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«Qui in Ontario si vota al compimento dei diciotto anni» lo informò Mary.

«Diciotto!» esclamò Ponter. «Ma è pazzesco.»

«Non conosco nessun posto dove la maggiore età è più alta dei ventuno anni.»

«Questo la dice lunga sul vostro mondo» affermò Ponter. «Noi non permettiamo che la gente decida le nostre sorti politiche finché non abbia accumulato giudizio ed esperienza.»

«Ma se Jasmel non ha diritto di voto, cos'è che la rende maggiorenne?»

Ponter alzò impercettibilmente le spalle. «Suppongo che queste distinzioni nel mio mondo non siano così significative come qui da voi. Comunque, al compimento dei duecentocinquanta mesi, un individuo acquista la capacità di agire, e solitamente è pronto per andare a vivere da solo.» Scosse la testa e aggiunse: «Mi piacerebbe far sapere a Jasmel e a Megameg che sono ancora vivo. Sto pensando a come fare. Anche se non potrò tornare a casa, farei qualsiasi cosa pur di comunicare con loro.»

«Davvero non c'è modo di tornare a casa?» gli domandò Mary.

«Non vedo proprio come. Oh, forse qui si potrebbe costruire un computer quantistico, e ricreare le condizioni che hanno determinato il mio… spostamento. Ma io sono un fisico teorico, e conosco solo superficialmente come è strutturato un computer quantistico. Il mio collega, Adikor, saprebbe come fare, ma non ho modo di mettermi in contatto con lui.»

«Deve essere una sensazione veramente frustrante» considerò Mary.

«Mi dispiace molto» disse Ponter. «Non volevo farti carico dei miei problemi.»

«Nessun problema» lo tranquillizzò lei. «Possiamo… possiamo aiutarti in qualche modo?»

Ponter pronunciò solo una sillaba nella sua lingua, carica di tristezza, che Hak tradusse: «No.»

Mary sentì il bisogno di tirarlo un po' su. «Be', almeno non ci terranno in isolamento ancora per molto. Quando usciremo di qui potrai fare un bel giro nei dintorni. Sudbury è una piccola città, ma…»

«Piccola?» ripeté Ponter, sgranando gli occhi incavati. «Ma ci saranno… non so quanti, ma almeno diecimila abitanti.»

«Nell'area metropolitana di Sudbury vivono circa centosessantamila persone» lo corresse Mary, che l'aveva letto in una guida trovata nella stanza dell'albergo dove aveva pernottato.

«Centosessantamila» ripeté Ponter. «E questa sarebbe una piccola città? Tu vieni da un altro posto, vero? Un'altra città. Quante persone vivono lì?»

«Nella zona urbana di Toronto vivono due milioni e quattrocentomila persone. In tutta l'area urbana forse tre milioni e mezzo.»

«Tre milioni e mezzo?» ripeté Ponter incredulo.

«Più o meno.»

«Quanti siete?»

«In tutto il mondo?»

«Sì.»

«Poco più di sei miliardi.»

«Un miliardo è… mille milioni?»

«Esatto. Almeno qui nel Nord America. In Gran Bretagna… no, scusa. Sì, un miliardo equivale a mille milioni.»

Ponter si chinò in avanti. «Ma è… un numero incredibile di persone.»

Mary inarcò le sopracciglia. «Quanti abitanti ci sono nel tuo mondo?»

«Centottantacinque milioni» rispose Ponter.

«Perché così pochi?»

«Perché così tanti?»

«Non lo so. Non ci ho mai pensato.»

«Voi non… Nel mio mondo sappiamo come evitare le gravidanze. Forse potrei spiegarvi…»

Mary sorrise. «Anche noi conosciamo dei metodi.»

Adesso fu la volta di Ponter a inarcare il grosso sopracciglio. «Forse il nostro metodo è più efficace.»

Mary rise. «Forse.»

«C'è cibo a sufficienza per sei miliardi di persone?»

«Ci nutriamo soprattutto di vegetali. Li coltiviamo,» a questo punto ci fu un bip, il segnale che Hak non conosceva una parola o non riusciva a capirne il significato dal contesto «li facciamo crescere appositamente per nutrirci. Ho notato che non ti piace il pane,» un altro bip «uhm, cibo fatto con il grano, e qui la maggior parte della gente mangia pane o riso.»

«Riuscite a nutrire a sufficienza sei miliardi di persone con i vegetali

«Be', no» rispose Mary. «Circa mezzo miliardo di persone non ha cibo a sufficienza.»

«Questa è proprio una brutta cosa» commentò Ponter con semplicità disarmante.

Come non essere d'accordo? Mary si rese improvvisamente conto che Ponter aveva visto solo la parte meno cruenta della vita sulla Terra. Aveva passato un po' di tempo davanti alla TV, ma questo non bastava a far capire come andavano le cose. E poiché era molto probabile che vi dovesse trascorrere il resto dei suoi giorni, bisognava parlargli della guerra, della criminalità, dell'inquinamento, della schiavitù: la lunga scia di sangue che ha caratterizzato la storia umana.

«Il nostro mondo è un luogo molto complesso» disse, quasi scusandosi per il fatto che così tanta gente morisse di fame.

«Sì, me ne sto rendendo conto» rispose Ponter. «Nel nostro mondo esiste solo una specie di esseri umani, anche se in passato ce n'erano diverse. Ma qui sembra che ce ne siano tre o quattro.»

Mary scosse lievemente il capo. «Cosa intendi?»

«Le diverse specie umane. Tu fai parte di una specie, e Reuben di un'altra. E il maschio che mi ha soccorso sembra appartenere a una terza specie.»

Mary sorrise. «Quelle non sono specie diverse. In questo mondo esiste solamente una specie di umanità: l'Homo sapiens.»

«E potete riprodurvi tra voi?»

«Certo.»

«E la prole è fertile?»

«Sì.»

Ponter aggrottò la fronte. «Sei tu la genetista, ma… ma… se potete riprodurvi tra di voi, perché siete così diversi? Nel tempo non dovreste essere tutti simili, una mescolanza di tutte le possibili combinazioni somatiche?»

Mary sbuffò rumorosamente dal naso. Non si aspettava di impegolarsi in quel pasticcio così presto. «Be', uhm, in passato — non oggi, capisci? — ma…» si fermò, deglutì in cerca delle parole appropriate, quindi riprese: «Be', non oggi ma nel passato, la gente di una razza» un bip diverso, segno che il Companion aveva riconosciuto la parola ma non la comprendeva in quel contesto «la gente con un certo colore di pelle non voleva avere molto a che fare con la gente di un altro colore.»

«E perché?» chiese Ponter. Davvero una domanda semplice semplice…

Mary alzò impercettibilmente le spalle. «Be', la differenza del colore della pelle è dovuta al fatto che tanto tempo fa le popolazioni erano geograficamente isolate. Ma con il tempo… con il tempo ci sono stati degli incontri, seppur limitati a causa dell'ignoranza, della stupidità e dell'odio.»

«Odio» ripeté Ponter.

«Sì, è triste ma è così.» Scrollò appena le spalle. «Ci sono un sacco di cose nel passato della specie a cui appartengo di cui non vado per niente fiera.»

Ponter rimase a lungo in silenzio, infine espresse le sue considerazioni: «Ho pensato molto a questo vostro mondo. Sono rimasto sorpreso dalle immagini dei cranii all'ospedale. Li avevo già visti, ma nel mio mondo sono conosciuti solo come reperti archeologici. Sono rimasto sbigottito nel vedere della carne su quello che finora avevo visto solo come ossa.»

Indugiò di nuovo, guardando Mary come se fosse ancora sconcertato dal suo aspetto. Sotto quello sguardo, la donna si mosse un po' sulla sedia.

«Non sapevamo niente del colore della vostra pelle» continuò Ponter «o del colore dei vostri capelli. I…» ci fu un altro bip, poiché Hak emetteva quel suono anche quando Ponter usava una parola di cui non trovava l'equivalente «del mio mondo sarebbero sbalorditi se potessero vedervi.»

Mary sorrise. «Be', non tutto ciò che vedi è naturale. Per esempio, i miei capelli non sono veramente di questo colore.»

Ponter la guardò sbalordito. «E qual è il loro vero colore?»

«Una specie di marrone chiaro.»

«E perché l'hai cambiato?»