Così guardò.
Si vide serrare i pugni…
… il braccio che andava indietro, i bicipiti che si indurivano…
… il braccio che scattava in avanti…
… Ponter che abbassava la testa appena in tempo…
… il pugno che colpiva la mascella…
… la mascella che s'inclinava da un lato…
… Ponter che barcollava all'indietro, e il sangue schizzargli dalla bocca…
… Ponter che sputava un dente.
Bolbay bloccò di nuovo l'immagine. Be', almeno lo aveva fatto sul primo piano di Adikor, che in quel momento mostrava un'espressione di grande rimorso, persino scioccata. Sì, adesso si era chinato per aiutare Ponter ad alzarsi. Si stava chiaramente scusando per l'accaduto, che naturalmente avrebbe potuto… uccidere Ponter Boddit, sfondandogli il cranio con quel pugno sferrato con tutta la forza di cui disponeva.
Megameg piangeva. Jasmel si era allontanata da Adikor. Il giudice Sard scuoteva lentamente il capo, incredula. E Bolbay…
Bolbay si stagliava davanti, le braccia incrociate sul petto.
«Allora, Adikor» lo avvertì «devo mostrare la scena con tutto l'audio, o ci risparmierai del tempo raccontandoci il motivo del litigio?»
Adikor era disgustato. «Quello che hai fatto non è corretto» disse a voce bassa. «Non è leale. Sono stato in cura per imparare a controllare quegli scatti violenti: regolazione dei livelli dei neurotrasmettitori; lo scultore della mia personalità lo potrà confermare. È stata l'unica volta nella mia vita che ho aggredito qualcuno.»
«Non hai risposto alla mia domanda» lo incalzò Bolbay. «Perché avete litigato?»
Adikor non rispose, limitandosi a scuotere lentamente il capo.
«Allora, scienziato Huld?» lo esortò il giudice.
«Per una cosa insignificante» rispose Adikor, lo sguardo basso sul pavimento ricoperto di muschio. «Si trattava…» respirò a fondo, poi, lentamente, raccontò tutto: «Si trattava di una discussione filosofica, sulla fisica quantistica. C'erano tante interpretazioni sui fenomeni dei quanti, ma Ponter difendeva una tesi sbagliata, come lui stesso sapeva benissimo. Io… so che mi stava solo stuzzicando, ma…»
«Ma non lo potevi sopportare» concluse Bolbay per lui. «Hai perso la testa per una futile discussione scientifica: per così poco hai colpito Ponter rischiando di ucciderlo, se solo lo avessi preso qualche centimetro più su.»
«Non è vero» si difese Adikor rivolgendosi al giudice. «Ponter mi ha perdonato, e non ha mai sporto denuncia. E senza denuncia non esiste crimine.» Quindi aggiunse in tono implorante: «È la legge.»
«Abbiamo visto tutti stamattina come Adikor riesca a controllarsi» ironizzò Bolbay. «E adesso avete visto come avesse già tentato di uccidere Ponter Boddit. Quella volta aveva fallito, e io ritengo che ci siano tutti gli elementi per supporre che in ultimo sia riuscito nell'intento, giù nel laboratorio, nascosto sotto le viscere della terra.» Fece una pausa ad effetto, quindi si rivolse a Sard. «Io credo» disse con voce soddisfatta «che la ricostruzione dei fatti sia sufficiente a disporre la trasmissione del procedimento al tribunale giudicante.»
25
Mary andò alla finestra e guardò fuori. Erano le sei del pomeriggio, ancora un paio d'ore di luce, e…
Buon Dio! Il produttore di Discovery Channel non era stato il solo a scoprire dove si erano nascosti: sotto casa erano parcheggiati due furgoncini con antenne a microonde sul tetto, tre automobili con i loghi delle stazioni radio e una Honda malandata con parafanghi di colore diverso, che probabilmente apparteneva a un giornalista della carta stampata. Da quando era andato in onda il servizio in cui lei aveva dato la notizia dell'autenticità del DNA, sembrava che tutti stessero prendendo sul serio quella storia inverosimile.
Quando finalmente Reuben riattaccò, Mary si voltò a guardarlo.
«Non sono organizzato per ospitare qualcuno, ma…» cominciò il dottore.
«Cosa?» chiese sorpresa Louise.
Mary aveva già capito: «Dobbiamo rimanere qui, vero?»
Reuben annuì. «Il Centro per le malattie infettive ha ordinato di mettere in quarantena tutto l'edificio. Nessuno può entrare né uscire da qui.»
«Per quanto tempo?» volle sapere Louise, gli occhi castani spalancati.
«Questo lo deciderà il Governo» rispose Reuben. «Parecchi giorni, credo.»
«Parecchi giorni!» esclamò Louise. «Ma… ma…»
Reuben allargò le braccia: «Mi dispiace, ma non si sa che tipo di infezione può aver contratto Ponter.»
«Qual è la malattia che ha sterminato gli aztechi?» chiese Mary.
«Vaiolo, per lo più» rispose Reuben.
«Ma il vaiolo…» cominciò Louise. «Se lo avesse contratto, non sarebbero comparse delle macchie sul viso?»
«Compaiono due giorni dopo l'inizio della febbre» spiegò Reuben.
«In ogni caso il vaiolo è stato debellato» disse Louise.
«Su questa versione della Terra,» disse Mary «e per questo non abbiamo più bisogno di vaccinarci, ma è possibile…»
Louise annuì, completando la frase: «È possibile che nel suo universo non sia stato debellato.»
«Esatto» confermò Reuben. «O anche se lo fosse stato, potrebbero esserci innumerevoli agenti patogeni ai quali non siamo immuni.»
Louise fece un gran respiro, forse per rimanere calma, poi disse: «Ma io mi sento bene.»
«Anche io» disse Reuben. «Mary?»
«Sto bene, grazie.»
Reuben scosse la testa. «Comunque non possiamo rischiare. In ospedale hanno il sangue di Ponter, e la persona del Centro con cui ho parlato mi ha detto che faranno tutte le analisi possibili.»
«Abbiamo cibo a sufficienza?» si informò Louise.
«No» rispose Reuben. «Ma ce lo faranno avere, e…»
Din-don!
«Oh, Criiisto!» esclamò Reuben.
«Qualcuno ha bussato» disse Louise guardando dalla finestra.
«Un giornalista» precisò Mary, che aveva visto l'uomo.
Reuben salì al piano superiore. Per una frazione di secondo Mary pensò che fosse andato a prendere un fucile, ma poi lo sentì gridare, probabilmente da una finestra: «Si allontani! Questo edificio è stato messo in quarantena!»
Vide il giornalista fare qualche passo indietro, alzare la testa e guardare in su verso Reuben. «Vorrei farle qualche domanda, dottor Montego» disse a voce alta.
«Vada via!» gridò Reuben per tutta risposta. «Il Neandertal è malato, e il ministero della Sanità ha disposto la quarantena di tutto l'edificio.» L'attenzione di Mary fu attratta dalle auto che sopraggiungevano a sirene spiegate, le luci gialle e rosse intermittenti.
«Andiamo, dottore» insisté il giornalista. «Solo qualche domanda.»
«Non sto scherzando» gridò Reuben. «Potrebbe trattarsi di una malattia infettiva.»
«So che lì c'è anche la professoressa Vaughan» gridò l'uomo. «Può rilasciare qualche dichiarazione sul DNA del Neandertal?»
«Vada via! Per amor di Dio, accidenti, vattene!»
«Professoressa Vaughan, è lì? Sono Stan Tinbergen, del Sudbury Star. Vorrei…»
«Mon dieu!» esclamò Louise indicando qualcosa al di là della strada. «Quell'uomo ha un fucile!»
Mary guardò verso il punto indicato dalla ragazza. In effetti a una trentina di metri qualcuno aveva imbracciato un fucile, puntandolo in direzione della casa. Subito dopo, un uomo accanto a quello con il fucile si portò un megafono alla bocca. «Polizia!» disse la voce amplificata e riverberante. «Si allontani dall'edificio.»
Tinbergen si voltò, e gridò di rimando: «Questa è proprietà privata. Non è stata commessa nessuna infrazione, e…»
«SI ALLONTANI!» sbraitò l'agente, in borghese, anche se Mary vide che l'automobile bianca dalla quale era sceso recava la sigla della polizia militare canadese nelle due versioni, inglese e francese.
«Se il dottor Montego o la professoressa Vaughan risponderanno a qualche domanda, io…»