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Normalmente la profondità di crociera è appena al di sotto del termoclino, un gradiente termico naturale che distorce i riflessi dei sonar e rende lo scafo invisibile ai radar di superficie. Con un equipaggio di centoquarantotto uomini, può raggiungere la profondità massima di quasi cinquecento metri e rappresenta l'ultima generazione in fatto di sottomarini, il "mulo" della marina degli Stati Uniti. Il sistema di ossigenazione a elettrolisi evaporativa, due reattori nucleari e l'elevata autonomia gli consentono di circumnavigare il globo ventun volte senza riemergere. I rifiuti organici dell'equipaggio, come sulla maggior parte delle navi da crociera, vengono compressi in blocchi di trenta chili ed espulsi in mare, enormi mattoni di feci definiti scherzosamente "stronzi di balena".

Il tecnico seduto davanti allo schermo dell'oscilloscopio nel locale del sonar era uno dei migliori del mondo, la sua mente un archivio di suoni e onde sonore. Poteva distinguere i rumori di decine di eliche di sottomarini russi, centinaia di animali marini e individuare vulcani sommersi addirittura in Giappone.

In quel momento, però, era all'ascolto di un rumore ripetitivo, sordo. Anche se chiaramente identificabile, era del tutto inatteso. «Stenterai a credere alle tue orecchie» disse al suo vice, porgendogli le cuffie.

Indossate le cuffie, l'assistente assunse un'espressione incredula. «Mio Dio. Chiaro come il sole. Che possiamo fare?»

Quando il comandante arrivò nel locale del sonar, il tecnico gli trasmise il rumore dal vivo attraverso un piccolo set di altoparlanti.

Il comandante ascoltò, il volto privo di espressione.

BONG. BONG. BONG.

BONG… BONG… BONG…

BONG. BONG. BONG.

Sempre più lento. Lo schema diveniva meno preciso, più debole.

«Quali sono le coordinate?» chiese il comandante.

Il tecnico si schiarì la gola. «Per la verità, signore, proviene dalla superficie, circa tre miglia a dritta.»

62

Nel corridoio buio fuori dal salotto del senatore Sexton, Gabrielle Ashe sentiva tremare le gambe, non per essere rimasta tanto a lungo immobile, ma per la disillusione provocata dai discorsi che stava ascoltando. Anche se la riunione nella stanza accanto era ancora in corso, lei aveva sentito a sufficienza. La penosa verità era più che ovvia.

"Il senatore Sexton riceve soldi in nero dalle agenzie spaziali private." Marjorie Tench non aveva mentito.

Ciò che più la disgustava era il tradimento. Aveva creduto in Sexton, lottato per lui. "Come può fare una cosa del genere?" L'aveva visto mentire in pubblico, di tanto in tanto, per proteggere la sua vita privata, ma qui si trattava di politica, questo significava infrangere la legge.

"Non è stato ancora eletto, e già vende la Casa Bianca!"

Gabrielle sapeva di non poter più sostenere il senatore. Promettere di approvare l'atto sulla privatizzazione della NASA implicava un arrogante disprezzo per la legge e il sistema democratico. Anche se lui riteneva che fosse nell'interesse della collettività, vendere quella decisione in anticipo significava chiudere la porta ai controlli e agli equilibri del governo, ignorando le argomentazioni potenzialmente persuasive del Congresso, dei consiglieri, degli elettori e delle lobby. Soprattutto, promettendo la privatizzazione della NASA, Sexton lastricava la strada agli innumerevoli abusi che sarebbero derivati da tale conoscenza anticipata, a cominciare dall'insider trading, palesemente favorevole a quel manipolo di ricconi a spese degli onesti investitori pubblici.

Con un senso di nausea, Gabrielle si chiese che fare.

Lo squillo acuto di un telefono, alle sue spalle, ruppe il silenzio in corridoio. Gabrielle si voltò, spaventata. Il suono proveniva dall'armadio nell'ingresso, evidentemente il cellulare nella tasca del cappotto di un ospite.

«Scusatemi, amici» disse una voce dal forte accento texano. «È il mio.»

Gabrielle sentì che l'uomo si alzava. "Viene da questa parte!" Risalì di volata il corridoio e, a metà strada, svoltò a sinistra, infilandosi nella cucina buia proprio nel momento in cui il texano usciva dal salotto. Gabrielle rimase immobile nell'ombra.

Il texano le passò accanto senza accorgersi di lei.

Malgrado il rimbombo del cuore che le martellava in petto, sentì l'uomo frugare nell'armadio. Finalmente rispose.

«Sì? Quando…? Davvero? Accendiamo subito. Grazie.» Chiuse la comunicazione e, mentre tornava in salotto, chiamò gli altri. «Ehi! Accendete il televisore! Pare che Zach Herney abbia convocato una conferenza stampa urgente per stasera alle otto. A reti unificate. O dichiariamo guerra alla Cina, oppure la stazione spaziale internazionale è appena caduta in mare.»

«Be', questo sì che meriterebbe un brindisi!» gridò qualcuno.

Tutti risero.

Gabrielle sentì vorticare intorno a sé le pareti della cucina. "Una conferenza stampa alle otto?" La Tench non aveva bluffato, allora. Le aveva dato tempo fino alle venti per consegnarle la dichiarazione in cui confessava la relazione, consigliandole di prendere le distanze dal senatore prima che fosse troppo tardi. Gabrielle aveva pensato che quella scadenza fosse stata fissata per dare modo alla Casa Bianca di lasciar trapelare la notizia ai giornali l'indomani, ma evidentemente era stato deciso di rendere comunque pubblica la cosa.

"Una conferenza stampa urgente?" Più ci rifletteva, più le pareva strano. "Herney che parla in diretta di questo casino? Lui in persona?"

Dal soggiorno, il televisore risuonò a tutto volume. Il tono del presentatore era molto eccitato. «La Casa Bianca non ha fatto alcuna anticipazione sull'argomento del comunicato a sorpresa del presidente, e le illazioni abbondano. Alcuni analisti politici ritengono che, data la recente assenza dalla scena elettorale, Zach Herney stia per annunciare che rinuncia a ripresentarsi per il secondo mandato.»

Un applauso di speranza si levò nel salotto.

"Assurdo" pensò Gabrielle. Con tutte le cose sporche che la Casa Bianca aveva in mano su Sexton, non c'era una possibilità al mondo che il presidente gettasse la spugna, quella sera. "Questa conferenza stampa riguarda qualcos'altro." Gabrielle aveva l'angosciante presentimento di sapere di che cosa si trattasse.

Con ansia crescente guardò l'orologio. Mancava meno di un'ora. Doveva prendere una decisione e sapeva esattamente con chi parlare. Stringendo sotto il braccio la cartellina delle foto, uscì dall'appartamento senza fare rumore.

La guardia del corpo parve sollevata nel vederla. «Ho sentito voci allegre, dentro. A quanto pare è stata accolta calorosamente.»

Gabrielle gli rivolse un sorriso veloce prima di dirigersi verso l'ascensore.

In strada, al tramonto, l'aria pareva insolitamente fresca. Chiamò un taxi con la mano, salì e cercò di rassicurarsi. Aveva chiaro in mente che cosa fare.

«Studi televisivi ABC» disse all'autista. «E in fretta.»

63

Sdraiato di fianco sul ghiaccio, Michael Tolland posò la testa sul braccio disteso, ormai privo di sensibilità. Si sforzò di tenere aperte le palpebre, pesanti come piombo. Da quella strana angolazione, osservò le ultime immagini del suo mondo, ormai ridotto solo a mare e ghiaccio. La conclusione più naturale di una giornata in cui nulla era andato come previsto.