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«Comunque, non hai ancora risposto alla mia domanda sulla morale. Senza un Dio — senza credere che alla fine della tua vita sarai punito o ricompensato per quello che hai fatto — su cosa si basa la vostra morale? Ormai ho trascorso un po' di tempo con te, e so che sei una brava persona. Da dove viene questa bontà?»

«Io mi comporto così perché ritengo sia giusto.»

«Secondo quali precetti?»

«Quelli della mia gente.»

«Ma da dove provengono questi precetti?» insisté Mary.

«Da…» e a quel punto Ponter spalancò gli occhi, grandi globi incavati in un'ondulata sporgenza ossea, come se avesse avuto un'epifania… nel significato laico della parola, naturalmente. «Dal nostro convincimento che non c'è vita dopo la morte!» concluse trionfante. «Per questo la vostra fede mi turba, solo adesso me ne rendo conto. La nostra asserzione è lineare e congruente con l'osservazione dei fatti: la vita di una persona finisce completamente con la morte; non c'è possibilità di incontrare di nuovo chi non è più o di scusarsi con lui per qualche torto che gli abbiamo fatto, né di dimostrare che, poiché in questa vita sono stati buoni, i defunti continuino a vivere nel paradiso, dimentichi dei loro affanni su questa terra.» Indugiò un attimo, fissando lo sguardo sul volto di Mary, come per accertarsi che lei lo stesse seguendo.

«Non capisci?» continuò. «Se faccio del male a qualcuno — se lo offendo, o se, mettiamo, mi approprio di qualcosa che gli appartiene — dal vostro punto di vista mi posso consolare con il fatto che anche dopo morto posso venire in contatto con lui, e fare ammenda delle mie colpe. Ma nella mia visione del mondo, una volta che una persona muore — il che può accadere per tutti noi in qualsiasi momento, per un incidente, un attacco di cuore e così via — chi ha fatto qualcosa di male vivrà tutta la vita con la consapevolezza che non potrà mai rappacificarsi con la persona a cui ha fatto del male.»

Mary ci rifletté su. Sì, la maggior parte degli schiavisti non aveva mai considerato la faccenda in questi termini, ma senza dubbio le persone con una certa coscienza, immerse in una società fondata sulla compravendita di esseri umani, dovevano essersi fatte degli scrupoli… e comunque si erano consolate con la convinzione che tutte le persone a cui facevano del male nell'altra vita sarebbero state ripagate per le loro sofferenze terrene? Certo, i gerarchi nazisti erano il male allo stato puro, ma quanti di coloro che eseguivano gli ordini per sterminare gli ebrei riuscivano a dormire la notte credendo che quelli che avevano appena ucciso adesso vivevano felici in paradiso?

Ma non c'era bisogno di metterla in quei termini. Dio era il grande compensatore: se subivi il male in vita, saresti stato ricompensato dopo la morte: questo il principio fondamentale che aveva consentito a generazioni di genitori di mandare a morte i propri figli in innumerevoli guerre. Stando così le cose, non aveva importanza se rovinavi la vita di qualcun altro, dato che questi poi andava in paradiso. Certo, potevi anche finire all'inferno, ma in prospettiva il male che avevi fatto agli altri non poteva nuocere più di tanto. Questa vita è un semplice prologo: è la vita eterna che conta.

Quindi, nell'eternità, Dio avrebbe ricompensato qualsiasi cosa fosse stata fatta a… a lei.

E quel bastardo che le aveva fatto quella cosa sarebbe bruciato all'inferno.

No, non aveva importanza il fatto che non avesse denunciato il reato: il bastardo non avrebbe potuto evitare il Giudice supremo.

Ma… ma… «E nel tuo mondo? Cosa accade ai criminali, da voi?»

Bip.

«Coloro che infrangono la legge» spiegò Mary. «Quelli che fanno intenzionalmente del male agli altri.»

«Ah» disse Ponter. «Oggigiorno abbiamo pochi problemi di questo genere, da quando qualche generazione fa abbiamo rimosso la maggior parte dei geni dannosi dal nostro pool genico.»

«Cosa?»

«I reati gravi erano puniti con la sterilizzazione non solo del responsabile, ma anche di tutti quelli che ne condividevano il cinquanta per cento del materiale genetico: genitori, fratelli e sorelle, figli. Questo ha prodotto un duplice effetto: per prima cosa. la società è stata ripulita dai geni dannosi, e…»

«Come ha fatto una specie non dedita all'agricoltura a sviluppare la genetica? Cioè, noi ci siamo arrivati partendo dalla coltivazione e dall'allevamento degli animali.»

«Anche se non abbiamo coltivato la terra o allevato gli animali per nutrirci, abbiamo addomesticato i lupi per cacciare. Ho una cagna che si chiama Pabo, a cui sono molto affezionato. I lupi si prestano a una riproduzione controllata, e i risultati sono lampanti.»

Mary annuì; era una spiegazione razionale, dopo tutto. «Stavi parlando dei due effetti che la sterilizzazione ha avuto sulla società.»

«Ah, già. Oltre all'eliminazione diretta dei geni difettosi, la procedura fu uno straordinario incentivo perché le famiglie controllassero i propri membri.»

«Suppongo che abbia funzionato.»

«Sì, ha funzionato. Tu che sei una genetista sai bene che l'unica forma di immortalità realmente esistente è quella genetica. La vita continua proprio grazie ai geni che garantiscono la propria riproduzione, o l'esistenza di copie di se stessi. Per questo la nostra giustizia ha focalizzato l'attenzione sui geni e non sulle persone. Oggigiorno, nella nostra società la criminalità è un fatto raro proprio perché il sistema giuridico ha individuato ciò che manda avanti l'esistenza: non gli individui, né le circostanze, ma i geni. Abbiamo fatto in modo che la legge diventasse la migliore strategia di sopravvivenza dei geni.»

«Immagino che Richard Dawkins sarebbe d'accordo» disse Mary. «Ma hai detto che questa… questa pratica della sterilizzazione avveniva in passato. E oggi?»

«È ancora in uso, ma c'è poco bisogno di praticarla.»

«Avete avuto tanto successo? Da voi la criminalità è scomparsa?»

«Quasi nessuno commette dei crimini dovuti al disordine genetico. Esistono sempre, naturalmente, altri disordini biochimici che sono alla base di comportamenti antisociali, ma su questi, nella maggioranza dei casi, si può intervenire con dei trattamenti farmacologici. È raro che si debba ricorrere alla sterilizzazione.»

«Una società che ha debellato la criminalità» rifletté Mary scuotendo la testa sbigottita. «Deve essere…» indugiò, chiedendosi se era il caso di arrendersi e accettare le conclusioni del Neandertal, poi completò il suo pensiero: «Deve essere una cosa fantastica.» Ma poi si accigliò, e aggiunse: «Comunque sia, dovranno pur verificarsi un sacco di casi irrisolti. Voglio dire, casi in cui chi ha commesso qualche reato la fa franca, e non viene curato chimicamente.»

Ponter sbatté le palpebre e ripeté: «Casi irrisolti?»

«Ma sì, quei crimini per i quali la polizia» bip «o qualsiasi cosa avete per far rispettare la legge non riesca a scoprire il colpevole.»

«Impossibile.»

Mary sentì un brivido nella schiena. Come la maggioranza dei canadesi, era contro la pena capitale proprio perché esiste la possibilità di mettere a morte un innocente. Tutta la nazione sentiva su di sé l'infamia per la ingiusta detenzione di Guy Paul Morin, marcito in galera dieci anni per un omicidio che non aveva commesso; o per Donald Marshall Jr., che di anni in carcere per un delitto non commesso ne aveva trascorsi undici; o ancora per l'innocente David Milgaard, sepolto in gattabuia per ventitré anni con l'accusa di stupro e omicidio. La punizione che Mary avrebbe voluto per il suo violentatore era quantomeno la castrazione; ma se, per questa sua sete di vendetta, avesse sbagliato persona, come sarebbe vissuta con quel rimorso? E il caso Marshall? No, non era vero che tutti i canadesi vivevano col rimorso: erano solo i bianchi a provare vergogna. Marshall era un indiano Mi'kmaq che si era protestato innocente e a cui la corte non aveva creduto semplicemente perché era indiano.