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Leia si accigliò.

«Ma possiamo permetterci di mandare laggiù delle truppe nello stato in cui siamo?» ansimò Ackbar attraverso il comunicatore. «Abbiamo perso il venti per cento delle nostre forze e abbiamo sconfitto solo una parte della flotta dell’imperatore. Qualunque forza d’attacco imperiale potrebbe fare meglio di noi a Bakura.»

«Ma allora l’Impero laggiù manterrebbe il controllo. Abbiamo bisogno di Bakura come di Endor. Come abbiamo bisogno di ogni mondo che riusciamo a conquistare alla causa dell’Alleanza.»

A sorpresa, Han chiuse le mani sul comlink e lo tirò verso di sé. «Ammiraglio», disse, «io credo che non ci possiamo permettere di non andare. Una forza d’invasione di quelle dimensioni potrebbe voler dire guai seri per tutta questa parte della galassia. E lei ha ragione: dovremmo andare noi. Meglio mandare una nave che può battersela alla svelta, nel caso gli Imperiali si facessero venire delle idee.»

«E la taglia che hai tu sulla testa, fantademente?» sussurrò Leia.

Han soffocò i suoni provenienti dal comlink. «Non te ne vai da nessuna parte senza di me, Altezza.»

Luke studiava l’espressione di Mon Mothma e il senso che lei produceva nella Forza. «Dovrebbe essere un gruppo piccolo», disse piano, «ma una sola nave non basta. Ammiraglio Ackbar, vorrei che lei selezionasse un piccolo gruppo di combattenti che partano assieme al generale Solo e alla principessa Leia.»

Luke sollevò una mano. «Che cosa stanno facendo gli alieni? Perché prendono tanti prigionieri?»

«Il messaggio non lo dice», fece notare Madine.

«Allora sarà meglio che mandiamo anche qualcuno in grado di scoprirlo. Potrebbe essere importante.»

«Ma non lei, comandante. Non sembra proprio che ci possiamo permettere di aspettare che lei sia ristabilito.» Madine picchiò le dita su una ringhiera bianca. «Il gruppo dovrebbe partire entro un giorno standard.»

Luke non voleva restare indietro... anche se era sicuro che Han e Leia sapevano badare a se stessi.

D’altra parte, prima di poter partire doveva essere guarito e proprio in quel momento il generale Madine era diventato un paio di gemelli. Il suo nervo ottico lo stava avvertendo che era il momento di tornare orizzontale se voleva evitare la doppia umiliazione di svenire proprio lì nella sala di guerra. Lanciò un’occhiata alla ringhiera che separava la doppia fila di panche, domandandosi se la sedia a repulsione ce l’avrebbe fatta a scavalcarla. Aveva una gran voglia di dare un piccolo aiuto al campo a repulsione della sedia. C1-P8 emise una serie di rumori urgenti e materni.

Luke tese una mano verso i controlli della poltrona e disse: «Torno alla mia cabina. Tenetemi informato».

Il generale Madine incrociò le braccia sull’uniforme cachi.

«Dubito molto che la manderemo a Bakura.» Le vesti di Mon Mothma frusciarono mentre la donna si raddrizzava. «Consideri la sua importanza per l’Alleanza.»

«Ha ragione, comandante», ansimò il piccolo ammiraglio Ackbar olografico.

«Be’, non posso essere di aiuto a nessuno finché resto disteso.» Certo, se voleva conquistare il rispetto della Flotta Ribelle doveva liberarsi della sua reputazione di scavezzacollo. Yoda lo aveva incaricato di trasmettere ad altri quello che gli aveva insegnato. Per Luke questo voleva dire ricostruire l’Ordine Jedi... appena ne avesse avuta la possibilità. Chiunque poteva pilotare un caccia, ma nessun altro poteva reclutare e addestrare dei nuovi Jedi. Accigliato, si diresse verso la piattaforma dalla quale era sceso C1-P8, ruotò la sedia a repulsione e rispose a Mon Mothma e all’ammiraglio Ackbar, mentre saliva. «Almeno posso aiutarvi a mettere insieme la forza d’attacco.»

2

I pezzi grossi continuarono a confabulare mentre Luke si dirigeva verso il portello con la poltrona a repulsione. La guardia, un Gotal dalla pelliccia grigia, fece una smorfia involontaria mentre lo salutava. Luke ricordò che i Gotal avvertivano la Forza sotto forma di un vago ronzio nei loro corni percettivi conici, e accelerò per evitare di lasciare il devoto Gotal con un gran brutto mal di testa.

Ci, dietro di lui, strillò. Luke decelerò nel corridoio e permise al piccolo droide di raggiungerlo. C1 si aggrappò allo stabilizzatore sinistro della poltrona a repulsione e cominciò a spingere, emettendo una serie di rumori pigolanti.

«Sì, C1.» Luke appoggiò una mano sulla calotta azzurra di C1 e si lasciò spingere, grato, verso il centro medico. Pensava a mille navi aliene che convergevano verso... verso un mondo che ancora non riusciva a immaginare. Avrebbe tanto voluto vederlo, almeno con gli occhi della mente.

E voleva sapere perché gli alieni stavano prendendo tanti prigionieri.

Una volta raggiunta la clinica, si tolse gli stivali e tornò a distendersi sul lettino a repulsione. Era incredibilmente bello sentirlo cedere sotto il proprio peso. Dopo aver lanciato un’occhiata al serbatoio di fluido bacta di Wedge, chiuse gli occhi e si sforzò di credere che il suo dito potesse spingersi fino alla sala militare.

Che ci pensassero loro. Lui per adesso aveva chiuso. Letteralmente.

C1 emise un bip interrogativo. «Ripeti un po’?» chiese Luke.

C1 rotolò fino al portello aperto e protese un braccio manipolatore. La porta si chiuse.

«Oh! Grazie.» Evidentemente C1 pensava che gradisse spogliarsi in privato.

Ma era troppo stanco per pensare di svestirsi. Tirò le gambe sul letto. «C1», disse, «di’ a 2-1B di procurarti un data pad e vedi di raggiungere quei file codificati che erano sul drone imperiale. Vorrei dargli un’occhiata mentre riposo.»

La risposta di C1 scese minacciosamente di tono mentre il droide si allontanava, ma meno di un minuto più tardi era già di ritorno e si tirava dietro un carrello. Lo manovrò fino a portarlo accanto al lettino di Luke e lo collegò con la sua porta di ingresso dati.

«Bakura», disse Luke. «Tutti i file dei dati.»

Mentre il computer analizzava la sua voce per confermare il suo status e accertarsi che gli fosse consentito l’accesso alle informazioni richieste, Luke si stiracchiò e ammiccò. Mai prima di allora aveva tanto apprezzato la normale visione.

Un mondo azzurro, avvolto da nuvole come da una brina, apparve sullo schermo. «Bakura», disse una voce femminile neutra e matura. «Istituto cartografico imperiale, rapporto sei-zero-sette-sette-quattro.» Le nubi si avvicinarono. La visione di Luke si tuffò oltre la coltre bianca per sorvolare una vasta catena di montagne verdi. Due ampi fiumi scendevano paralleli lungo una vallata, poi serpeggiavano fino a un delta verdeggiante. Luke immaginò odori ricchi, umidi, simili a quelli di Endor. «Salis D’aar, capitale planetaria, è la sede del governatorato imperiale. Il contributo di Bakura alla sicurezza dell’Impero include un modesto apporto di materiali strategici...»

Così verde. Così umida. Luke chiuse gli occhi. La sua testa si chinò.

...Era disteso sul ponte di un’astronave sconosciuta. Un gigantesco alieno rettiliforme, coperto di scaglie marrone e con una testa enorme, sovradimensionata al corpo, veniva verso di lui a passo di corsa agitando un’arma. Luke accese la spada laser, ma il contatto con le dita dell’imperatore l’aveva sporcata e resa enormemente pesante; gli sfuggì dalle dita. Fu allora che riconobbe l’«arma» che il rettile gli puntava contro: il controllore di un bullone di costrizione usato per il controllo dei droidi. Ridendo, balzò in posizione di combattimento. Il controllore tenuto in mano dal rettile ronzò. Luke si immobilizzò.

«Cosa?» Incredulo, abbassò lo sguardo. Aveva il corpo rigido, articolato di un droide. Di nuovo il rettile alzò il controllore...

Luke lottò per riprendere conoscenza. Avvertiva nella Forza una presenza potente e si mise a sedere troppo in fretta: quelli che sembravano due martelli invisibili lo colpirono sul cranio.