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«Soltanto che, sotto il microscopio elettronico, non vediamo resti di combustibile, da cui si deduce che il riscaldamento è stato causato da energia cinetica e attrito e non da agenti chimici o nucleari.»

«Se non sono stati trovati elementi estranei, cosa c'era? Insomma, nello specifico, qual è la composizione della crosta di fusione?»

Fu Corky a rispondere. «Abbiamo trovato esattamente quello che prevedevamo, e cioè elementi atmosferici puri: azoto, ossigeno, idrogeno. Nessuna traccia di petrolio, zolfo o acidi di origine vulcanica. Niente di particolare. Le solite cose che si riscontrano nei meteoriti precipitati attraverso l'atmosfera.»

Rachel si appoggiò allo schienale, concentrata.

Corky si sporse a guardarla. «Ti prego, non dirmi che la tua nuova teoria è che la NASA ha caricato sullo shuttle una roccia fossile, l'ha portata nello spazio e poi l'ha spedita sulla Terra nella speranza che la palla di fuoco, il grande cratere e l'esplosione passassero inosservati.»

Rachel non ci aveva pensato, anche se l'idea non era poi così peregrina. Non facile da praticare, forse, ma interessante. I suoi pensieri, in realtà, erano più vicini a casa. "Tutti elementi atmosferici naturali. Una bruciatura pulita. Striature create dall'attrito durante la caduta." Una debole luce si era accesa in un angolo remoto della sua mente. «I rapporti tra gli elementi atmosferici sono esattamente gli stessi riscontrati in tutti gli altri meteoriti dotati di crosta di fusione?»

Corky sembrò lievemente infastidito dalla domanda. «Perché lo chiedi?»

Vedendolo esitare, Rachel sentì accelerare il battito cardiaco. «I rapporti erano diversi, vero?»

«C'è una spiegazione scientifica.»

A quel punto, il cuore le martellava in petto. «Per caso hai notato un contenuto insolitamente alto di un elemento particolare?»

Tolland e Corky si scambiarono un'occhiata sbalordita. «Sì» disse Corky «ma…»

«Idrogeno ionizzato, forse?»

L'astrofisico sbarrò gli occhi. «Come fai a saperlo?»

Anche Tolland appariva sconcertato.

Rachel li fissò entrambi. «Perché nessuno me ne ha parlato?»

«Perché c'è una spiegazione scientifica assolutamente inattaccabile» ribatté Corky.

«Sono tutta orecchi.»

«L'eccedenza di idrogeno ionizzato è dovuta al fatto che il meteorite ha attraversato l'atmosfera nella zona del polo Nord, dove il campo magnetico terrestre causa una concentrazione più alta del normale di ioni di idrogeno» affermò Corky.

«Purtroppo c'è un'altra spiegazione.»

87

Il quarto piano della sede centrale della NASA era meno maestoso dell'atrio: lunghi corridoi asettici con una serie di porte a intervalli regolari. Era deserto. Insegne smaltate indicavano in ogni direzione.

‹- LANDSAT 7

TERRA -›

‹- ACRMSAT

‹- JASON 1

AQUA -›

PODS -›

Gabrielle seguì l'indicazione PODS. Si inoltrò lungo una serie di tortuosi passaggi e incroci prima di arrivare davanti a pesanti porte d'acciaio. Sulla targa, una scritta:

POLAR ORBITING DENSITY SCANNER (PODS)
Capoprogetto, Chris Harper

Per aprire le porte occorreva inserire la chiave elettronica nella fessura e digitare un codice sul tastierino numerico. Gabrielle avvicinò l'orecchio al freddo metallo. Per un momento ebbe l'impressione di sentir parlare, discutere. Ma forse no. Si chiese se bussare, ma poi decise che per trattare con Chris Harper doveva ricorrere a tattiche più sottili. Si guardò intorno in cerca di un'altra entrata, ma non ne vide. Vicino alla porta, notò uno sgabuzzino poco illuminato. Gabrielle vi cercò una chiave o un passe-partout elettronico. Niente. Soltanto scope e spazzoloni.

Tornò a origliare alla porta. Questa volta udì distintamente alcune voci, sempre più forti, e poi rumore di passi. Qualcuno aprì dall'interno.

Non ebbe il tempo di nascondersi. Balzò di lato, incollandosi al muro dietro la porta spalancata mentre alcune persone uscivano di corsa, parlando animatamente. Parevano seccate.

«Ma che diavolo ha Harper? Pensavo che sarebbe stato al settimo cielo!»

«In una notte come questa vuole stare solo?» ribadì un altro. «Dovrebbe festeggiare!»

Mentre il gruppo si allontanava, la massiccia porta cominciò a richiudersi sui cardini pneumatici, lasciando Gabrielle allo scoperto. Restò immobile il più a lungo possibile mentre quelli percorrevano il corridoio e poi, quando rimaneva solo un varco di pochi centimetri, afferrò la maniglia. Aspettò che gli uomini svoltassero l'angolo, troppo presi dalla conversazione per guardarsi alle spalle.

Con il batticuore, entrò nel locale poco illuminato e richiuse la porta dietro di sé.

Si trovò in un ampio spazio aperto che le ricordò il laboratorio di fisica dell'università: computer, postazioni di lavoro, apparecchi elettronici. Quando gli occhi si abituarono alla penombra, vide sparsi ovunque grafici e fogli di calcolo. L'intera area era buia tranne un ufficio in fondo, sotto la cui porta filtrava una luce. Gabrielle vi si diresse senza fare rumore. La porta era chiusa, ma dal vetro vide un uomo seduto al computer.

Lo riconobbe: era quello della conferenza stampa della NASA. Sulla targa, una scritta:

CHRIS HARPER
CAPOPROGETTO PODS

Arrivata a quel punto, si chiese con ansia se sarebbe riuscita a portare il piano fino in fondo. Ricordò a se stessa che Sexton era sicuro che Chris Harper avesse mentito. Le aveva detto che era pronto a scommetterci la sua campagna elettorale. Altri, convinti della stessa cosa, attendevano che lei scoprisse la verità per poter attaccare la NASA e riguadagnare terreno dopo gli sconvolgenti sviluppi di quella sera. La Tench e l'amministrazione Herney l'avevano giocata, quel pomeriggio, e Gabrielle era ansiosa di rifarsi.

Alzò la mano per bussare, ma le risuonò nella mente la voce di Yolanda. "Se il direttore ha mentito al mondo intero, cosa ti fa credere che dirà la verità a te?"

"La paura" si disse, quella paura di cui per poco non era caduta vittima lei stessa, quel giorno. Il suo piano comportava l'uso di una tattica adottata a volte dal senatore per spaventare gli avversari politici e costringerli a rivelargli informazioni preziose. Gabrielle aveva assorbito molto lavorando a stretto contatto con lui, non sempre cose moralmente ineccepibili. Ma quella sera aveva bisogno di mettersi in posizione di vantaggio. Se avesse persuaso Chris Harper a confessare che aveva mentito — per qualunque ragione -, avrebbe riaperto uno spiraglio per la campagna del senatore. E Sexton era un uomo a cui bastava un margine minimo di manovra per cavarsi da qualsiasi impiccio.

Il piano per affrontare Harper era quello che Sexton definiva "sparare alto": una tecnica di interrogatorio inventata dagli antichi romani per estorcere confessioni a sospetti criminali. Un metodo semplicissimo.

Asserire un fatto che si desidera venga confessato.

Poi, accusare l'interlocutore di qualcosa di molto più grave.

L'obiettivo consiste nell'offrire all'avversario la possibilità di scegliere tra il minore dei due mali, in questo caso la verità.

Il trucco stava nell'esibire una grande sicurezza, proprio quella che Gabrielle era lungi dal provare. Fece un profondo respiro, ripassò mentalmente il copione, quindi bussò con decisione.

«Ho detto che ho da fare!» gridò Harper, con un accento familiare.

Bussò di nuovo, più forte.

«Non ho voglia di scendere!»

Bussò con il pugno.

Chris Harper spalancò la porta. «Che diavolo, ma…» Si interruppe di botto, chiaramente sorpreso.

«Dottor Harper» lo salutò lei in tono cordiale.

«Com'è arrivata fin qui?»