Gabrielle considerò l'ipotesi. Era ragionevole, ma qualcosa non tornava. Indicò la redazione in piena attività al di là del vetro. «Yolanda, voi vi state preparando per la conferenza stampa di questa sera. Se il presidente non intende parlare di finanziamenti illeciti o di vicende sessuali, quali altri argomenti dovrebbe toccare, secondo te?»
Yolanda parve sbalordita. «Aspetta un attimo. Credi che la conferenza stampa possa riguardare te e Sexton?»
«O i soldi che riceve sottobanco. Oppure entrambe le cose. La Tench mi ha detto che avevo tempo fino alle otto di stasera per firmare una confessione, altrimenti il presidente avrebbe annunciato…»
La fragorosa risata di Yolanda scosse i vetri del piccolo locale. «Oh, ti prego! Aspetta! Mi farai morire dal ridere!»
Gabrielle non era in vena di ilarità. «Come?»
«Ascolta» disse Yolanda tra le risate «fidati di me. Ho a che fare con la Casa Bianca da sedici anni, ed è assolutamente inconcepibile che Zach Herney abbia convocato i media mondiali per raccontare che il senatore Sexton riceve denaro sottobanco o che viene a letto con te. Informazioni di questo genere si lasciano trapelare. I presidenti non acquistano consensi interrompendo i programmi televisivi per spettegolare di fatti sessuali o di ipotetici oscuri finanziamenti illeciti.»
«Oscuri?» sbottò Gabrielle. «Vendere l'approvazione di un decreto sullo spazio in cambio di milioni di dollari di finanziamenti non lo definirei una questione oscura.»
«Ma sei proprio certa di quello che dici?» Il tono di Yolanda era diventato aggressivo. «Sei tanto sicura da calarti le braghe alla televisione nazionale? Pensaci bene. Per fare qualunque cosa, oggigiorno, sono necessarie molte alleanze, e gli aiuti economici ai candidati sono una materia complessa. Può darsi che la riunione di Sexton non avesse nulla di losco.»
«Sta infrangendo la legge.» "Oppure no?"
«Quanto meno, questo è ciò che la Tench vuole farti credere. I candidati accettano spesso donazioni sottobanco dalle grandi corporazioni. Forse non è elegante, ma non è necessariamente un reato. In effetti, la maggior parte delle questioni legali non riguarda la provenienza del denaro ma il suo uso da parte del candidato.»
Gabrielle cominciava a sentirsi meno sicura di sé.
«Gabs, la Casa Bianca ti ha preso in giro, oggi pomeriggio. Hanno cercato di metterti contro il tuo candidato, e fino a questo momento tu sei stata al gioco. Se cercassi qualcuno di cui fidarmi, penso che rimarrei incollata a Sexton piuttosto che abbandonare la nave per un tipo come Marjorie Tench.»
Squillò il telefono. Yolanda rispose, annuì, emise molti "uh uh", prese appunti. «Interessante» disse infine. «Procedo subito. Grazie.»
Chiuse la comunicazione e guardò Gabrielle inarcando le sopracciglia. «Gabs, a quanto pare sei fuori dai guai, come previsto.»
«Che succede?»
«Di preciso ancora non lo so, ma posso dirti che la conferenza stampa del presidente non ha niente a che vedere con scandali sessuali o finanziamenti elettorali.»
Gabrielle avvertì un'ondata di speranza e desiderò disperatamente crederle. «Come lo sai?»
«Qualcuno, dall'interno della Casa Bianca, ha appena fatto trapelare la voce che la conferenza stampa sarà sulla NASA.»
Gabrielle scattò a sedere. «La NASA?»
Yolanda assentì con un cenno del capo. «Questa potrebbe essere la tua sera fortunata. Scommetto che Herney, messo sotto pressione dal senatore Sexton, ha deciso che la Casa Bianca non ha altra scelta che staccare la spina della stazione spaziale internazionale. Il che spiegherebbe il risalto mondiale che vuole dare alla notizia.»
"Una conferenza stampa per annunciare la chiusura della stazione spaziale?" A Gabrielle sembrò improbabile.
Yolanda si alzò. «La mossa della Tench di oggi pomeriggio è stata probabilmente l'estremo tentativo di trovare un appiglio contro Sexton prima che Herney dia al pubblico la brutta notizia. Non c'è nulla come uno scandalo sessuale per distogliere l'attenzione dall'ennesimo insuccesso della Casa Bianca. Comunque, Gabs, ora ho da fare. Ti consiglio di prendere una tazza di caffè, sederti qui a guardare la mia trasmissione e cavalcare l'evento come tutti noi. Mancano venti minuti, ormai, e ti dico con sicurezza che è impensabile che il presidente intenda pescare nel torbido, stasera. Va in mondovisione. Quello che ha da dire è sicuramente una notizia di gran peso.» Le ammiccò con fare rassicurante. «Ora dammi quella cartellina.»
«Cosa?»
Yolanda le tese la mano con aria decisa. «Queste foto resteranno chiuse nella mia scrivania finché tutto non sarà finito. Voglio essere sicura che tu non commetta un'idiozia.»
Gabrielle le porse la cartellina con una certa riluttanza.
Yolanda chiuse le foto in un cassetto e mise in tasca la chiave. «Mi ringrazierai, Gabs. Ne puoi star certa.» Prima di uscire, le arruffò i capelli con gesto affettuoso. «Tieniti forte. Credo che stiano per arrivare buone notizie.»
Gabrielle, rimasta sola nel cubicolo di vetro, si sforzò di condividere l'ottimismo dell'amica, ma l'unica cosa che le venne in mente fu il ghigno compiaciuto di Marjorie Tench, quel pomeriggio. Ignorava che cosa stesse per annunciare al mondo il presidente, ma di certo non sarebbe stato niente di buono per il senatore Sexton.
65
Rachel Sexton aveva la sensazione di bruciare viva.
"Piove fuoco!"
Aprì gli occhi a fatica, ma non riuscì a vedere altro che forme indistinte e luci accecanti. Cadeva su di lei una pioggia bollente. Sdraiata sul fianco, sentiva mattonelle incandescenti sotto il corpo. Si rannicchiò in posizione fetale, cercando di proteggersi dal liquido ustionante che cadeva dall'alto. Un odore chimico, forse di cloro. Tentò di strisciare via, ma senza successo. Mani forti le premevano le spalle, inchiodandola.
"Lasciatemi andare! Sto bruciando!"
D'istinto, si divincolò nel tentativo di fuggire, ma ancora una volta fu bloccata da quelle mani possenti. «Stia ferma» ordinò una voce maschile e professionale dall'accento americano. «Non durerà ancora molto.»
"Che cosa non durerà? Il dolore, la mia vita?" Cercò di mettere a fuoco. C'erano luci violente in quella stanza che sentiva piccola, limitata. Il soffitto era basso.
«Sto bruciando!» L'urlo uscì come un mormorio.
«Lei sta bene» disse la voce. «L'acqua è tiepida, si fidi.»
Rachel si accorse di indossare soltanto la biancheria bagnata, ma non provò imbarazzo: la mente era piena di ben altre domande.
I ricordi si susseguivano incessanti. La banchisa. Il GPR. L'aggressione. "Chi erano? E adesso dove mi trovo?" Cercò di ricomporre i pezzi, ma la mente era intorpidita come uno strumento inceppato. In quella nebbiosa confusione, un solo pensiero: "Michael e Corky… dove sono?".
Cercò di mettere a fuoco, ma non vide che gli uomini chini su di lei, tutti vestiti con identiche tute blu. Voleva parlare, però la bocca rifiutava di articolare le parole. La sensazione di bruciore sulla pelle stava cedendo a improvvise ondate di dolore che le percorrevano i muscoli come scosse sismiche.
«Si rilassi» disse l'uomo vicino a lei. «Il sangue deve rifluire nella muscolatura.» Parlava come un medico. «Cerchi di muovere gli arti più che può.»
Un dolore straziante, la sensazione che ogni muscolo fosse preso a martellate. Distesa sulle piastrelle, il torace contratto, riusciva a malapena a respirare.
«Muova braccia e gambe» insisteva l'uomo. «Si sforzi.»
Rachel tentò, ma ogni movimento era come una coltellata alle giunture. I getti d'acqua divennero più caldi. Di nuovo l'ustione. Una sofferenza straziante. Nel preciso istante in cui pensò di non poter resistere un altro momento, sentì che qualcuno le praticava un'iniezione. Il dolore si attenuò, sempre meno violento; il tremito si placò. Riusciva a respirare.