A Kurt Waldheim venne in mente il suo matrimonio, avvenuto in tempi non tanto lontani. La chiesa di Outerthwaite non aveva mai cambiato aspetto nei lunghi anni della sua esistenza. Generazioni su generazioni di gente del posto erano state battezzate qui, si erano sposate ed erano morte, accompagnate da cerimonie di ogni specie, diverse le une dalle altre. Una generazione dopo l’altra risaliva nel tempo ai giorni in cui la sua gente era emigrata dalla pianura germanica e dai suoi confini settentrionali. Tenendo conto della maniera in cui i media prendevano in considerazione il passare del tempo — fino all’ultimo minuto e ultimo secondo — si trattava di avvenimenti risalenti ai primordi. Ma se si faceva un confronto tra gli anni trascorsi, calcolati in base ai giri compiuti dalla Terra intorno al Sole, ci si accorgeva che tutto questo era molto recente.
Isaac Newton aveva in mente i propri genitori, seduti immediatamente dietro a lui nella prima fila della congregazione riunita. Per loro, questo era un mondo diverso, questa valle verde della Regione dei Laghi che saliva dai pascoli fino alle alture rocciose, coperte di neve. Eppure, per loro non sarebbe stato tanto difficile abbandonare la terra rossa coltivata del Devon per trasferirsi sulle colline coperte d’erba degli allevatori di bestiame, quanto prendere stabile dimora in una città. Ormai erano logori dal lavoro come lo sono tutti i coltivatori quando arrivano alla sessantina, solo che si godevano il tranquillo trionfo sulla vita come tutte le persone abituate a vivere a stretto contatto con il pianeta Terra. Isaac Newton si era spesso domandato perché i suoi genitori avessero scelto per lui quel nome di battesimo. Probabilmente c’entrava qualcosa che avevano visto o letto. In realtà non stava bene chiamare un bambino con il nome Isaac Newton così come non stava bene chiamarlo William Shakespeare.
La sposa arrivò al braccio del padre. Mentre avanzavano lungo la corsia centrale, Frances Margaret si domandò come mai la cerimonia avesse finito per assumere importanza ai suoi occhi quando, tanto per essere sinceri, viveva da ormai due anni come una donna sposata. Doveva entrarci in qualche maniera il fatto di essere nata con dodici dita ai piedi, decise, di essere stata capace di risolvere equazioni di secondo grado o di fare cose del genere all’età di dieci o undici anni. Le persone nate con dodici dita ai piedi erano costrette ad andare raminghe per il mondo per unirsi ad altre persone nate con dodici dita. Queste persone formavano una comunità che sconfiggeva i pregiudizi locali, che non si curava di razze e religioni, una potente comunità che aveva finito per accumulare un numero sufficiente di cognizioni per lanciare i suoi messaggi dalla Terra stessa e unirsi a un universo ancora più vasto. Eppure non era una comunità veramente autosufficiente. Non si riproduceva di generazione in generazione. Senza le sue radici nelle valli verdi e nel suolo rosso sarebbe presto andata in disfacimento e scomparsa. Era a causa di queste radici che la cerimonia era importante.
La cerimonia stessa fu breve. Frances Margaret e Isaac Newton si accorsero veramente della presenza della congregazione solo mentre superavano la breve distanza dall’altare alla porta della chiesa. Oltre alle rispettive famiglie erano presenti il Comitato per il Progetto Halley e vari appartenenti al personale del Cavendish Laboratory. Ma c’erano anche altre persone che gli sposi non si aspettavano. Frances Margaret intravide la donna americana dai capelli scuri e con le fossette sulle guance che non poteva fare a meno di ridere tutte le volte che vedeva Frances Margaret. C’erano Dave Eckstein, che aveva recitato una parte significativa in un momento critico, e sua moglie. C’era anche lo stesso russo che aveva capeggiato la delegazione sovietica al castello di Versailles, un uomo dalle risate grasse che era risalito nei ranghi del Politburo, a quanto sembrava, al Numero Sette.
Isaac Newton intravide John Jocelyn Scuby. Un’altra sorpresa fu la presenza di Alan Bristow della rivista «Nature». C’era pure Eriksson. Del resto sarebbe stato difficile non vederlo a causa della sua alta statura, una cosa che invece avrebbe potuto accadere con John Jocelyn Scuby. Isaac Newton scambiò un’occhiata con Eriksson mentre gli passava accanto nella corsia e così gli ritornò alla mente il ricordo di quando gli aveva restituito il cifrario.
Quando uscirono dalla chiesa, trovarono un distaccamento della Marina in perfetta ordinanza fino all’ultimo particolare. Isaac Newton ricordò il momento in cui vi era stato grande bisogno di una guardia al laboratorio, solo che la guardia era stata fornita in quell’occasione dall’Esercito, non dalla Marina. In fondo era la stessa cosa, decise, fino a quando esisteva uno spirito di corpo.
Mentre poco prima il tempo non sembrava passare mai, ora gli avvenimenti incalzavano. Improvvisamente, Isaac Newton si accorse che stava tenendo il discorsetto di prammatica al termine del rinfresco nuziale. Era un’incombenza che aveva più o mena temuto, ma che riuscì ad assolvere quasi senza sforzo. Il Primo Ministro rispose a nome degli ospiti. Come al solito, non una sola parola del suo discorsetto fu fuori posto.
Un grande fienile era stato sgombrato per il ballo della sera. Eriksson aveva portato dalla Svezia una piccola comitiva. Le ragazze assomigliavano molto nell’aspetto a Frances Margaret, proprio come aveva detto Eriksson. La comitiva era composta da esperti in danze campestri, gente che arrivava su fino alle travi. Questo fu lo spunto per i danzatori russi di «trepak» che erano stati mandati per fare sfoggio della loro forza di gambe, piegandosi però sulle ginocchia invece di volare verso il soffitto. E così pure la burocrazia russa trovò lo spunto per dare una prova della sua cronica incapacità di far funzionare qualsiasi cosa come si deve. Nella preparazione dei documenti di viaggio erano stati trascurati inavvertitamente i musicisti che dovevano accompagnare le esibizioni dei danzatori di «trepak». In questa impasse, nessuno si meravigliò che intervenisse il rettore del Trinity College con la sua fisarmonica, in qualità di esperto. Era una delle tante piccole cose utili che aveva imparato nei tempi passati quando faceva teatro, raccontò alla folla quando i danzatori di «trepak» furono completamente esausti. A differenza dei soliti musicisti afflitti da modestia che rimangono sullo sfondo, infatti, il rettore del Trinity si era piazzato davanti ai danzatori, sbaragliandoli con il suo vocione. In realtà furono sbaragliati tutti quanti, una cosa nella quale la Reale Marina Britannica si rivelò insuperabile.
75
Quando l’aereo decollò dall’aeroporto di Manchester per puntare a sud in direzione della Grecia, Frances Margaret e Isaac Newton si adagiarono sui sedili con gli occhi chiusi, sulle prime contenti che tutto fosse finito. Nella mente avevano ancora le facce di coloro che li avevano salutati alla partenza con un grande agitare di braccia — i Waldheim, la signora Gunter di Cambridge, il rettore, il Cancelliere, i personaggi stranieri di alto rango, le rispettive famiglie. Dopo essersi ridotto a un fascio di nervi durante gli ultimi giorni, giorni nei quali aveva finito per contare le ore che lo separavano dal momento in cui sarebbe stato finalmente libero, Isaac Newton fu colto improvvisamente da una profonda tristezza. Ora che tutto era davvero passato, si rese troppo tardi conto che nulla al mondo avrebbe potuto far ritornare quelle giornate. Benché gli avvenimenti fossero ancora vicinissimi e perciò più che ben impressi nella memoria, questa sarebbe diventata sempre più indistinta con l’andar del tempo. Alla fine sarebbe rimasto solo il ricordo di poche persone anziane, una vernice grigia su ciò che era stato così vivo e vibrante nel breve corso dell’esistenza.