saresti così gentile da illustrarci meglio la situazione?»

«Nel nostro progetto Ponter è il teorico. Le sue teorie non sono state dimostrate ma nemmeno invalidate, quindi bisognerà continuare a lavorarci su. Io sono l'ingegnere: il mio compito è quello di costruire un sistema sperimentale in grado di verificare le sue idee. Ed è proprio quel sistema — il nostro prototipo di computer quantistico — ad aver fallito. Il Consiglio avrebbe potuto reputare inadeguato il mio contributo, ma certo non quello di Ponter.»

«Quindi escludi che Ponter possa essersi suicidato» gli chiese per la seconda volta Bolbay.

«Le ripeto» intervenne nuovamente il giudice Sard «che deve parlare dello scienziato Boddit come se fosse vivo, finché non decreterò il contrario.»

Bolbay si inchinò di nuovo verso il giudice: «Le porgo di nuovo le mie scuse.» Quindi tornò a rivolgersi all'accusato: «Se Ponter avesse voluto uccidersi, è ragionevole supporre che lo avrebbe fatto senza coinvolgerti?»

«L'ipotesi del suicidio è così inverosimile…» cominciò Adikor.

«Sì, su questo siamo d'accordo,» lo interruppe Bolbay pacatamente «ma, sempre in via ipotetica, sei d'accordo che se avesse deciso di farlo avrebbe scelto un modo che non avrebbe suscitato dei sospetti su di te?»

«Sì, sono d'accordo.»

«Grazie» disse Bolbay. «E invece, riguardo alla questione da te stesso sollevata: l'inadeguatezza del tuo contributo…»

Adikor si agitò sulla panca. «Ebbene?»

«Be', io non ho certo intenzione di sollevare questo dubbio» aggiunse Bolbay, e Adikor intuì il colpo basso. «Ma dal momento che sei stato tu stesso a parlarne, sarebbe forse il caso di esaminare un po' più a fondo la questione… anche solo per dissipare ogni dubbio, come certo capirai.»

Adikor rimase in silenzio, finché Bolbay non riprese: «Come ci si sente a vivere all'ombra di qualcun altro?» gli chiese nel modo più amabile di questo mondo.

«… Come, prego?»

«Insomma, hai appena affermato che non era il suo contributo ad essere messo in questione, ma il tuo.»

«Mi riferivo alla riunione del Consiglio,» si difese Adikor «ma in generale…»

«In generale» disse Bolbay con voce melliflua «devi ammettere che il tuo contributo rispetto al suo è minimo. Non è forse vero?»

«La domanda è pertinente con il dibattimento?» interloquì Sard.

«In verità, Vostro Onore, credo che lo sia» rispose l'accusatrice.

Sard sembrò dubbiosa, ma col capo fece segno a Bolbay di continuare, cosa che ella fece immediatamente: «Scienziato Huld, sono certa che tu sia consapevole del fatto che i futuri studiosi di fisica si imbatteranno di frequente nel nome di Ponter, mentre il tuo sarà praticamente dimenticato.»

Adikor sentiva il cuore scalpitare. «Non ho mai pensato a cose simili» rispose.

«Oh, andiamo» l'incalzò Bolbay, come se stesse parlando di qualcosa che entrambi sapevano bene. «La differenza dei vostri contributi è lampante.»

«Daklar Bolbay, la diffido nuovamente a continuare su questo argomento» la riprese il giudice. «Non c'è ragione di umiliare l'accusato.»

«Sto solamente cercando di indagare il suo stato mentale» ribatté Bolbay, inchinandosi ancora una volta, e senza aspettare la risposta del giudice continuò a rivolgersi all'imputato: «Allora, scienziato Huld, spiega a tutti noi come ci si sente ad essere quello che dà il contributo minore.»

Adikor respirò a fondo. «Non sta a me giudicare i nostri rispettivi meriti.»

«Certo che no, ma la differenza è fuori questione» insisté Bolbay come se Adikor stesse svicolando invece di affrontare la questione. «Tutti sanno che tra voi due il genio è Ponter» aggiunse accompagnando le parole con un sorriso. «Quindi, ti chiedo nuovamente di spiegarci come si vive nella consapevolezza della propria inferiorità.»

«Provo esattamente quello che provavo prima della scomparsa di Ponter. L'unica differenza è una tristezza indicibile per la perdita del mio migliore amico» rispose Adikor cercando di controllare il tono della voce.

Adesso Bolbay gli era dietro. La panca su cui sedeva era girevole, quindi avrebbe potuto girarsi per seguire i movimenti circolari della sua accusatrice, ma decise di rimanere fermo. «Il tuo migliore amico?» ripeté Bolbay come se si trattasse di una ammissione sorprendente. «Il tuo migliore amico, dici. E in che modo hai reagito alla sua scomparsa? Proclamando a gran voce che i vostri esperimenti riguardavano il software e i computer creati da te, piuttosto che i suoi teoremi?»

Adikor rimase a bocca aperta. «Io… io non ho mai affermato una cosa simile. Ho solo detto ad un Esibizionista che riguardo ai nostri esperimenti potevo esprimere delle opinioni solamente sul ruolo del software e dell'hardware, perché questi sono sotto la mia diretta responsabilità.»

«Proprio così! È dal momento della sua scomparsa che stai minimizzando il contributo di Ponter.»

«Daklar Bolbay!» scattò Sard. «Le intimo di trattare lo scienziato Huld con il dovuto rispetto.»

«Rispetto?» ribatté Bolbay sprezzante. «Come quello che ha dimostrato nei confronti di Ponter da quando è scomparso?»