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Un po’ più tardi, Isaac Newton ritornò con due pacchi. Dopo averli spinti sul sedile posteriore della macchina si raddrizzò sul sedile del guidatore e spiegò: «Sacchi a pelo e un thermos. Se la notte è bella ci potrebbe venire la voglia di uscire all’aperto e trovare un posto da dove osservare il cielo. Potremmo cercare il punto adatto durante il ritorno alla locanda».

«Ma che cosa fanno tutti quanti?» chiese Frances Margaret.

«Là regna un caos feroce. Noi siamo rimasti fuori.»

«Caos? Pensavo che il Presidente francese avesse detto che avrebbero preso tutte le misure per facilitare l’esodo.»

«Che avrebbero preso tutte le misure se fossero «stati in grado» di prenderle, il che è un po’ diverso.»

«Sei riuscito a scoprire come stanno veramente le cose?»

«I francesi stanno tentando di persuadere i capi di governo a riunirsi in qualche castello nei pressi di Fontainebleau, non lontano dalla zona da noi visitata ieri. Ma la gente ha chiesto più che altro di precipitarsi a casa. Gli americani riusciranno probabilmente a spuntarla a bordo dell’aereo presidenziale, ma i russi non ce la faranno, per cui farebbero meglio a fermarsi dove si trovano. I francesi dicono che faranno intervenire gli elicotteri militari per traghettare la gente sulle distanze più brevi. Il Primo Ministro voleva che andassimo anche noi, ma sembrava una cosa piuttosto futile perché non potevamo fare nulla. Secondo me saremmo stati costretti a girare di qua e di là con le mani in mano.»

«Ma mancano ancora dodici ore perché quella roba piombi sulla Terra. Sono tante, dodici ore.»

«Non quando gli aeroporti sono congestionati, quando i mezzi di trasporto sono paralizzati. E non voglio pensare a un eventuale panico mentre la notizia si diffonde.»

«A cosa stai pensando, allora?»

«Sto pensando agli impulsi irresistibili di un enorme numero di persone.»

«Impulsi a fare che cosa?»

«A muoversi, semplicemente a muoversi. Sarà una specie di vigilia di Natale moltiplicata per cento. Vuoi sapere una cosa? Quando il Presidente francese ha letto il suo comunicato, ho pensato immediatamente di ritornare di corsa nel Devon, a casa mia, qualcosa che da anni non ho più fatto cedendo a un impulso. Poi ho pensato di precipitarmi a Cambridge. Ho pensato anche a Kurt e Rosie Waldheim, al loro châlet a Wengen e che quello sarebbe stato il posto ideale per trascorrere le prossime dodici ore. Potevamo dormire all’aperto, sul balcone, ho pensato, guardando verso le montagne e verso il cielo — l’oggetto sarà molto luminoso quando arriverà. Poi mi sono reso conto che non ce l’avremmo fatta a raggiungere Wengen. Saremmo finiti nel bel mezzo di un’enorme folla sbandata in qualche schifoso aeroporto. Così sono giunto alla conclusione che la cosa più semplice e migliore per noi era quella di fermarci dove ci troviamo.»

«Beh, grazie per aver preso la decisione anche per me. Come facevi a sapere che non volevo tornare a casa?» chiese Frances Margaret.

«Per essere sincero, consideravo scontato il tuo desiderio di non tornare a casa. Ne hai sempre parlato come se casa tua fosse «off-limits». A proposito: dove si trova casa tua?»

«A nord della baia di Morecambe dove le valli come il Duddon si arrampicano verso le alture in fondo. Ci sono rocce calcaree vicine alla costa, con della buona erba per il bestiame, e un fantastico paesaggio siluriano prima di arrivare alla montagna. La mia gente è arrivata da quelle parti un migliaio di anni fa — esattamente come ha detto Eriksson, il pazzo svedese — navigando intorno alla costa della Scozia a bordo di imbarcazioni simili alle navi vichinghe. Dopo un viaggio pieno di incredibili avventure, devono aver pensato di aver scoperto il paradiso. La mia famiglia, per lo meno, è rimasta rintanata nella sua piccola valle per un migliaio di anni. Il patrimonio toccava al figlio maggiore, e i figli più giovani finivano nell’Esercito o nella Marina. O a fare i pirati, immagino, nei bei tempi di una volta.»

«Allora, tu discendi da una linea di primogeniti? Fino a questa generazione, l’ultima?»

«Precisamente. Venti o trenta generazioni, tutte scomparse. Ombre che si allontanano a passo cadenzato nel passato.»

«Perché non me l’hai mai detto?»

«Oh, per una famiglia come la nostra è un motivo d’imbarazzo. Avere un figlio, o, peggio ancora, una figlia, che risolve equazioni di secondo grado è un po’ come se il figlio fosse nato con un occhio solo o dodici dita ai piedi. Così, te ne vai nel mondo e ti unisci ad altra gente con dodici dita ai piedi.»

«Trovo che le mie dodici dita sono molto utili. Sei riuscita a dare un’occhiata a quei dati?» chiese Isaac Newton.

«Non sono incoraggianti, ti pare? La sola velocità dell’oggetto è tanto elevata. Come quello che ha colpito il fiume Tunguska nel 1908.»

«Il meteorite siberiano?» chiese Isaac Newton svoltando con la macchina in una strada più stretta che portava alla cittadina di Dampierre dov’erano alloggiati.

«Sì, e benché il meteorite del Tunguska fosse molto più piccolo di questo, distrusse pur sempre gli alberi nel raggio di un centinaio di chilometri. L’onda d’urto dell’esplosione sarà assolutamente terribile.»

«Ho provato a riflettere su questa faccenda dal punto di vista fisico a cominciare dalla velocità, cinquantuno chilometri al secondo, gli astronomi affermano di averla misurata», cominciò Isaac Newton. «E’ una velocità che supera di gran lunga la velocità del suono in qualsiasi solido o liquido. Il che deve dare luogo inevitabilmente a un fenomeno di gassificazione su scala enorme. L’oggetto si trasformerà in un’immensa bolla di gas rovente che esploderà in tutte le direzioni.»

«Facendo scomparire, sollevandola, l’atmosfera», convenne Frances Margaret in tono cupo. «Al di sopra della zona d’impatto, voglio dire. Poi l’aria tutt’intorno tenterà di precipitarsi sul posto per riempire il vuoto. Il che darà il via al più terribile ciclone registrato in un milione d’anni.»

«Quali dimensioni avrà la zona devastata dall’onda d’urto?» chiese Isaac Newton.

«Per essere sincera, non ho pensato praticamente ad altro dopo l’annuncio fatto in teatro», rispose Frances Margaret sempre in tono cupo.

«E a quali conclusioni sei arrivata?»

«Beh, se dirai che avremo delle macchie nere grosse come quelle sulla Luna, non sarai lontano dalla verità.»

«Del diametro di un migliaio di chilometri?»

«Sì, circa un migliaio di chilometri.»

«Di che percentuale potrà trattarsi rispetto all’intera superficie della Terra, secondo te?»

«Dell’uno percento, o giù di lì. Non saranno, per fortuna, macchie veramente catastrofiche. C’è solo un fatto che dà da pensare: secondo i dati dell’osservatorio l’oggetto atterrerà presumibilmente sull’emisfero settentrionale, dove vive la maggioranza della popolazione mondiale.»

«Metti che la popolazione sia sparpagliata un po’ a casaccio sull’emisfero settentrionale. Questo significa che almeno ottanta milioni di persone moriranno. E’ come una guerra mondiale; peggio delle due che abbiamo avuto.»

«E tutto in una sola notte», annuì Frances Margaret come un automa. «A parte il fatto», continuò, «che le nostre probabilità di sopravvivere sono due volte inferiori alla media.»

«Perché?» chiese ancora una volta Isaac Newton.

«Perché l’oggetto si muove nella direzione del Sole, il che significa che deve colpire necessariamente la Terra sul lato immerso nel buio. E poiché noi ci troveremo sulla superficie notturna quando arriverà l’oggetto, tra le due e le quattro del mattino, le nostre possibilità di sopravvivenza risultano due volte ridotte rispetto alla media.»

Lasciarono la strada maestra varie volte nei pressi di Dampierre, esplorando piste laterali finché non raggiunsero un tratto di terreno scoperto, ricoperto d’erba, che permetteva di osservare il cielo in tutte le direzioni. Poi continuarono, raggiungendo la locanda verso le quattro. La locanda era situata accanto a un torrente che in passato aveva azionato un mulino. Il proprietario della locanda era in piedi dietro il banco quando Isaac Newton chiese la chiave. Consegnando la chiave, l’uomo disse: