Eriksson estrasse una busta dalla tasca interna della giacca e la depose sul tavolino, spingendola verso Isaac Newton. A questi fu sufficiente un’occhiata per vedere che si trattava dei fogli sui quali aveva scritto le istruzioni necessarie per decifrare il codice di comunicazione con la cometa di Halley. Astenendosi dal dire che Eriksson poteva aver fotocopiato i fogli, Isaac Newton chiese: «Allora, lei passa alla terza superpotenza?»
«Sembra di sì», convenne Eriksson, spingendo lontano il bicchiere ancora pieno di grappa quando si udì bussare di nuovo alla porta.
«Quella dannata ragazza si crede una riformatrice evangelica», spiegò ad Isaac Newton.
Ma la ragazza che irruppe nella stanza era Frances Margaret che si precipitò verso Isaac Newton e lo abbracciò. Eriksson contemplava sbalordito la scena. Quando Isaac Newton finalmente si voltò per presentare Frances Margaret, Eriksson scosse la testa.
«Sembra quasi incredibile. Potrei portarla in alcuni villaggi per mostrarle venti ragazze esattamente identiche a questa. Tanto identiche che a dieci metri di distanza non saprebbe distinguerle. Che cosa significa questo, mi domando. Significa che un migliaio di anni fa una barca piena di giovani si è staccata dalle coste della Svezia per non ritornare mai più, ma per restare pur sempre la stessa gente. E’ infinitamente triste», disse a Frances Margaret, «che lei debba ritornare dopo un migliaio di anni senza riconoscere casa sua.»
Scuotendo la testa per commentare la supposta tragedia, Eriksson uscì lentamente dalla stanza.
«E’ sbronzo?» chiese Frances Margaret notando la bottiglia di grappa.
«Sì, ma delle proprie idee, non di alcool. E’ un grand’uomo, in potenza.»
«In potenza?»
«Se riuscisse a trovare una causa per cui battersi. Può darsi che l’abbia trovata», disse Isaac Newton prendendo la busta e facendola scivolare in tasca.
60
«Salute!» esclamò il rettore, quando una formidabile scarica di pioggia investì le finestre della grande stanza al primo piano nell’alloggio riservatogli al Trinity College. Quello era l’inizio di un rovescio primaverile destinato a depositare uno strato di cinque centimetri d’acqua sulla Great Square.
«Per fortuna, il nuovo trimestre non è ancora cominciato, altrimenti questo diluvio si sarebbe portato via la metà dei nostri studenti», disse il rettore rivolto al Cancelliere dello Scacchiere.
Stava per iniziare una riunione del Comitato Halley, e sul lungo tavolo normalmente usato per le cene private c’erano ora carte e matite in luogo della moltitudine di bicchieri di vino sparpagliati tra la brillante argenteria tanto amata dal rettore. Il Comitato aveva preso l’abitudine di sedere al tavolo secondo un ordine particolare: il Primo Ministro a un’estremità, il rettore all’altra, con Isaac Newton alla destra del Primo Ministro e Sir Harry Julian, il funzionario della Tesoreria, alla sinistra, con il Cancelliere alla destra del rettore e Kurt Waldheim alla sinistra. Frances Haroldsen, che prendeva nota di tutto e che provvedeva da sola a battere a macchina e a fotocopiare i documenti, evitando in tal modo ogni possibilità di fuga di notizie, aveva un suo tavolo più piccolo, collocato alle spalle del rettore un po’ sulla sinistra. Per la prima volta dalla costituzione del Comitato, Isaac Newton non assistette all’inizio della riunione.
L’orologio sulla torre di Edoardo Terzo stava battendo le dieci quando il Primo Ministro annunciò: «Ho ritenuto opportuno chiedere al professor Newton di non partecipare oggi alla seduta mattutina. Altrimenti sarebbe stato difficile discutere vari documenti che abbiamo davanti a noi senza provare un senso di imbarazzo. Mi riferisco naturalmente alla relazione del professor Newton sulle sue esperienze recenti, alla comunicazione del governo svedese e a quanto riferisce il colonnello Eriksson dell’Esercito svedese. A meno che non si scosti molto dalla verità, il che non penso, la situazione esorbita notevolmente dalla mia esperienza».
«Direi che esorbita dall’esperienza di tutti noi, Primo Ministro», soggiunse il rettore.
«A eccezione, forse, del dottor Waldheim. Potrebbe dare l’avvio alla discussione, dottor Waldheim, dicendoci ciò che pensa? Esaminiamo anzitutto ciò che riferisce il colonnello Eriksson, sulle condizioni in cui si trovava l’aereo quando atterrò all’aeroporto di Stoccolma. Com’è stato possibile che otto individui siano stati ridotti a tanti cilindri di carbone? Il colonnello Eriksson ne indica le dimensioni con macabra precisione e ci fornisce uno schizzo con le posizioni nelle quali vennero trovati nonché quella del professor Newton quando fu ritrovato a sua volta privo di sensi. Com’è stato possibile tutto questo?»
Kurt Waldheim ravviò con la mano il ciuffo di capelli ribelle, scosse la testa in segno di rammarico e disse: «Lei non si riferisce agli scopi cui miravano queste persone?»
«No, no, mi riferisco a ciò che è successo.»
«E al perché è successo», soggiunse il rettore, vivamente interessato.
«Dev’essere stata una specie di scarica, per me è naturale presumere che si sia trattato di una scarica elettrica che ha disidratato i corpi», suggerì Kurt Waldheim, molto sicuro del fatto suo. «Per fortuna Isaac non è qui, altrimenti non avrei osato esprimere quest’opinione: lo avrebbe fatto ridere a crepapelle, penso.»
«Devo confessare che l’idea della disidratazione non mi era proprio venuta in mente», intervenne il Primo Ministro, guardando in direzione di Sir Harry Julian sprofondato in una poltrona più grande delle altre che il rettore aveva gentilmente procurato. Sir Harry Julian a tratti dormicchiava e a tratti posava lo sguardo sul tavolo con il pince-nez ben assestato sul naso.
«Le persone fortemente disidratate sembrano invecchiate d’un sol colpo. Ricordo di aver visto la fotografia di uno scalatore, sopravvissuto per parecchi giorni senza una goccia di acqua a una quota molto elevata sull’Himalaia», disse Kurt Waldheim con il suo solito modo pacato. «Aveva meno di trent’anni, ma quando arrivò all’accampamento, disidratato com’era, sembrava che ne avesse ottanta. Le foto lo dimostrano. Ora», continuò Kurt Waldheim, alzando la mano destra, «generalmente l’acqua sottratta a un corpo per effetto della disidratazione è solo acqua d’impregnamento. Ma c’è anche l’acqua di costituzione, e se è quella a venire sottratta si altera la struttura molecolare dei tessuti, cosicché la persona rimane come carbonizzata. Del resto è proprio questo il processo che presiede alla formazione del carbone.»
«E’ quello che succede se si accosta al fuoco un foglio di giornale? Voglio dire se la carta si scalda troppo?» chiese il Cancelliere.
«Precisamente», annuì Kurt Waldheim. «L’ho fatto molte volte. Se la carta viene a contatto con la fiamma, brucia, naturalmente, ma se viene soltanto avvicinata, si carbonizza perché l’acqua combinata con la carta se ne va.»
«Anch’io l’ho fatto molte volte», annuì il rettore, «e il processo di carbonizzazione comincia sempre con una macchia bruna che si estende. Ma perché crede che nell’aereo sia accaduto proprio questo?»
«Gli oggetti metallici non contengono acqua, e il colonnello svedese dice che gli oggetti presenti nell’aereo non sono stati toccati. In un velivolo, moltissimi oggetti sono metallici. Così sembrava logica pensare che tutta la faccenda avesse a che fare con l’acqua.»
«Così, qualcosa ha agito come un fuoco che carbonizzava, ma non bruciava», annuì il Primo Ministro. «Ma come potrebbe essere possibile un fenomeno di questo genere?»
«Non posso sapere tutto», ribatté Kurt Waldheim, con il suo lento sorriso.
«Che sia stato un fulmine?»
«Forse, ma l’energia elettrica di un colpo di fulmine avrebbe dovuto fondere gli oggetti metallici. Secondo diversi pareri, il fulmine può causare stranissimi fenomeni, ma nessuno di essi ha retto alle prove in laboratorio. Isaac ne sa probabilmente più di me in proposito. Il più grosso mistero per me è capire come mai il fulmine abbia colpito con tanta precisione solo ciò che voleva colpire. Perché ha evitato Isaac e colpito gli altri?»