«Cosa succede?» gridò Mike.
Rachel pensò che si trattasse di una grandinata — palle di ghiaccio che precipitavano dal ghiacciaio — eppure, dalla violenza con cui erano stati colpiti Norah e Corky, quei chicchi ghiacciati avrebbero dovuto viaggiare a centinaia di chilometri l'ora. Stranamente, l'improvvisa raffica di biglie sembrò a quel punto concentrarsi su lei e Tolland. Piovevano intorno a loro, sollevando schegge di ghiaccio. Rachel rotolò sulla pancia, affondò la punta dei ramponi e si slanciò verso l'unico riparo disponibile, la slitta. Tolland, un momento dopo, corse a rannicchiarsi accanto a lei.
Vedendo Norah e Corky allo scoperto, gridò a Racheclass="underline" «Trasciniamoli verso di noi!». Afferrò la corda e tirò con forza.
Ma l'imbracatura era impigliata nella slitta.
Rachel infilò il foglio stampato nella tasca di velcro della tuta e si avvicinò carponi alla slitta, cercando di liberare la corda dai pattini. Tolland era alle sue spalle.
La grandinata piovve loro addosso come un fuoco di fila. Un proiettile colpì l'incerata, la strappò e rimbalzò atterrando sulla manica di Rachel.
Lei raggelò nel vedere di che cosa si trattava. In un istante, lo stupore si tramutò in panico. Quei "chicchi di grandine" erano di produzione umana. La pallina gelata sulla sua manica era una sfera perfetta delle dimensioni di una grossa ciliegia. La superficie era levigata e liscia, segnata soltanto da una linea precisa intorno alla circonferenza, come una vecchia palla di piombo da moschetto, fabbricata con la pressa. Quelle palline erano senza dubbio costruite dall'uomo.
"Proiettili di ghiaccio…"
Avendo accesso ai documenti militari, Rachel conosceva bene le nuove armi sperimentali, le cosiddette IM, Improvised Munitions: fucili che compattano la neve in palline durissime, fucili da deserto che sciolgono la sabbia per creare proiettili di vetro, armi ad acqua che sparano getti con una tale violenza da rompere le ossa. Le armi IM avevano un enorme vantaggio rispetto a quelle convenzionali perché usavano le materie disponibili sul posto per fabbricare proiettili, offrendo all'esercito una riserva praticamente illimitata di munizioni senza dover trasportare quelle pesanti convenzionali. Rachel sapeva che i proiettili di ghiaccio che in quel momento piovevano su di loro venivano creati nel calcio del fucile "secondo necessità".
Come spesso avviene nel mondo dell'intelligence, meglio si conosce una cosa, più lo scenario diventa terrificante. Rachel avrebbe preferito una beata ignoranza, perché la sua conoscenza delle armi IM la portava a una sola, raggelante conclusione: i loro aggressori dovevano appartenere a qualche unità operativa speciale statunitense, le uniche forze nel paese autorizzate a usare sul campo le armi sperimentali IM.
La presenza di un'unità militare segreta portò una seconda consapevolezza, ancora più terrificante: le probabilità di sopravvivere a quell'attacco erano praticamente nulle.
Quei pensieri raccapriccianti svanirono di colpo quando una delle pallottole di ghiaccio si aprì un varco tra l'attrezzatura della slitta per fermarsi contro il suo stomaco. Malgrado l'imbottitura della tuta Mark IX, Rachel ebbe la sensazione di essere stata colpita alle viscere da un invisibile pugile professionista. Mentre nella zona periferica della sua vista apparivano le stelle, cadde all'indietro e, per non perdere l'equilibrio, si aggrappò agli attrezzi sulla slitta. Michael Tolland lasciò cadere la corda che legava Norah e si lanciò a sostenerla, ma troppo tardi. Rachel precipitò all'indietro, trascinando con sé vari macchinari. Cadde insieme a Tolland tra una pila di apparecchi elettronici.
«Sono… proiettili…» ansimò, senza quasi più aria nei polmoni. «Scappiamo!»
50
Il treno della Washington MetroRail che in quel momento lasciava la stazione di Federal Triangle non si sarebbe allontanato mai troppo in fretta per Gabrielle Ashe. La donna sedeva rigida in un angolo deserto della metropolitana senza vedere le forme indistìnte che le passavano accanto. La cartellina rossa di Marjorie Tench, sul suo grembo, sembrava pesare dieci tonnellate.
"Devo dirlo a Sexton!" pensò, mentre il treno accelerava in direzione dell'ufficio del senatore. "Immediatamente!"
Nel chiarore fioco e mutevole del treno, ebbe la sensazione di essere sotto l'effetto di un allucinogeno. Luci smorzate correvano sopra la sua testa simili a fari intermittenti da discoteca. Il grande tunnel la avvolse come un canyon abissale.
"Ditemi che è solo un incubo."
Abbassò gli occhi sulla cartellina. Tolse l'elastico e pescò all'interno una foto. Le luci fredde dentro il treno lampeggiarono di scatto illuminando un'immagine sconvolgente: Sedgewick Sexton sdraiato nudo nel suo ufficio, il viso compiaciuto rivolto all'obiettivo, la sagoma nuda di Gabrielle distesa accanto a lui.
Con un brivido si affrettò a riporre la foto e a richiudere la cartellina.
"È finita."
Non appena il treno uscì dalla galleria e riemerse in superficie, vicino a L'Enfant Plaza, prese il cellulare e chiamò il senatore sul suo numero privato. Rispose la casella vocale. Stupita, telefonò in ufficio. La voce della segretaria.
«Sono Gabrielle. Lui c'è?»
La segretaria pareva indispettita. «Ma dove sei stata? Ti cercava.»
«Una riunione che è andata per le lunghe. Ho bisogno di parlargli subito.»
«Dovrai aspettare fino a domattina. È a Westbrooke.»
Westbrooke Place Apartments era il nome del palazzo in cui risiedeva Sexton quando si trovava a Washington. «Ma non risponde sulla linea privata» osservò Gabrielle.
«Ha segnato la serata come IP» le ricordò la segretaria. «È uscito presto.»
Gabrielle si incupì. "Incontro personale." Frastornata com'era, aveva scordato che Sexton aveva programmato una serata da solo a casa. Teneva molto a non essere disturbato nei suoi momenti IP. "Bussa alla mia porta soltanto se il palazzo va a fuoco" le diceva. "Tutto il resto può aspettare fino al mattino." Gabrielle decise che il palazzo di Sexton stava decisamente andando a fuoco. «Devi assolutamente rintracciarmelo.»
«Impossibile.»
«È una cosa seria, davvero…»
«No, intendo dire che è letteralmente impossibile. Mentre usciva, ha lasciato il pager sulla mia scrivania e mi ha detto di non disturbarlo per nessun motivo. Era molto deciso.» Fece una pausa. «Più del solito.»
"Merda." «Va bene, grazie.» Gabrielle chiuse la comunicazione.
«L'Enfant Plaza» annunciò una voce registrata dentro la carrozza della metropolitana. «Coincidenze con tutte le stazioni.»
Gabrielle chiuse gli occhi, cercando di sgomberare la mente, ma immagini angoscianti continuavano a tormentarla… le vergognose foto di lei con il senatore… la pila di documenti che attestavano i finanziamenti illeciti di Sexton. Risentì ancora una volta le ignobili richieste della Tench. "Faccia la cosa giusta. Firmi la dichiarazione. Ammetta la relazione."
Mentre il treno arrivava stridendo in stazione, si costrinse a immaginare che cosa avrebbe fatto il senatore se quelle foto fossero finite in mano alla stampa. La prima idea che le venne in mente la stupì e la fece vergognare.
"Sexton negherebbe."
Era davvero quello il suo primo istinto riguardo al candidato che appoggiava?
"Sì. Mentirebbe… in modo estremamente convincente."
Se le foto fossero arrivate ai media senza che Gabrielle confessasse la relazione, il senatore avrebbe dichiarato con fermezza che erano un vergognoso falso. Nell'epoca del fotomontaggio digitale, basta navigare in rete per vedere dozzine di fotografie abilmente ritoccate di teste di personaggi celebri inserite sul corpo di altre persone, spesso divi della pornografia ripresi in atti osceni. Gabrielle aveva già visto di persona la capacità del senatore di fissare la telecamera e mentire con convinzione sul loro rapporto, e non dubitava che sarebbe riuscito a persuadere il mondo intero che quelle foto erano un vile tentativo per distruggergli la carriera. Sexton avrebbe reagito con stizzosa indignazione, forse arrivando al punto di insinuare che era stato il presidente in persona a ordinare la contraffazione.