«C’è la scia di un missile proveniente dall’Antartide», disse al Presidente e al generale a cinque stelle che stavano accanto a lei, intenti a studiare il mappamondo.
«L’ho sempre detto che quegli scienziati sovietici laggiù nell’Antartide erano un branco di bastardi che non la contavano giusta», rispose il generale.
D’accordo: c’era un grosso fascio di scie provenienti dal Canada settentrionale che avevano l’aria di provenire in realtà dalla Siberia. Ma ve n’erano altre che sembravano strane agli occhi del Segretario per il Commercio. La signora seguiva ora con molta attenzione l’andamento delle scie colorate in rosso.
«Guardate», disse, «ce n’è una che viene dal Sahara.»
«Sono quei bastardi di libici nel Ciad.»
«E un’altra dall’Africa occidentale.»
«I cubani», tuonò il generale. «Dio mio, come siamo stati fregati», soggiunse, disgustato.
«E un’altra dall’Oceano Indiano.»
«Sottomarini!» dichiarò immediatamente il generale. «Questa è una cospirazione estesa in tutto il mondo. Mi piacerebbe sapere perché non siamo stati messi in guardia!» disse, rivolto al direttore della CIA, in tono bellicoso.
Fu a questo punto che il Presidente telefonò al Primo Ministro britannico per informarlo che i missili Cruise stavano per essere lanciati da basi britanniche. Poi, dopo un intervallo di quaranta secondi, telefonò al Cancelliere tedesco per informarlo che i Pershing 2 stavano per essere lanciati dalle basi tedesche. In seguito, il Presidente fu in grado di vantarsi che nonostante la situazione estremamente tesa, nella quale contava ogni singolo secondo, aveva speso quasi un minuto e mezzo per mettere i suoi alleati al corrente della piega disperata presa dagli eventi.
«Ce n’è una che viene dritta dall’Himalaia», squittì il Segretario per il Commercio.
«Adesso sappiamo perché i sovietici hanno invaso l’Afghanistan, maledizione!» tuonò in risposta il generale a cinque stelle.
«E un’altra dall’Australia», squittì di nuovo la signora.
«Non viene dall’Australia, ma da un sottomarino in acque australiane», precisò uno degli ufficiali, affinché il generale a cinque stelle non fosse costretto a rispondere.
«Risposta esatta», annuì il generale.
«Non sarebbe stato più ragionevole, da parte dei sovietici, avere dei sottomarini nelle acque della California?» insistette il Segretario per il Commercio, che non voleva darsi per vinta.
«Sarebbe molto più ragionevole se lei se ne stesse zitta, signorina», disse un altro ufficiale con voce tagliente.
«Risposta «maledettamente» esatta», convenne il generale.
Tutti gli occhi si appuntarono improvvisamente su un’altra grande carta geografica sulla quale si erano appena accese delle luci. Su questa mappa si vedevano gli Stati Uniti invasi da una moltitudine di larghe scie rosse. Era lo stesso spettacolo di prima, solo su scala molto maggiore, al punto che la corsa delle scie verso le città americane poteva essere seguita da un secondo all’altro. La scia diretta a Washington precedeva le altre.
«Dio mio. Ci sta venendo addosso», osservò il Presidente mentre la distanza tra la testa della scia e la capitale americana diminuiva rapidamente fino a scendere a zero.
Tutti i presenti nel bunker si rannicchiarono involontariamente quando la scia raggiunse Washington. Il Segretario per il Commercio in un primo tempo rimase sorpresa di non aver sentito alcuna esplosione, ma poi si rese conto che nessuna esplosione di missile poteva essere udita alla profondità in cui si trovavano. Il rifugio era stato naturalmente progettato in vista di un simile evento. Eppure sembrava un po’ strano che nel bunker non si notasse alcuna ripercussione dell’esplosione.
«La luce funziona ancora», disse al direttore della CIA.
«Abbiamo i generatori autonomi. Altrimenti, che senso avrebbe tutto questo?» egli rispose.
«Qual è il senso di tutto questo?»
«Il senso di tutto questo», disse il generale a cinque stelle, che stava accanto al direttore della CIA, a voce talmente alta che rimbombò in tutto il bunker, «sta nel fatto che ora dobbiamo cominciare a progettare la quarta guerra mondiale, una volta che saremo riusciti a far funzionare i nostri silos con i missili. Per fortuna sono perfettamente corazzati», soggiunse il generale, rivolto al Presidente.
«Sì, beh, come vanno le cose, generale?» chiese il capo di stato guardando ora una ora l’altra carta geografica.
«New York se ne sta andando», qualcuno cantilenò come se volesse rispondere al Presidente. E in effetti, una delle varie scie inesorabilmente dirette verso New York raggiunse la metropoli proprio in quell’istante.
Una dozzina di punti dalla luce ambrata, quasi tutti dislocati negli Stati montagnosi in prossimità delle Montagne Rocciose, stavano ora ammiccando sulla mappa degli Stati Uniti.
«Silos pronti a entrare in azione», spiegò il generale.
«Pensavo che ne avessimo molti di più», osservò il Presidente perplesso.
«Gli altri hanno dei problemi, signor Presidente», spiegò un ufficiale.
«Spero che non ci siano problemi con i Pershing e i Cruise», disse in tono interrogativo il Presidente, in preda all’ansia.
«Alcuni sono già pronti a entrare in azione, signor Presidente», lo informò un altro ufficiale alla console.
«Los Angeles se ne va», risuonò una voce.
«E’ la fine del museo Getty, temo», si disse il Segretario di Stato, sternutendo violentemente senza prendersi la briga di portare al naso il fazzoletto, che del resto era ormai bagnato fradicio.
«Ce n’è una diretta a Boston che viene dritta dal centro della cappa di ghiaccio della Groenlandia», osservò il Segretario per il Commercio con voce tremante.
«Fate uscire questa donna», ordinò il generale. La sua pazienza era esaurita. Tanto, rifletté con soddisfazione, mentre due piantoni trascinavano via il Segretario per il Commercio, non ci sarebbe stato più commercio per molto tempo.
La signora venne spinta fuori da quella zona del bunker, attraverso corridoi e triple porte, a un passo tale che solo la vista familiare di un ascensore riuscì a farla ragionare di nuovo e a ridarle la voce per chiedere: «Che cos’è questo?»
«Un ascensore, signorina», fu la risposta poco informativa.
«E dove porta?»
«In superficie, signorina.»
«Perché, allora, la gente non scende?»
«Ha tre livelli, signorina», disse l’altro piantone.
«E in superficie non ci sarà corrente», soggiunse il primo piantone.
«Anche se è così, lo prendo», disse il Segretario per il Commercio, allargando la bocca per mettere in mostra le fossette e soggiungendo: «Volete un passaggio, ragazzi?»
«Ma non ha capito, signorina? La città, lassù, è in condizioni orribili», disse uno dei giovanotti.
«E’ distrutta completamente», disse l’altro.
«Come pensate allora di sopravvivere quaggiù?»
«Abbiamo cibo e benzina per mesi. Sopravvivremo finché non sarà organizzata la Quarta Armata.»
«Vedo», annuì il Segretario per il Commercio, «ma non credo che sarò della partita.»
Quando si avvicinò all’ascensore, i due piantoni tentarono di trattenerla, ma la donna estrasse i documenti che la qualificavano come membro del governo, il che non lasciò ai due giovanotti altra scelta se non quella di scostarsi e lasciare che si gettasse nella folle avventura.
«Tornerà presto», disse uno dei piantoni all’altro mentre la porta dell’ascensore si chiudeva alle spalle della donna.
«Niente male», fece il secondo piantone. «Peccato che resterà contaminata.»
L’ascensore continuò a salire a lungo prima di fermarsi. La porta si aprì e il Segretario per il Commercio uscì per ritrovarsi in una zona spaziosa, uno dei livelli menzionati dal piantone. La porta si richiuse e la spia luminosa indicò che la cabina stava di nuovo scendendo. Colta dalla paura di essersi messa nei guai da sola, il Segretario per il Commercio schiacciò il pulsante di un secondo ascensore che portava evidentemente verso la superficie. Dopo alcuni momenti di apprensione e dopo aver ripetutamente schiacciato il pulsante, udì un debole rumore dall’interno del pozzo dell’ascensore. Il Segretario per il Commercio ne dedusse, ringraziando la buona sorte, che i cavi funzionavano nella seconda tappa del suo viaggio.