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I servizi segreti avevano fatto bene il loro lavoro. Le dimensioni del programma britannico proposto per la costruzione dei telescopi nonché le quantità di stazioni spaziali e mezzi sussidiari di ogni genere che i francesi e i tedeschi volevano aggiungere, in base alle decisioni prese durante le ultime discussioni, erano note ai partecipanti alla riunione che ebbe luogo verso la fine di agosto nell’ufficio del Presidente.

«E’ impossibile che un programma di quell’ordine di grandezza possa essere finanziato dall’Europa sola», disse il Segretario per il Tesoro, un uomo robusto di media altezza e di mezza età, vestito con un abito di lino e con una pipa dal bocchino sottile tra i denti.

«I nostri soldi non li avranno mai, a meno che non si tratti di un attacco contro questo mostro di cometa», dichiarò il generale a cinque stelle, picchiando con una certa intima riluttanza il sigaro sul portacenere, in maniera da far cadere la cenere. Il generale aveva la sensazione di trascorrere negli ultimi tempi troppe ore in riunioni nella Stanza Ovale, ma la sua presenza — per impedire che si spendessero soldi per progetti balordi come questo — era considerata indispensabile dai colleghi del Pentagono.

«Gli europei considerano il loro programma come una valanga che prende slancio mentre si muove», disse il Segretario per il Commercio.

«Comunque ridarebbe sicuramente vigore alla loro economia», convenne il capo dei consiglieri economici.

«Sarebbe meglio fare la festa a quel mostro di cometa, fare la festa a tutti i mostri di comete», brontolò il generale, allargando il torace e provocando così la fuoruscita di un’ampia cortina fumogena.

«Ciò che non vogliamo», continuò il capo dei consiglieri economici, una ben nota figura simile a uno gnomo, dall’età indefinibile, «è che gli europei si mettano a girare per le strade di Washington con una ciotola per le elemosine.»

«Sì, beh, hanno convocato un incontro al vertice fra tre settimane», osservò il Presidente.

«Sì, i francesi hanno offerto il castello di Versailles per l’incontro», disse il Segretario di Stato, contento di sedere stavolta all’altro capo del tavolo, lontano dal generale fumogeno.

«Mi pare di vedermi come cortigiana nel castello del Re Sole», osservò il Segretario per il Commercio con un ampio sorriso, com’era abituata a fare per mettere in mostra le fossette. «Accetteremo la proposta dei francesi, signor Presidente?»

«Fra tre settimane saremo in settembre. Dopo altri due mesi arriva novembre, e in novembre dovremo vedercela con una faccenda di non poca importanza, le elezioni», rispose il Presidente.

«Con tanto di tattiche computerizzate dell’opposizione da studiare, con tante prove alla televisione, con tanti impegni, e chi più ne ha più ne metta», osservò un assistente.

«Poi bisognerà rispondere ai critici, specialmente al «New York Times»», soggiunse un altro assistente.

«Più che giusto», convenne il Presidente. «Prenda nota. Dobbiamo combinare qualche scherzo di cattivo genere a quel giornale.»

«Il che porta alla conclusione che non possiamo restare lontani da qui per partecipare a un vertice in qualche buco dell’Europa», tentò di decidere l’assistente che aveva parlato per primo.

«Il problema, signor Presidente, consiste nel fatto che anche i sovietici sono stati invitati. Se quelli ci vanno, possiamo permetterci il lusso di non andarci noi?» obiettò il Segretario di Stato.

«Ma ci andranno veramente?» chiese il secondo assistente.

«Ci andranno. Specialmente se non ci andiamo noi», rispose il Segretario di Stato in tono deciso.

«Ci andranno», convenne il direttore della CIA.

«Una situazione che potrebbe sfuggirci di mano», ammise il Presidente.

«Se la situazione minaccia di sfuggire di mano, signor Presidente, la cosa migliore è di tenerle dietro», propose il capo dell’ufficio stampa.

«Che cosa intende dire?»

«Voglio dire che una situazione del genere può presentare aspetti che ci possono fare comodo.»

«In quale misura è in grado di gonfiarla?»

«Possiamo gonfiarla molto, su questo non c’è dubbio. Gli incontri al vertice vanno sempre bene per due o tre giorni di tempo della stampa, che succeda qualcosa o no. Inoltre abbiamo sempre a disposizione i sovietici e la cometa per combinare una montatura gigante.»

«Un grosso panico come l’ultima volta», annuì il Segretario per il Commercio, ripetendo il sorriso disarmante e soggiungendo: «Ventiquattr’ore nel bunker. O sono state trentasei, generale?»

«A mio avviso dobbiamo prendere proprio misure come si deve contro quel mostro di cometa», ripeté il generale, cocciuto.

«Se ci vanno i sovietici, noi non ne possiamo fare a meno», osservò il Segretario di Stato in tono deciso, bevendo un sorso di acqua disinfettata.

«Sono d’accordo», disse subito il Segretario per il Commercio, alzando la destra come se stesse votando.

«D’accordo, non possiamo farne a meno», annuì il direttore della CIA.

«Forse potremmo preparare i discorsi durante il viaggio. Forse potremmo trasferire i computer e tutti i nastri sull’aereo presidenziale», suggerì il primo assistente.

«E’ preferibile dal punto di vista della sicurezza, signor Presidente», soggiunse immediatamente il secondo assistente, cercando di non essere da meno. «Voglio dire, l’aereo presidenziale non è Watergate.»

«Ecco una buona idea. Possiamo trasformare l’aereo presidenziale in uno studio televisivo. Perché nessuno ci ha mai pensato?» convenne il Presidente.

«Ma non andate a spendermi «soldi»», gemette il Segretario per il Tesoro. «E’ quello che vogliono gli europei. Soldi, non baci.»

«Questo è proprio vero, maledizione», annuì il generale.

«Quanto sono scemi», riuscì a osservare il Segretario per il Commercio.

«Pensavo che ci fosse rimasto ancora un grosso deficit», intervenne il Presidente.

«Se non fosse stato per i capitali internazionali arrivati in tempo, saremmo in fallimento, signor Presidente, in fallimento per quanto riguarda certe voci molto importanti.» Il Segretario per il Tesoro mordicchiò il bocchino della pipa, lanciando occhiate risentite al generale a cinque stelle.

«Come dice il Presidente, c’è ancora tutto il deficit che vogliamo», ribatté il generale, appoggiandosi sullo schienale della poltrona e facendo salire verso il soffitto il più grande anello di fumo che mai avesse prodotto. L’anello di fumo rimase sospeso sopra il tavolo come un uccello predatore.

Il Segretario per il Tesoro strinse i denti a tal punto da schiacciare il sottile bocchino della pipa che si spezzò con un «crac».

«Ecco», disse, «s’è rotto!»

A questo punto, i cicalini si misero a ronzare in tutta la Casa Bianca, dando ai presenti la sensazione di un «déjà-vu». Il generale, comunque, gridò automaticamente: «E’ un allarme rosso, al bunker!»

«Questo sarà il quarto attacco sovietico lanciato in altrettanti mesi, per rivelarsi poi una finta», osservò il Segretario per il Commercio con voce tranquilla. «Le suggerisco, signor Presidente, di telefonare a Mosca con la Linea Rossa.»