«Siete una massa di imbecilli» urla alla radio, sudato, da dentro la casa usata per le simulazioni nel campo di addestramento. «Siete morti tutti e cinque.»
Esce e gli agenti vestiti di nero si avviano stoicamente verso il giardinetto con le decorazioni natalizie. Non si lamentano, benché i proiettili di gomma facciano un male terribile. Sopportano senza dire nulla. Rudy spegne con il telecomando il CD del cane che abbaia e li guarda dalla porta. Hanno il respiro corto, sono sudati e arrabbiati. «Che cosa è successo?» chiede loro. «Lo sapete, vero?»
«Abbiamo sbagliato tutto» risponde uno.
«Dove avete sbagliato?» domanda Rudy, con il fucile d’assalto sul fianco. Il sudore gli cola sul torso nudo e sulle braccia muscolose. «Riflettete, prima di rispondere: avete commesso un errore e siete morti tutti.»
«Non abbiamo messo in conto che potevi avere un fucile d’assalto. Abbiamo dato per scontato che avessi una pistola» dice una donna, asciugandosi la faccia nella manica, con il fiatone. È stanca e nervosa.
«Non bisogna mai dare niente per scontato» replica Rudy. «Avrei potuto avere anche un mitragliatore, per quel che ne sapevate, e crivellarvi di proiettili calibro cinquanta. L’errore principale è un altro. Su, forza, non potete non saperlo. Ne abbiamo parlato un sacco di volte.»
«Abbiamo sfidato il nostro maestro» replica uno, provocando le risate degli altri.
«La comunicazione» dice Rudy, lentamente. «Andrews» dice poi rivolgendosi a un agente con la tuta sporca di terra. «Appena ti sei beccato la pallottola alla spalla sinistra, avresti dovuto avvertire i tuoi compagni che stavo sparando dalla finestra della cucina, sul retro della casa. L’hai fatto?»
«No.»
«E perché?»
«Non so. Forse perché non mi era mai capitato prima di prendermi una pallottola nella spalla.»
«Fa male, vero?»
«Un male boia.»
«Infatti. E tu non te l’aspettavi.»
«Esatto. Nessuno ci ha detto che i fucili sarebbero stati carichi.»
«In questo campo di addestramento usiamo proiettili di gomma» dice Rudy. «Quando ci succede qualcosa nella vita vera, spesso è qualcosa che non ci aspettiamo. Sei stato colpito, ti sei fatto male, ti sei spaventato e il risultato è che non hai avvertito i tuoi compagni. Così siete rimasti uccisi tutti. Chi ha sentito il cane?»
«Io» rispondono diversi agenti.
«Sentite un cane che abbaia e non prendete la radio per avvertire gli altri?» domanda Rudy provocatorio. «Se il cane abbaia, vuol dire che quello dentro la casa sa che state arrivando. Dico bene?»
«Sì.»
«Okay, basta così» conclude Rudy. «Andatevi a ripulire per il funerale.»
Rientra in casa e chiude la porta. Gli è vibrato due volte il walkie-talkie mentre faceva la predica alle reclute e vuole vedere chi lo sta cercando. È il suo amico informatico. Rudy lo richiama subito.
«Cosa mi volevi dire?» gli domanda.
«Sembra che il tuo uomo stia esaurendo la sua scorta di prednisone. L’ultima volta che l’ha comprato è stato ventisei giorni fa, in una farmacia della catena cvs.» Gli dà indirizzo e numero di telefono.
«Il problema è che non penso sia a Richmond» spiega Rudy. «Quindi dobbiamo capire dove può andarselo a comprare la prossima volta. Ammesso che decida di farlo.»
«Be’, lo compra ogni mese, sempre nella stessa farmacia di Richmond. Difficile che stavolta salti. Probabilmente non ne può fare a meno.»
«Medico curante?»
«Stanley Philpott.» Gli detta il numero di telefono.
«Non si è mai servito da nessun’altra farmacia? Nel Sud della Florida, per esempio?»
«Ho guardato in Virginia e basta, per la verità. Comunque ne ha ancora per cinque giorni e poi se ne deve procurare dell’altro. A meno che non l’abbia già fatto per altre vie.»
«Grazie» gli dice Rudy, aprendo il frigo per prendersi una bottiglietta di acqua. «Ci risentiamo.»
48
I jet sembrano aerei giocattolo contro le enormi montagne bianche che svettano intorno alla pista. Un tecnico in tuta, con le cuffie sulla testa, dirige un Beachjet appena atterrato, che procede lentamente, rombando. Benton è nel terminal dei voli privati all’aeroporto di Aspen e guarda l’aereo di Lucy.
È domenica pomeriggio e il terminal è pieno di ricchi signori impellicciati, che bevono caffè e sidro caldo vicino al caminetto, in attesa di tornare a casa, innervositi dai ritardi. Hanno orologi d’oro e brillanti giganteschi, sono belli e abbronzatissimi. Alcuni viaggiano con i cani, splendidi esemplari di ogni razza e dimensione, costosissimi. Benton guarda il portellone del Beachjet che si apre, la scaletta che si abbassa e Lucy che scende a passo svelto, con le valigie in mano, atletica e sicura di sé. Non ha la minima esitazione, benché lui le abbia detto chiaramente di non venire ad Aspen.
Era meglio che stesse dov’era. Quando lei lo ha chiamato, Benton le ha detto: “No, per favore, non venire. Non è il momento, Lucy, te lo assicuro”.
Non hanno litigato. Avrebbero potuto bisticciare per ore, ma nessuno dei due aveva voglia di perdere tempo in recriminazioni, polemiche e scoppi di collera. Si sono lanciati due o tre frecciate e poi hanno smesso. Benton ha riflettuto che, più passa il tempo, più lui e Lucy scoprono di avere molte cose in comune. Non sa se la cosa gli piace, ma è così, ed è sempre più evidente. Forse Kay sta con lui proprio perché assomiglia tanto a Lucy. Kay nutre per sua nipote un amore fortissimo e incondizionato. E Benton non ha mai capito perché nutra un affetto tanto forte e incondizionato anche per lui. Ma forse il motivo è proprio questo.
Lucy apre la porta con una spalla ed entra, con una borsa per mano. Rimane sorpresa nel vederlo lì.
«Ti aiuto» le dice Benton, prendendole una valigia.
«Non credevo che saresti venuto» dice Lucy.
«Be’, invece sono qui. Siamo qui. Cerchiamo di fare in modo che le cose vadano al meglio.»
I riccastri in attesa nel terminal probabilmente li prendono per una coppia infelice: lui più anziano e ricco, lei giovane e bella. Qualcuno forse penserà che Lucy è la figlia di Benton. Lui però non si comporta come un padre. Neanche come un amante, per la verità, ma probabilmente a un osservatore esterno l’ipotesi della coppia sembra più plausibile. Benton non indossa né pellicce né ori e non ostenta la propria ricchezza, ma i ricchi si riconoscono l’uno con l’altro. E Benton è ricco, molto ricco. Ha vissuto per anni nell’ombra, accumulando ricchezze.
«Ho noleggiato una macchina» dice Lucy mentre attraversano il terminal tutto legno, pietra e divani in pelle, che sembra uno chalet. Fuori c’è una scultura di bronzo che raffigura un’aquila.
«Valla a ritirare, allora» le dice lui, con il fiato che si condensa nell’aria fredda. «Ci vediamo a Maroon Bells.»
«Dove?» Lucy si blocca nella rotonda davanti al terminal, ignorando i posteggiatori che indossano lunghi cappotti e cappelli da cowboy.
Benton la guarda sorridendo. Sembra divertito. Sta lì, vicino alla statua dell’aquila, e squadra Lucy in giacca a vento, calzoni sportivi e anfibi.
«Ho degli scarponi da neve in macchina» le dice.
La fissa, mentre il vento le scompiglia i capelli, che sono più lunghi dell’ultima volta in cui l’ha vista, di un color mogano con riflessi ramati. Ha le gote rosse per il freddo. Benton ha sempre pensato che guardare Lucy negli occhi fosse un po’ come guardare dentro un reattore nucleare o un vulcano in eruzione, o come osservare Icaro che si avvicina troppo al sole. Cambiano con la luce e a seconda dell’umore. Adesso sono verdi. Kay, invece, ha gli occhi azzurri. Altrettanto intensi, ma diversi, meno luminosi. Passano da un blu quasi caldo a un grigio gelido. Gli mancano. La presenza di Lucy rende ancora più dolorosa la mancanza di Kay.