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«Pettini è un italiano. Impetuoso.»

Sulla faccia del fisico tedesco si disegnò lentamente un sorriso.

«Secondo me non bisognerebbe dirglielo in faccia.»

«Sì, ma d’altra parte non sarebbe neppure giusto procedere alla pubblicazione e poi scoprire che ci siamo sbagliati.»

«Il governo italiano sta facendo pressioni.»

«Le pressioni ci sono sempre. Nei tredici anni che mi trovo qui, al CERN, non c’è stato mai un periodo senza pressioni. Io stesso ne subisco in abbondanza. Al governo britannico farebbe un gran piacere risparmiare tutti i milioni che stiamo spendendo sul top quark.»

Ancora una volta il tedesco respinse la ciocca ribelle.

«Non sarebbe bello se gli americani rivendicassero la scoperta prima di noi.»

L’inglese annuì.

«Me ne rendo conto. E se ne rende conto anche Pettini.»

«Allora, Isaac, che cosa facciamo?»

«Consultiamo le nostre coscienze, Kurt.»

«Mi piacerebbe sapere come si fa.»

«Ne sei proprio convinto? Convinto che questo è veramente il top quark? «Realmente» convinto?»

Kurt Waldheim si mise a frugare tra le fotografie. Ne scelse una e la studiò per un attimo. Alla fine scosse la testa con espressione dispiaciuta.

«Penso che lo sia, ma non ne sono certo.»

«Vorresti fare un altro tentativo?»

««Ja», mi piacerebbe fare un altro tentativo. Ma temo che Pettini protesterà ad alta voce.»

«Sarei felice se questa fosse la mia unica preoccupazione, adesso.»

Kurt Waldheim si allontanò dal tavolo, scacciando dalla mente le fotografie.

««Ja», è da un po’ che ti vedo preoccupato, Isaac. Posso sapere di che cosa si tratta?»

«Cambridge mi ha chiesto di accettare la cattedra di Cavendish.»

Kurt Waldheim rifletté per un attimo sulla notizia e poi si strinse nelle spalle.

«Beh, e allora? Sarebbe una carica molto onorifica, e significherebbe il tuo ritorno a casa. Qualche volta è bello tornare a casa.»

«Noi abbiamo sempre in mente il Laboratorio Cavendish com’era ai tempi di Rutherford. Purtroppo, i tempi di Rutherford sono passati.»

«Tu potresti fare molto come titolare della cattedra, Isaac.»

L’inglese scosse perplesso la testa.

«Forse, se i soldi a palate non avessero rovinato tutto. Temo che tu non sappia come vanno le cose nei consigli di ricerca inglesi.»

«So come vanno in Germania.»

«Non credo che la Germania si trovi in acque altrettanto brutte.»

Sulla faccia di Waldheim comparve di nuovo lentamente il sorriso.

«E’ un po’ come la storia della mensa: si crede sempre che in quell’altra si mangi meglio che nella propria.»

«Il problema è un altro. Se dovessi rifiutare la carica, la cosa non favorirebbe certamente il finanziamento inglese al CERN.»

«Capisco che è un bel problema. Ma pensavo che ci fosse qualcos’altro.»

«Qualcos’altro?»

Kurt Waldheim annuì.

«Sì, così mi sembrava.»

Seguì una lunga pausa prima che l’inglese rispondesse: «Noi due ci conosciamo ormai da molto tempo, Kurt. Se dovessi decidermi a parlare con qualcuno a cuore aperto, questo qualcuno saresti tu».

«Posso aiutarti?»

«E’ una faccenda riservata, temo. Ma spero che non si protragga a lungo. Poi potrò concentrarmi di nuovo sul top quark.»

«Il che sarà un bene per il top quark.»

L’inglese ritornò con aria un tantino stanca alla scrivania e disse: «Dillo a Pettini con delicatezza».

Kurt Waldheim lasciò l’ufficio e il fisico inglese si avvicinò a una finestra da cui si vedevano le montagne coperte di neve sulla frontiera franco-svizzera. Era immerso nei propri pensieri quando arrivò una segretaria per dirgli: «La persona che stava aspettando è arrivata, dottor Newton». Pronunciò il nome con l’accento sull’ultima sillaba, alla francese.

L’uomo dall’aspetto florido e rubizzo aveva seguito a ruota la segretaria e si fece avanti con la mano tesa.

«Dottor Newton, sono John Jamesborough del Foreign Office.»

«Ho ricevuto il suo biglietto.»

«Sì, beh, pensavo che avremmo dovuto contattarci.»

«Perché, se mi è lecito chiederlo?»

«Ho ricevuto l’ordine di offrirle qualunque assistenza di cui lei possa avere bisogno.»

A Isaac Newton non piaceva affatto la piega che la conversazione stava per prendere secondo lui.

«Per essere sincero, non ho chiesto assistenza a nessuno. Vede, signor Jamesborough, abito ormai da tredici anni a Ginevra per cui conosco abbastanza bene la città.»

«Non avevamo in mente questo, naturalmente.»

«Sarebbe meglio, forse, se mi dicesse che cosa avevate in mente.»

«La sua relazione, dottor Newton, e il suo inoltro al Primo Ministro.»

«Non è ancora pronta.»

«Quando sarà pronta, dovrebbe essere inoltrata con la valigia diplomatica. Dal momento in cui lei, dottor Newton, metterà le parole sulla carta, queste parole assumeranno ovviamente un carattere riservatissimo.»

Un’espressione scettica attraversò come un lampo il volto di Isaac Newton.

«Ovviamente», fece eco all’altro.

«Molta gente sarà curiosa di sapere che cosa c’è scritto in quella relazione.»

«Compreso il Foreign Office, indubbiamente.»

«Oso esprimere la speranza, dottor Newton, che lei ci farà avere una copia della relazione; a titolo di cortesia, ovviamente.»

Grazie al colorito rubizzo di Jamesborough nessuno avrebbe potuto sapere se fosse arrossito o no quando fece quella richiesta. L’espressione scettica ricomparve sul volto di Isaac Newton, che rispose subito: «A questo proposito posso toglierle ogni dubbio, signor Jamesborough. Il dovere mi impone di riferire direttamente al Primo Ministro. Non tocca a me decidere se il Primo Ministro prenderà o no l’iniziativa di mandare copia della relazione a voi».

«E’ una situazione «molto» irregolare.»

La conversazione palesemente non portava a nulla. Isaac Newton riusciva a dominare sempre più a stento la propria irritazione nel sentirsi chiedere di divulgare ciò che per una questione d’onore non poteva divulgare.

«Il guaio, signor Jamesborough», cominciò con aria vagamente disgustata, «è che anche le testate nucleari sono «molto» irregolari. Mi dispiace se le mie parole suonano poco cortesi, ma nemmeno le testate nucleari sono cortesi. Le promesse fatte al Primo Ministro mi costringono a partecipare alla seduta d’oggi… per redimermi dai miei peccati.»

«C’è in vista qualcosa di speciale?»

«Spero di no. Se qualcosa di speciale dovesse accadere nel corso delle trattative sul disarmo, tutta la gente qui intorno cadrebbe in preda a shock.»

«La sua osservazione è piuttosto cinica, non le pare?» fece Jamesborough, aggrottando le sopracciglia in segno di disapprovazione e cercando nel contempo di registrare un piccolo punto a proprio favore. Senza tenere conto dell’espressione accigliata dell’uomo, Isaac Newton diede un’occhiata al proprio orologio come per far sapere di essere atteso altrove.

«Lei può considerarsi fortunato, signor Jamesborough, per non essere stato costretto ad assistere per settimane e settimane a queste trattative fra le superpotenze come ho dovuto fare io. Altrimenti, la serpe del cinismo si sarebbe insinuata da un pezzo nel suo seno.»

Isaac Newton era stato sul punto di dire «nel suo ampio seno», ma in qualche maniera aveva resistito alla tentazione.

«Posso darle un passaggio fino in città?» chiese Jamesborough.

«Grazie, ma io vado e vengo, come si dice, e preferisco la mia macchina, se non le dispiace.»

Dopo essersi reso conto che non avrebbe cavato un ragno dal buco, Jamesborough si avviò verso la porta tentando un’ultima mossa: «Terrà presente la necessità della massima riservatezza? Sarebbe estremamente imbarazzante se qualcosa dovesse trapelare».