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Kathy Tyers

Guerre Stellari

La tregua di Bakura

Si ringrazia per la gentile collaborazione alla revisione del testo Gian Paolo Gasperi.

Non posso pensare a Guerre stellari senza ricordare quello squillo di fanfara con cui si apre la sua colonna sonora. Non posso raffigurarmi la lunga sagoma triangolare di uno Star Destroyer senza sentire quelle triplette sinistre che sempre lo accompagnano. È come immaginare la taverna di Mos Eisley senza quell’inimitabile complessino jazz? È con grande ammirazione e gratitudine che dedico questo romanzo all’uomo che ha composto la colonna sonora dei tre film della saga di Guerre stellari: John Williams.

1

Come un grosso turchese velato di nubi, una luna abitabile era sospesa sopra un pianeta morto. A tenere il capo della catena che la obbligava entro la propria orbita era la stessa mano trascendente che aveva decorato di stelle brillanti lo sfondo di velluto nero dello spazio e che conduceva la danza incessante delle energie cosmiche fra le pieghe dello spazio-tempo, senza notare né curarsi dell’Impero o dell’Alleanza Ribelle, né delle brevi, misere guerre che ingaggiavano fra loro.

Ma su una misera, breve scala umana di tempo e di importanza, una flotta di astronavi era in orbita attorno alla primaria della luna. Strisce di residui carboniosi sfregiavano i fianchi di molte astronavi, alcune delle quali erano circondate da sciami di droidi intenti alle riparazioni. Frammenti metallici che un tempo erano stati componenti cruciali di un’astronave, assieme a frammenti che un tempo erano stati corpi umani o alieni, seguivano le astronavi nella loro orbita. La battaglia nella quale la seconda Morte Nera dell’imperatore Palpatine era stata distrutta era costata molto all’Alleanza Ribelle.

Luke Skywalker attraversava di fretta l’hangar di un incrociatore, gli occhi arrossati ma ancora pervaso da un senso di trionfo dopo tutte le celebrazioni con cui gli Ewok avevano festeggiato la vittoria. Mentre passava accanto a un gruppetto di droidi avvertì odore di refrigeranti e lubrificanti. Si sentiva indolenzito fino nelle ossa, un dolore sordo che era quanto gli rimaneva del giorno più lungo di tutta la sua vita. Quel giorno, no, ormai era già il giorno prima, aveva incontrato l’imperatore. Sì, ieri per poco non aveva pagato con la vita la fiducia in suo padre. Eppure, un passeggero dello shuttle che lo aveva raccolto dal villaggio ewok già gli aveva chiesto se era vero che Luke aveva ucciso da solo l’imperatore... e Darth Vader.

Luke non era ancora pronto ad annunciare che «Darth Vader» era stato Anakin Skywalker, suo padre. Però aveva risposto con molta fermezza che era stato Vader a uccidere l’imperatore Palpatine. Era stato Vader a gettarlo nel cuore infuocato della seconda Morte Nera. Luke pensò che probabilmente avrebbe dovuto continuare a spiegarlo per settimane a venire. Ma per adesso tutto quello che voleva era controllare il suo caccia Ala-X.

Con sua sorpresa trovò che i tecnici vi si stavano affollando attorno. Dietro il velivolo una gru stava calando C1-P8 nell’alloggiamento cilindrico dietro la cabina di pilotaggio. «Che succede?» chiese Luke, fermandosi e riprendendo fiato.

«Oh, signore», rispose uno dei tecnici in tuta cachi, disinserendo un tubo per il rifornimento di carburante, «il suo sostituto pilota si sta preparando a uscire. Il capitano Antilles era tornato con il primo shuttle ed è subito uscito di pattuglia. Ha intercettato un drone imperiale, uno di quelli che si usavano per trasmettere messaggi a grande distanza durante le guerre dei cloni, un pezzo di antiquariato, insomma. Era in arrivo dallo spazio esterno.»

In arrivo. Così, qualcuno aveva mandato un messaggio all’imperatore. Luke sorrise. «A quanto pare ancora non hanno sentito le novità. Allora Wedge ha ancora bisogno di compagnia? Non sono poi tanto stanco. Posso andare io.»

Il tecnico non restituì il suo sorriso. «Sfortunatamente il capitano Antilles ha fatto scattare il ciclo di autodistruzione mentre cercava di far ripetere il messaggio. Sta bloccando con le mani un circuito critico e...»

«Lasciate perdere il sostituto pilota», esclamò Luke. Wedge Antilles era stato suo amico fin dai tempi della prima Morte Nera, quando avevano partecipato assieme all’assalto finale. Senza aspettare di sentire altri particolari, Luke si gettò verso la sala piloti. Un minuto più tardi era di ritorno, camminando a saltelli mentre cercava di infilarsi la seconda gamba della tuta pressurizzata arancione.

I tecnici si allontanarono. Luke balzò sulla scaletta e poi dentro il sedile imbottito, si tirò in testa l’elmetto e accese il generatore a fusione della navetta. Attorno a lui si levò il familiare lamento ad alta energia del motore.

L’uomo che gli aveva parlato poco prima si arrampicò dietro di lui. «Ma signore, pensavo che l’ammiraglio Ackbar volesse sentire il suo rapporto.»

«Tornerò subito.» Luke chiuse la calotta della cabina di pilotaggio ed eseguì un controllo a sistemi e strumentazione che probabilmente stabiliva un nuovo record di velocità nell’Alleanza. Non c’era niente di anormale.

Aprì un canale. «Capo Rogue pronto al decollo.»

«Apriamo il portello, signore.»

Inserì la spinta. Un istante dopo il sordo indolenzimento nelle sue ossa si era tramutato in un dolore atroce. Tutte le stelle nel suo campo visivo divennero binarie e cominciarono a girare l’una attorno all’altra. Le voci dei tecnici divennero un brusio indistinto nelle sue orecchie. Stordito e nauseato, si tuffò alla ricerca del centro di tranquillità dentro se stesso che il maestro Yoda gli aveva insegnato a raggiungere...

A toccare...

Ecco.

Emise un respiro tremante e misurò il suo grado di controllo del dolore. Di nuovo le stelle tornarono a essere singoli punti di luce. Qualunque cosa gli fosse appena successa, se ne sarebbe occupato più tardi. Espanse la sua sensibilità attraverso la Forza e avvertì la presenza di Wedge. Le sue mani si muovevano senza sforzo sui comandi del caccia Ala-X, portandolo verso quella parte della flotta.

Mentre viaggiava poté dare per la prima volta un’occhiata all’entità dei danni causati dalla battaglia, agli sciami di droidi da riparazione e ai rimorchiatori. Gli incrociatori stellari dei Mon Calamari erano blindati e forniti di scudi e in grado di sostenere l’urto contemporaneo di molti colpi diretti, ma gli sembrava di ricordare che prima della battaglia quei grossi e goffi vascelli fossero stati molti di più. Nella sala del trono dell’imperatore, mentre lottava per la vita, l’integrità e la salvezza di suo padre, non aveva nemmeno avvertito i terribili disturbi nella Forza causati da tutte quelle morti. Sperava che non fosse perché ci stava facendo l’abitudine.

«Wedge, mi ricevi?» chiese Luke attraverso la radio sub-spaziale. Si muoveva fra le navi più grosse della flotta, su un vettore che puntava verso l’esterno. I suoi sensori indicavano che la nave più vicina, un trasporto pesante, si stava prudentemente allontanando da qualche cosa di molto più piccolo. Quattro caccia Ala-A arrivarono e si misero in formazione dietro Luke. «Wedge, sei lì?»

«Mi dispiace», rispose una voce fioca. «Sono quasi fuori della portata del microfono del caccia. Vedi, devo...» Wedge s’interruppe, con un grugnito di sofferenza. «Devo tenere separati questi due cristalli. È una specie di meccanismo di autodistruzione.»

«Cristalli?» chiese Luke, tanto per far parlare Wedge. Si sentiva del dolore in quella voce.

«Contatti cristallini di elettrite. Un residuo dei tempi più ‘eleganti’. Il meccanismo di autodistruzione sta cercando di spingerli l’uno contro l’altro. Se si toccano... puff! L’intero motore a fusione parte.»

Rotolando lento sotto lo splendore azzurro di Endor, Luke finalmente vide il caccia Ala-X di Wedge. Appena accanto, un cilindro di circa dieci metri con le insegne imperiali stava andando alla deriva; era lungo quanto il caccia e sembrava tutto motore, un tipo di drone che l’Alleanza ancora non si poteva permettere. Per qualche ragione inspiegabile il drone gli diede un brutto presentimento. L’Impero non usava più simili anticaglie. Come mai il mittente non aveva usato i normali canali di comunicazione imperiali?