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Guarda la foto della signora Arnette, la sua faccia morta e i suoi capelli bianchi dalla sfumatura azzurrina. Non si vede che ha la bocca cucita, ma lui sa che lo è perché gliel’ha suturata con le sue stesse mani. Non solo: nessuno si accorgerebbe che dietro la rotondità degli occhi ci sono due sagome, che ha sistemato lui fra le palpebre e le orbite infossate, facendole aderire con la vaselina.

«Sii gentile, chiedi alla signora Arnette come sta» dice alla scatola di latta sotto la sedia a sdraio. «Aveva il cancro. Come tanti.»

3

Il dottor Joel Marcus le rivolge un sorriso formale e Kay Scarpetta gli stringe la mano piccola e ossuta. Sa di essere prevenuta nei confronti del nuovo direttore dell’Istituto di medicina legale della Virginia, ma cerca di non lasciarsi suggestionare e di mantenersi indifferente.

È venuta a sapere di lui alcuni mesi fa, per caso, come sempre. Era in aereo, leggeva “USA Today”, e le è caduto l’occhio su un trafiletto dal titolo Nominato il nuovo direttore dell’Istituto di medicina legale della Virginia. Dopo che per anni l’istituto era stato diretto da un “facente funzioni”, il governatore aveva finalmente nominato un nuovo direttore, senza interpellarla. Nessuno le aveva chiesto consiglio, né un parere sul candidato.

Se lo avessero fatto, lei avrebbe detto di non aver mai sentito nominare il dottor Marcus. E avrebbe aggiunto, diplomaticamente, che forse l’aveva incontrato a qualche convegno, ma non lo ricordava: doveva senza dubbio essere un anatomopatologo di tutto rispetto, se era candidato a ricoprire una carica tanto importante…

Stringendogli la mano e guardandolo negli occhi, piccoli e freddi, si rende conto di non averlo mai visto prima. Il dottor Marcus non deve essere mai stato membro di nessuna commissione di rilievo e non ha mai parlato a nessun convegno a cui lei ha partecipato, altrimenti se lo ricorderebbe. A volte dimentica i nomi, ma le facce no.

«Finalmente ci conosciamo, Kay» le dice Marcus, di nuovo chiamandola per nome. Quell’uomo è veramente offensivo e, se per telefono ha cercato di fare finta di niente, lì, nell’atrio del Biotech II dove un tempo regnava incontrastata, non riesce a non restarci male. Marcus è minuto, basso, con la faccia sottile e pochi capelli. Sembra minuscolo, uno gnomo. Ha una camicia bianca da quattro soldi che gli fa difetto intorno al collo, una cravatta fuori moda, pantaloni grigi sformati e un paio di mocassini. Sotto la camicia, si vede che porta una canottiera di cotone.

«Prego, si accomodi» le dice. «Purtroppo stamattina abbiamo un sacco di autopsie in programma.»

Kay Scarpetta non ha ancora fatto in tempo a dirgli di Marino che questo sbuca dalla toilette degli uomini finendo di abbottonarsi i calzoni neri. Ha il berretto del LAPD calato sugli occhi. Kay fa le presentazioni in tono molto formale e aggiunge: «L’ispettore Marino è molto in gamba. Ha lavorato anche per il Dipartimento di Richmond».

Il dottor Marcus è indispettito. «Non mi aveva detto che sarebbe venuta accompagnata» ribatte sgarbato. Kay Scarpetta è irritata: è arrivata venti minuti fa, ha firmato il registro ed è stata lì impalata nell’atrio di granito e cristallo ad aspettare che qualcuno venisse a prenderla. «Le avevo detto che si trattava di una questione delicata.»

«Non si preoccupi, sono abituato alle situazioni delicate» risponde Marino a voce alta.

Marcus si irrigidisce, e Kay Scarpetta si accorge che è furibondo.

«Anzi, le dirò: sono più che abituato. Abituatissimo. Non faccio altro, nella vita, che occuparmi di questioni delicate» aggiunge. Poi vede entrare una guardia e gli urla: «Ciao, Bruce! Tutto bene? Giochi sempre a bowling?».

«Mi dispiace» dice Kay Scarpetta a Marcus. «Mi sembrava di averle detto che l’ispettore Marino sarebbe venuto con me.» Sa benissimo di non averlo fatto e non è per nulla dispiaciuta. Il dottor Marcus le ha chiesto una consulenza e lei ha il diritto di portarsi dietro chi vuole. E poi è arrabbiata con lui perché la chiama Kay.

Bruce guarda Marino senza riconoscerlo, poi si avvicina sorridendo. «Marino! Per la miseria, non mi aspettavo di vederti qui! Da quanto tempo…»

«No, non me lo ha detto» insiste Marcus, momentaneamente in difficoltà e confuso.

«Eh, lo so che non ti aspettavi di vedermi qui» replica Marino con una smorfia.

«Senta, non so se posso permettere all’ispettore di entrare. Dovrei chiedere l’autorizzazione…» Colto alla sprovvista, Marcus si è lasciato sfuggire che non è lui il capo: forse è stato qualcun altro a decidere di interpellarla, di farla tornare lì.

«Quanto tempo ti trattieni?» chiede Bruce a Marino.

Ripensandoci, Kay Scarpetta ha intuito fin dal principio che qualcosa non andava, ma non si è data ascolto.

«Mi tratterrò il tempo che ci vorrà.»

Si rende conto di aver sbagliato. Sarebbe dovuta andare ad Aspen.

«Vienimi a trovare, se vuoi.»

«Certamente, Bruce.»

«Adesso basta, per favore» li interrompe Marcus. «Non siamo mica al bar.»

Porta la chiave del suo regno appesa al collo. Si china e passa il tesserino magnetico sullo scanner a raggi infrarossi accanto alla porta a vetri che conduce all’ala riservata al direttore. Kay Scarpetta ha la bocca secca e le ascelle sudate. Con un nodo allo stomaco entra negli uffici di quello che un tempo era il suo regno. È stata lei a trovare i fondi per costruirlo e ne ha seguito puntualmente la progettazione. Il divano e la poltrona blu, il tavolino di legno e il paesaggio campestre appeso alla parete sono rimasti identici. Neanche la reception è cambiata, a parte le piante, che non ci sono più. Kay era entusiasta dei suoi due tronchetti e degli ibischi. Li innaffiava personalmente, toglieva le foglie secche e li spostava perché fossero sempre in piena luce.

«Mi dispiace, ma è meglio che il suo ospite non prosegua oltre» decide Marcus, fermandosi davanti a un’altra porta chiusa, che conduce agli uffici amministrativi e all’obitorio.

Il tesserino magnetico apre anche questa e Marcus la oltrepassa rapido. Gli occhiali con la montatura di metallo brillano sotto i neon. «Sono arrivato tardi perché ho trovato traffico. Purtroppo abbiamo moltissimo lavoro. Otto autopsie» continua parlando a Kay Scarpetta come se Marino non esistesse. «Adesso ho la riunione con lo staff. Probabilmente la cosa migliore è che lei si prenda un caffè, Kay. Potrei metterci un po’. Julie?» dice poi, rivolgendosi a un divisorio dietro cui un’impiegata sta scrivendo al computer. «Per favore, può far vedere alla signora la macchinetta del caffè?» Poi, a Kay: «Si accomodi pure in biblioteca. La raggiungerò appena possibile».

È molto scortese a chiamarla “signora” e a non invitarla alla riunione e nella sala autopsie, visto che l’ha chiamata lui. Si sente come se le avesse chiesto di portargli due camicie in lavanderia.

«L’ispettore è meglio che vada» ribadisce Marcus, guardandosi intorno impaziente. «Julie, può accompagnare il signore nell’atrio?»

«L’ispettore resta con me» interviene Kay in tono pacato.

«Come ha detto, scusi?» Marcus si volta a guardarla negli occhi.

«L’ispettore resta con me» ripete.

«Forse lei non ha ben capito la situazione» insiste lui, stizzito.

«Forse. Vuole spiegarmela meglio?»

Marcus trattiene a stento la stizza. «E va bene» acconsente. «Andiamo un momento in biblioteca.»

«Ti spiace aspettarci qui?» dice Kay Scarpetta a Pete Marino, sorridendogli.

«Nessun problema» risponde lui. Si avvicina alla scrivania di Julie e prende in mano una serie di fotografie, come fossero carte da gioco. Ne stringe una fra l’indice e il pollice. «Sa perché gli spacciatori hanno meno massa grassa di me e di lei, signorina?» chiede poi all’impiegata, posandole la foto sulla tastiera.