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«La pressione» lo investì Xavia di rimando «è in assoluto la maggiore responsabile delle trasformazioni geologiche che avvengono sul nostro pianeta. Ha presente quella che si chiama roccia metamorfica? Il corso elementare di geologia?»

Corky aggrottò le sopracciglia.

Tolland comprese che Xavia meritava di essere ascoltata. Anche se il calore svolgeva effettivamente un ruolo fondamentale nella formazione di alcune rocce metamorfiche, la maggior parte di esse era creata da pressioni estremamente elevate. Per quanto potesse apparire incredibile, le rocce sepolte sotto la crosta terrestre subivano una pressione talmente forte che si comportavano più come melassa spessa che come roccia solida, visto che diventavano elastiche e subivano tutti quei cambiamenti chimici. Ciononostante, la teoria di Pollock sembrava alquanto azzardata.

«Xavia» disse Tolland «non ho mai saputo che la pressione dell'acqua da sola possa cambiare la struttura chimica di una pietra. Sei tu la geologa: che ne dici?»

Lei scartabellò tra gli appunti. «Be', pare che la pressione dell'acqua non sia l'unico fattore.» Trovò un passaggio di Pollock e lo lesse ad alta voce. «"La crosta oceanica nella fossa delle Marianne, normalmente soggetta a un'enorme pressione idrostatica, può trovarsi ulteriormente compressa dalle forze tettoniche delle zone di subduzione della regione."»

"Ovvio" pensò Tolland. La fossa delle Marianne, oltre a essere schiacciata sotto undicimila metri d'acqua, era una zona di subduzione, la linea di compressione in cui la placca del Pacìfico e quella indiana si muovevano l'una verso l'altra e collidevano. Le pressioni combinate nella fossa potevano essere enormi e, poiché l'area era tanto remota e pericolosa da studiare, erano minime le probabilità che qualcuno fosse a conoscenza dell'eventuale presenza di condri.

Xavia continuò a leggere. «"La combinazione di pressioni idrostatiche e tettoniche potrebbe potenzialmente indurre nella crosta uno stato elastico o semiliquido, permettendo agli elementi più leggeri di fondersi in strutture simili a condri, che fino a oggi si ritenevano tipici solo delle rocce di origine spaziale."»

Corky alzò gli occhi al cielo. «Impossibile.»

Tolland lo guardò. «Hai una spiegazione alternativa per i condri della roccia di Pollock?»

«Certo. Pollock ha trovato un vero meteorite. Accade continuamente che i meteoriti cadano in mare. Probabilmente non gli è venuto in mente perché mancava la crosta di fusione, erosa dalla lunga permanenza sott'acqua, per cui l'aspetto era quello di una normale pietra.» Corky si rivolse a Xavia. «Immagino che Pollock non abbia avuto il buonsenso di misurare il contenuto di nichel, vero?»

«Per la verità l'ha fatto» replicò lei seccamente, tornando a sfogliare gli appunti. «Pollock scrive: "Mi ha sorpreso constatare che il contenuto di nichel del campione rientrava in un intervallo di valori medi che di solito non si riscontra nelle rocce terrestri".» Tolland e Rachel si scambiarono un'occhiata stupita. Xavia continuò a leggere. «"Malgrado la quantità di nichel non rientri nella finestra di valori normalmente accettata per le rocce di origine meteoritica, vi è sorprendentemente vicina."»

Rachel sembrava turbata. «Quanto vicina? È possibile scambiare per un meteorite questa roccia oceanica?»

Xavia scosse la testa. «Non sono una specialista della chimica delle rocce, ma da quel che capisco ci sono numerose differenze di natura chimica tra la pietra trovata da Pollock e i meteoriti.»

«In che cosa consistono queste differenze?» chiese Tolland. Xavia rivolse l'attenzione a un diagramma. «Secondo questo grafico, una differenza è costituita dalla struttura chimica dei condri. Pare che i rapporti zirconio/titanio siano diversi: quello dei condri del campione oceanico ha mostrato zirconio ultraimpoverito.» Alzò lo sguardo. «Solo due parti per milione.»

«Due?» sbottò Corky. «I meteoriti ne hanno migliaia di volte tanto!»

«Esatto. Proprio per questo Pollock ha concluso che i condri del campione non potevano essere di origine spaziale.»

Tolland si chinò a sussurrare a Corky: «Per caso la NASA ha misurato il rapporto zirconio/titanio nella pietra di Milne?».

«Certo che no. Nessuno se l'è sognato. Sarebbe come guardare una macchina e misurare il contenuto di gomma negli pneumatici per confermare che si sta guardando una macchina!»

Tolland, con un sospiro, tornò a rivolgersi a Xavia. «Se ti diamo un campione di roccia contenente dei condri, puoi esaminarlo per determinare se queste inclusioni sono condri di meteorite o… un effetto della compressione subita negli abissi oceanici, secondo la teoria di Pollock?»

Xavia si strinse nelle spalle. «Penso di sì. Il microscopio elettronico dovrebbe essere abbastanza preciso. Ma cos'è tutta questa storia, comunque?»

Tolland si rivolse a Corky. «Daglielo.»

Con una certa riluttanza, Corky estrasse dalla tasca il campione di meteorite e lo porse a Xavia.

Lei osservò con aria grave la crosta di fusione e poi il fossile incastonato. «Dio mio!» Alzò la testa di scatto. «Ma non sarà per caso…»

«Sì» fece Tolland. «Purtroppo lo è.»

106

Sola davanti alla finestra del suo ufficio, Gabrielle Ashe si chiedeva che fare. Meno di un'ora prima era uscita dalla NASA entusiasta all'idea di rivelare al senatore la menzogna di Chris Harper sul PODS.

Ma non era più tanto sicura che fosse la mossa giusta.

Secondo Yolanda, due giornalisti indipendenti dell'ABC sospettavano che Sexton ricevesse soldi sottobanco dalla SFF; inoltre, Gabrielle aveva appena appreso che il senatore sapeva che lei era stata a casa sua durante l'incontro con la SEF, eppure non gliene aveva parlato.

Sospirò. Il taxi se ne'era andato da un pezzo e presto ne avrebbe chiamato un altro, ma prima doveva fare una cosa.

"Sono proprio decisa?"

Aggrottò la fronte, consapevole di non avere scelta. Non sapeva più di chi fidarsi.

Uscì dall'ufficio, tornò verso la segreteria e attraversò l'ampio salone sul lato opposto. In fondo vedeva le massicce porte di quercia dell'ufficio di Sexton, fiancheggiate da due bandiere: a destra la "Old Glory" a stelle e strisce, a sinistra quella del Delaware. Come in quasi tutti gli uffici del palazzo del Senato, le porte erano blindate e chiuse da chiavi normali e chiavi elettroniche e, inoltre, protette da un sistema di allarme.

Se fosse riuscita a entrare, anche per pochi minuti, avrebbe trovato tutte le risposte che cercava. Si avvicinò alle porte massicce senza illudersi di varcarle. Aveva altri progetti.

A tre metri dall'ufficio di Sexton, svoltò a destra per entrare nella toilette delle signore. I neon si accesero automaticamente, illuminando con un freddo riflesso le piastrelle bianche. Mentre gli occhi si adattavano, Gabrielle si fermò a guardarsi allo specchio. Come al solito, i suoi tratti le conferivano un aspetto più morbido di quanto sperasse, quasi delicato. Si sentiva sempre più forte di quanto non appariva.

"Sei sicura di volerlo fare?"

Sapeva che Sexton l'aspettava con ansia per essere esaurientemente aggiornato sulla situazione del PODS. Purtroppo, comprendeva anche che lui l'aveva abilmente strumentalizzata quella sera, e lei detestava sentirsi manovrare. Le aveva nascosto alcune cose, ma il problema era sapere quanto le avesse taciuto. Le risposte si trovavano nell'ufficio del senatore, appena oltre la parete del bagno.

«Cinque minuti» disse ad alta voce, per rinsaldare la propria determinazione.

Si diresse allo sgabuzzino delle scorte, alzò libraccio e passò la mano sulla cornice della porta. Una chiave cadde rumorosamente a terra. Il personale delle pulizie del palazzo Philip A. Hart era costituito da dipendenti statali che parevano evaporare ogni volta che c'era uno sciopero di qualunque genere, lasciando quel bagno senza carta igienica e assorbenti a volte per intere settimane. Le donne dell'ufficio di Sexton, stufe di accorgersene quando avevano già le mutande abbassate, avevano preso l'iniziativa di procurarsi la chiave per le "emergenze".