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Il signor Aldrin aveva detto di contattare la banca, il gerente del palazzo e gli amici che eventualmente potrebbero preoccuparsi. Ci ha dato una dichiarazione da consegnare alla banca e al gerente. Lì si spiega che saremo assenti per un incarico temporaneo affidatoci dalla compagnia, che i nostri stipendi continueranno a essere versati in banca e che la banca s'incaricherà dei nostri pagamenti. Trasmetto la dichiarazione alla mia banca.

Scendo le scale. La porta dell'appartamento della gerente è chiusa, ma all'interno sento il ronzio di un aspirapolvere. Suono il campanello e il ronzio s'interrompe. Non sento rumore di passi, ma la porta si apre.

— Signor Arrendale. — La signora Tomasz, la gerente, pare sorpresa. Non si sarebbe aspettata di vedermi a metà mattina in un giorno feriale. — Non sta bene? Ha bisogno di qualcosa?

— Devo assentarmi per un incarico affidatomi dalla compagnia per cui lavoro — dico. Avevo provato questo discorso per esser certo di pronunciarlo scorrevolmente. Le porgo la dichiarazione. — Ho incaricato la banca di pagare l'affitto. Lei può contattarla se non dovesse farlo.

— Oh! — La donna prende il foglio e prima di leggerlo mi guarda. — Ma… resterà assente a lungo?

— Non lo so con precisione — rispondo — ma tornerò. — Non so nemmeno questo, però non voglio che lei si preoccupi.

— Non se ne va perché quell'uomo le ha tagliato le gomme nel parcheggio e poi l'ha assalita?

— No — dico. Non so perché lei pensi questo. — È un incarico speciale.

— Io rimasi tanto inquieta, ma tanto — dice la signora Tomasz. — Volevo salire per dirle… per dirle quanto mi dispiaceva, ma lei, sa… lei è sempre molto riservato.

— Sto bene — dico.

— Lei ci mancherà — dice. Non capisco come questo possa essere vero, dato che per la maggior parte del tempo nemmeno mi vede.

Quando torno nel mio appartamento vedo che è già arrivata la risposta automatica della banca. Dice che il messaggio è stato ricevuto, che il manager mi risponderà quanto prima e grazie per averci contattati.

Decido di scendere e andare a piedi al piccolo forno per il pranzo: avevo visto il cartello che offriva panini su ordinazione il giorno che avevo comprato là il pane. Il negozio non è affollato, ma non mi piace la musica che la radio trasmette: è troppo forte e ritmata. Ordino un panino al prosciutto. Fa un freddo eccessivo per mangiarlo fuori, così ritorno a casa e lo mangio nella mia cucina.

Potrei chiamare Marjory. Potrei portarla a cena questa sera o domani sera o sabato sera, se lei accettasse. Conosco i suoi numeri di telefono, sia sul lavoro che a casa. Appendo intanto le girandole e le spirali nel mio appartamento dove cominciano a girare per la corrente d'aria che filtra dalle vecchie finestre. I lampi di luce colorata che si riflettono sulle pareti sono riposanti e mi aiutano a pensare.

Se la chiamo e lei viene a cena con me, perché lo farebbe? Forse perché le piaccio, forse perché si preoccupa per me e forse perché le dispiace per me. Ma io non so con certezza se lo farebbe perché le piaccio. Per avere lo stesso sentimento in direzioni opposte, io dovrei piacerle come lei piace a me. Altrimenti non si avrebbe uno schema simmetrico.

Di che cosa potremmo parlare? Delle funzioni cerebrali lei non sa più di quanto ne sappia io adesso. Non è il suo campo. Ambedue tiriamo di scherma, ma non credo che potremmo parlare di scherma tutto il tempo. E non credo che lei s'interessi allo spazio; come il signor Aldrin, sembra lei pensi che il lavoro che si fa lì sia uno spreco di denaro.

Se torno… se il trattamento funziona e io divento come gli altri uomini nel cervello come nel corpo… lei mi piacerà come mi piace adesso?

O Marjory è un altro caso della piscina con l'angelo… e io l'amo perché credo sia l'unica che posso amare?

Mi alzo e metto su la Toccata e Fuga in Re minore di Bach. La musica costruisce un complicato panorama di valli e montagne e grandi golfi di aria fresca e ventosa. Amerò ancora Bach quando tornerò, se tornerò?

Per un istante il terrore mi ghermisce in tutto l'essere e precipito nel buio, più velocemente di quanto qualsiasi luce possa raggiungermi, ma la musica si alza sotto di me, mi solleva come un'onda oceanica e io non ho più paura.

Venerdì mattina. Vorrei andare al lavoro, ma nel mio ufficio non c'è niente da fare, e non c'è niente da fare nemmeno nel mio appartamento. La conferma della banca è arrivata.

Mi chiedo se devo mettermi in contatto con gli altri, ma decido di no. Non desidero parlare con loro. Non sono abituato ad avere un giorno così, una vacanza non pianificata, e non so cosa fare. Potrei andare a vedere un film o leggere un libro, però sono troppo nervoso per questo. Potrei andare al Centro, ma non mi va neanche questo.

Lavo i piatti della colazione e li ripongo. Di colpo l'appartamento è troppo silenzioso, troppo grande e vuoto. Non so dove andrò, ma devo andare da qualche parte. Metto in tasca il portafogli e le chiavi ed esco. Esco con soli cinque minuti di ritardo rispetto ai giorni lavorativi.

Anche Danny sta scendendo le scale. Mi dice: — Ciao, Lou, come va? — tutto d'un fiato. Penso che abbia fretta e non abbia voglia di parlare. Gli dico "ciao" e niente di più.

Fuori il tempo è nuvoloso e freddo, ma in questo momento non piove. C'è vento, però non quanto ieri. Mi dirigo alla mia macchina ed entro. Non giro la chiave di avviamento, perché ancora non so dove andrò. Prendo la mappa dallo scompartimento del cruscotto e l'apro. Potrei andare al grande parco fuori città a guardare le cascate. Molta gente va a farci camminate in estate, ma credo che di giorno il parco sia aperto anche d'inverno.

Un'ombra cade sul finestrino. È Danny. Abbasso il vetro.

— Stai bene? — mi chiede. — Qualcosa non va?

— Oggi non vado al lavoro — rispondo. — Sto decidendo dove andare.

— Allora è tutto a posto — dice. Sono sorpreso: non sapevo che s'interessasse tanto a me. E se è così, forse vorrà sapere che sto per andarmene.

— Sto per andarmene — annuncio.

Il suo viso cambia espressione. — Ti trasferisci? A causa di quel mascalzone? Ma ormai non può più farti del male, Lou.

È interessante che sia lui che la gerente abbiano subito pensato che volessi andar via a causa di Don.

— No, non mi trasferisco — spiego. — Però starò fuori per diverse settimane. C'è un nuovo trattamento sperimentale e la mia compagnia vuole che lo provi.

Danny sembra preoccupato. — La tua compagnia… ma tu vuoi provarlo? Stanno cercando di costringerti?

— No, è una decisione mia — dico. — Ho deciso io di sottopormici.

— Be'… allora… Spero che tu abbia ricevuto buoni consigli.

— Sì — dico, ma non dico da chi.

— Quindi hai il giorno libero? O te ne vai oggi? Quando ti verrà somministrato quel trattamento?

— Oggi non devo lavorare. Ho sgomberato ieri il mio ufficio. Il trattamento viene somministrato alla clinica del campus dove lavoro, ma in un edificio differente. Comincerà lunedì. Oggi non ho nulla da fare e pensavo di andare a Harper Falls.

— Abbi cura di te, Lou. Spero che ti vada tutto bene. — Danny picchia sul tetto della macchina e si allontana.

Non capisco con chiarezza cosa lui spera che mi vada bene. La gita a Harper Falls o il trattamento? Non so nemmeno perché abbia picchiato sul tetto della macchina. So però che non m'incute più paura, un altro cambiamento che mi è capitato da solo.

Al parco pago il biglietto e mi fermo nel parcheggio. Cartelli indicano i diversi itinerari: ALLE CASCATE, 290,3 METRI. BUTTERCUP MEADOW, 1,7 KM. ITINERARIO JUNIOR 1,3 KM. L'itinerario junior e il sentiero completamente accessibile sono asfaltati, ma il sentiero per le cascate è inghiaiato. M'incammino, e le mie scarpe fanno scricchiolare i sassolini. Non c'è nessuno. Gli unici suoni sono quelli della natura.