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Lo schermo si era spento. Ai piedi del suo lettino a repulsione sedeva Ben Kenobi, vestito come al solito di quegli abiti tessuti in casa che era solito portare in vita e che ora sotto le fioche luci notturne della cabina emettevano una luce tenue. «Obi-Wan?» mormorò Luke. «Che cosa sta succedendo a Bakura?»

Particelle d’aria ionizzate danzavano attorno alla figura. «Tu andrai a Bakura», comandò l’apparizione.

«È così grave?» chiese Luke brutalmente, senza però veramente aspettarsi una risposta. Ben di rado ne dava. Sembrava che apparisse soprattutto per rimproverarlo, come un maestro che anche dopo il diploma del suo allievo non riesce a fare a meno di dargli consigli (non che Ben avesse potuto finire il suo addestramento).

Obi-Wan si spostò sul letto, ma il letto non si mosse in risposta. Non era una manifestazione fisica, questa. «L’imperatore Palpatine aveva contattato gli alieni che stanno attaccando Bakura», disse l’apparizione, «durante una delle sue meditazioni nella Forza. Gli ha offerto un accordo che ora non può più essere onorato.»

«Che genere di accordo?» chiese Luke piano. «Qual è il pericolo che i Bakurani stanno correndo?»

«Tu devi andare.» Ben ancora non ascoltava le domande di Luke. «Se non ti occupi personalmente di questa faccenda, personalmente, Luke, Bakura e tutti gli altri mondi, sia alleati sia imperiali, conosceranno un disastro di proporzioni inimmaginabili.»

Dunque era proprio grave quanto avevano temuto. Luke scosse la testa. «Ho bisogno di saperne di più. Non posso gettarmi alla cieca in qualcosa in cui...»

L’aria sembrò bruciare e implodere e l’apparizione svanì, suscitando deboli correnti d’aria nella stanza.

Luke gemette. Avrebbe dovuto trovare il modo di convincere il comitato medico a dimetterlo e poi far sì che l’ammiraglio Ackbar gli desse questo incarico. Avrebbe promesso di riposare e riprendersi durante il viaggio nell’iperspazio, sempre che riuscisse a farsi venire in mente come. Improvvisamente l’idea di una battaglia non lo eccitava più.

Chiuse gli occhi e sospirò. Il maestro Yoda sarebbe stato contento, adesso.

«C1», disse, «chiama l’ammiraglio Ackbar.»

C1 cigolò.

«Lo so che è tardi, scusati per averlo svegliato. Digli...» Si guardò intorno. «Digli che se non se la sente di venire nella clinica, possiamo trovarci nella sala militare.»

«E quindi, vedete...» Luke alzò lo sguardo. La porta dell’infermeria si aprì. Han e Leia rimasero fermi sulla soglia per un attimo, poi si infilarono fra il generale Madine, che era in piedi lì vicino e Mon Mothma, seduta su un’unità di stasi.

«Scusate», borbottò Han. 2-1B aveva dato il suo consenso alla conferenza, purché Luke non lasciasse il centro medico. Questo salottino affollato, bianco candido come il resto del centro medico, veniva usato quando si rendeva necessario come deposito provvisorio di unità di stasi a freddo. Il «sedile» di Mon Mothma conteneva un Ewok ferito a morte, che riposava in animazione sospesa in attesa che l’Alleanza lo potesse trasportare in un ospedale attrezzato.

Han indietreggiò fino a mettere la schiena contro la paratia. Leia si sedette accanto a Mon Mothma.

«Continui.» L’immagine miniaturizzata dell’ammiraglio Ackbar splendeva sul pavimento accanto a C1 che, stando sull’attenti, lo proiettava. «Quindi, il generale Kenobi le ha dato degli ordini?»

«Esatto, signore.» Luke avrebbe preferito che Leia e Han non avessero interrotto il suo racconto proprio nel momento più eccitante.

L’ammiraglio Ackbar si sfregò i tentacoli del sottomento con una mano palmata. «Ho studiato le offensive del generale Kenobi. Erano magistrali. Non ho mai avuto molta fede nelle apparizioni, ma il generale Kenobi era uno dei cavalieri Jedi più potenti e della parola del comandante Skywalker in genere ci si può fidare.»

Il generale Madine si accigliò. «Il capitano Wedge Antilles si potrebbe riprendere del tutto, in tempo perché il gruppo d’assalto possa raggiungere Bakura. Avevo pensato di affidare a lui il comando della forza... senza offesa, generale», aggiunse, con un pallido sorriso diretto a Han.

«Non sono offeso», disse Han con voce pigra. «Ma appena tentate di separarmi dall’ambasciatore qui presente, vi vedrete tornare indietro i miei gradi.»

Luke nascose un sorriso dietro una mano. Mon Mothma aveva già incaricato Leia di rappresentare l’Alleanza sia su Bakura sia presso gli Imperiali stazionati laggiù; le aveva perfino chiesto di tentare un contatto con gli alieni. «Immagina come diverrebbe temibile la nostra sfida all’Impero se avessimo nei nostri ranghi una forza militare aliena», aveva azzardato Mon Mothma.

«Ma il comandante Skywalker è in condizioni di salute molto più precarie», dichiarò Ackbar.

«Non sarà più così una volta che avremo raggiunto Bakura.»

«Dobbiamo tener conto di ogni eventualità.» La testa rossiccia di Ackbar ondeggiò. «Dobbiamo difendere Endor e abbiamo promesso al generale Calrissian il nostro aiuto per liberare Bespin...»

«Ho parlato con Lando», interruppe Han. «Dice di avere un paio di idee tutte sue su quest’affare, ma che comunque vi ringrazia.» Le forze imperiali avevano assunto il controllo di Cloud City quando Lando Calrissian, il suo amministratore unico, era fuggito con Leia e Chewie per inseguire il cacciatore di taglie che si era portato via un Han congelato nel carbonio. Lando aveva dovuto dimenticarsi di Cloud City durante l’attacco a Endor, a cui aveva partecipato. Però gli avevano promesso tutte le navi di cui sarebbero riusciti a fare a meno, una volta finita la battaglia.

Ma Lando era sempre stato incline al gioco d’azzardo solitario.

«Allora manderemo a Bakura una forza d’attacco piccola ma forte», dichiarò Ackbar, «che aiuti la principessa Leia nel suo ruolo di negoziatore capo. La maggior parte dei combattimenti avverranno molto probabilmente nello spazio, non sulla superficie. Cinque cannoniere corelliane e una corvetta scorteranno il nostro incrociatore più piccolo. Sarà abbastanza per lei, comandante Skywalker?»

Luke si scosse. «Sta affidando il comando a me, signore?»

«Non mi sembra che abbiamo altra scelta», affermò Mon Mothma con voce tranquilla. «Il generale Kenobi le ha parlato. Il suo stato di servizio è impeccabile. Aiuti Bakura per noi e poi si ricongiunga immediatamente alla flotta.»

Euforico per l’onore, Luke la salutò.

Il giorno dopo, sul presto, Luke esaminò lo stato di servizio del nuovo incrociatore ribelle, la Flurry. «È pronta a salpare», osservò.

«Più che pronta, comandante.» Il capitano Tessa Manchisco gli diede di gomito. Fresca fresca dal servizio nella Guerra Civile Virgilliana, il capitano Manchisco portava i lunghi capelli neri in sei grosse trecce che scendevano sulla sua uniforme color crema. Aveva accettato con piacere la missione su Bakura. La sua Flurry, un piccolo incrociatore dall’aria poco convenzionale, sul quale erano stati adattati tutti i componenti rubati della tecnologia imperiale che gli opportunistici Virgilliani erano riusciti a farci entrare, aveva solo Virgilliani come ufficiali di coperta: oltre a Manchisco, c’erano tre umani e un navigatore Duro dagli occhi rossi e senza naso. Dentro gli hangar della Flurry gli uomini dell’ammiraglio Ackbar erano riusciti a fare entrare venti caccia Ala-X, tre Ala-A e quattro caccia Ala-B specializzati nell’assalto agli incrociatori, tutti quelli di cui l’Alleanza aveva ritenuto di poter fare a meno.

Gettando uno sguardo fuori dall’oblò triangolare di prua della Flurry, Luke vide due cannoniere corelliane. A fianco e sopra il trasporto (anche in gravità zero una formazione stabiliva un «sotto» un «sopra»), c’era il mercantile più veloce di quel quadrante della galassia, il Millennium Falcon.

Han, Chewbacca, Leia e D-3BO si erano imbarcati meno di un’ora prima.

L’entusiasmo iniziale di Luke per il suo comando era già svanito. Una cosa era pilotare un caccia agli ordini di qualcun altro, con la Forza come alleato, la strategia però era tutta un’altra cosa. Adesso il responsabile di ogni vita e di ogni nave era lui e solo lui.