«È un bordello…» comincia lui, ma non finisce la frase, per paura di perdere il posto di lavoro. Ha una bella divisa blu di prussia, una pistola, lavora in un ufficio prestigioso… Gli conviene mordersi la lingua, far finta di niente e non dire quanto gli sta antipatico il dottor Marcus.
«Be’, non vorrei dargli un dispiacere, ma in realtà non siamo venuti qui per lui» continua Marino. «Dobbiamo lasciare dei campioni in laboratorio, a Eise. Senti, Bruce, che cosa ti ha detto precisamente? Mi ripeti le parole esatte?»
«È un bordello…» ripete Bruce. Scuote la testa, ma poi si morde di nuovo la lingua: quel lavoro gli piace.
«Non importa» interviene Kay Scarpetta. «Ho ricevuto il messaggio forte e chiaro. Grazie di avermelo detto. Dovevo pur saperlo.»
«Avrebbe dovuto dirglielo lui.» Bruce si rende conto di aver parlato troppo e si zittisce, guardandosi intorno. «Comunque sappia che siamo stati tutti contenti di vederla, dottoressa.»
«Proprio tutti no, mi pare.» Sorride. «Non c’è problema. Vogliamo dire a Eise che siamo qui? Ci aspettava» aggiunge.
«Sì, certo» risponde Bruce, lievemente sollevato. Prende il telefono, chiama l’interno di Eise e riferisce il messaggio.
Kay Scarpetta e Marino aspettano davanti all’ascensore, che si attiva solo con il tesserino magnetico del personale autorizzato a utilizzarlo. Eise lo manda al pianoterra, Kay Scarpetta e Marino vi salgono e premono il pulsante numero 3.
«Quel bastardo vuole fare a meno di te, dunque» dice Marino appena si chiudono le porte.
«Già» replica Kay, con la borsa di nylon nera a tracolla.
«Che cosa intendi fare? Non può mica chiederti una consulenza, farti venire a Richmond e poi trattarti come una merda! Non capisco perché non l’abbiano già mandato via a calci nel culo.»
«Vedrai che, se continua così, prima o poi succederà. E comunque io ho altro da fare» risponde. Junius Eise li aspetta davanti all’ascensore, in un corridoio bianco.
«Grazie, Junius» dice Kay Scarpetta, stringendogli la mano. «È un piacere rivederla.»
«Si figuri, dottoressa. Piacere mio» replica, un po’ in imbarazzo.
È un uomo strano, con gli occhi chiarissimi e la tipica cicatrice sortile fra il labbro superiore e il naso di chi è nato con il labbro leporino quando la chirurgia plastica non era ancora ai livelli di adesso. Ma Eise ha qualcosa di strano indipendentemente dall’aspetto, Kay Scarpetta l’ha sempre pensato. Quando dirigeva lei l’istituto a volte lo incontrava per i corridoi e ogni tanto discutevano qualche caso. Era infatti gentile e rispettosa con i dipendenti, benché fosse sempre un po’ sulle sue e non desse confidenza a nessuno.
Segue Eise lungo una serie di corridoi bianchi e vede dalle porte a vetro i tecnici al lavoro. Sa di incutere soggezione al prossimo. Sa che, quando dirigeva l’istituto, era più rispettata che amata. Questo le dispiaceva, ma lo accettava perché era meglio così. Adesso però non dirige più l’istituto, e severità e durezza non sono più necessarie.
«Come va la vita, Junius?» domanda al tecnico. «Ho saputo che l’altra sera avete fatto baldoria, lei e Marino. Spero che questa storia delle tracce identiche su due cadaveri diversi non la stressi eccessivamente. Sono certa che scoprirà che cosa è successo.»
Eise la guarda scettico. «Speriamo» dice, a disagio. «L’unica cosa di cui sono certo è che non ho fatto confusione fra i campioni. Su questo potrei mettere la mano sul fuoco.»
«So che è un uomo molto preciso» replica Kay Scarpetta.
«Grazie. Detto da lei, è un vero complimento.» Passa il tesserino magnetico su un sensore alla parete, facendo scattare la serratura della porta del laboratorio. «Comunque non sono io a dover far luce sulla vicenda» continua. «Posso dire solo che non ho scambiato etichette o fatto altre sviste di questo genere. In tanti anni che lavoro qui, non è mai successo. Quando ho rischiato di commettere un errore, me ne sono sempre accorto in tempo.»
«Certo.»
«Ricorda Kit?» domanda poi Eise. «Purtroppo è in malattia perché si è buscata l’influenza. Che roba! C’è mezzo mondo a casa con la febbre. Be’, è proprio un peccato che non ci sia, perché aveva voglia di vederla e di salutarla. Sentiamo tutti la sua mancanza.»
«Grazie. Dispiace anche a me non averla rivista» replica Kay Scarpetta. Sono davanti al lungo bancone nero dove lavora di solito Eise.
«C’è un posticino tranquillo con un telefono, da queste parti?» chiede Marino.
«Sì, certo. La stanza del capo sezione, qui dietro l’angolo. Oggi la dottoressa non c’è, è in tribunale. Vai pure, non credo che le darà fastidio se usi il suo telefono.»
«Vi lascio, allora» dice Marino, avviandosi a passi lenti, con l’andatura di un cowboy reduce da una lunga cavalcata.
Eise copre il bancone con carta bianca e Kay Scarpetta ci posa sopra i campioni che estrae dalla borsa nera. Prende una seggiola e si siede accanto al tecnico, davanti al microscopio. Eise le porge un paio di guanti di lattice e si mette all’opera. Prende una spatolina di acciaio, la infila in un sacchetto, raccoglie una quantità minuscola di terra rossa e sabbiosa e la spalma su un vetrino pulito, che poi sistema sul microscopio. Si avvicina all’oculare, regola la messa a fuoco e sposta leggermente il vetrino. Poi lo toglie dal microscopio, lo mette da una parte e ripete l’operazione con un altro campione di terra.
Trova qualcosa di interessante soltanto alla seconda bustina.
«Se non ce l’avessi sotto gli occhi, non ci crederei» dice, allontanandosi dall’oculare per farle posto. «Guardi.»
Kay Scarpetta si avvicina e guarda sul vetrino un campione della terra che ha raccolto nel cantiere in cui è morto Ted Whitby. Fra particelle di silice e altri minerali, frammenti di insetti, di piante e di tabacco, ci sono anche alcune scaglie metalliche, che sembrano di argento opaco. Kay Scarpetta si guarda intorno alla ricerca di un attrezzo a punta e ne trova diversi a portata di mano. Muove con grande delicatezza le scaglie metalliche, isolandole. Sul vetrino ce ne sono esattamente tre, tutte lievemente più grosse delle altre particelle. Due sono rosse e una è bianca. Spostandole con la punta di tungsteno, fa un’altra scoperta molto interessante. Intuisce subito di che cosa è la particella che ha appena visto ma, prima di dirlo ad alta voce, se ne vuole accertare.
È delle dimensioni della scaglia di vernice più piccola, di un grigio giallastro e di una forma particolare: assomiglia a un uccello preistorico, con la testa a forma di martello, un occhio solo, un collo sottilissimo e un corpo bulboso. Non è né minerale, né artificiale.
«Lamelle simili ai cerchi concentrici sul tronco di un albero.» Comincia a enumerarne le caratteristiche, muovendola. «E canalicoli, o canali vascolari di Havers. A un esame microscopico in luce polarizzata dovremmo vedere un’estensione a ventaglio lievemente ondulata. A una diffrazione ai raggi X risulterebbe fosfato di calcio. In altre parole, è polvere di osso. Non mi sorprende, dato il luogo in cui ho raccolto il campione. È normale che intorno alla ex sede dell’istituto ci sia polvere di osso.»
«Perbacco!» esclama Eise. «E io che mi ci sono rotto la testa! Sono le stesse particelle prelevate dal cadavere della ragazzina, Gilly Paulsson. Posso dare un’occhiata?»
Kay Scarpetta gli fa posto, un po’ sollevata ma tuttora perplessa. Che sul cadavere di Ted Whitby ci fossero scaglie di vernice e polvere di osso ha un senso, ma che le medesime, fossero anche sul corpo di Gilly Paulsson è assolutamente inspiegabile. Com’è possibile che la ragazzina avesse in bocca scaglie di vernice e polvere di osso?
«Uguale precisa identica» dichiara Eise, sicuro. «Prendo i campioni di Gilly Paulsson e le faccio vedere. È incredibile.» Prende una grossa busta da una pila sulla sua scrivania, la apre e tira fuori una serie di vetrini. «Li tengo a portata di mano perché ogni tanto li vado a guardare. Non riesco a farmene una ragione, mi creda.» Sistema un vetrino sul microscopio. «Particelle rosse, bianche e blu. Alcune aderiscono a parti metalliche, altre no.» Sposta il vetrino e aggiusta la messa a fuoco. «Sembra ci sia una base di smalto epossidico, forse riverniciata in seguito. Ovvero: di qualsiasi cosa si tratti, in origine potrebbe essere stata bianca e poi pitturata di bianco, rosso e blu. Vede?»