Dopo aver seguito per dieci minuti una strada naturale attraverso la boscaglia, raggiunsero un tipico cottage dai muri a secco, il cui originale tetto di paglia era stato sostituito con tegole.
«Ecco, ci siamo», annunciò Frances Margaret. «Non c’è altro per chilometri, tutt’intorno. La casetta magica tutta sola nel bosco.»
Dopo aver puntato i fari sul cottage, Isaac Newton tolse la cassetta degli attrezzi dal vano bagagli della macchina dicendo: «Non è granché, tuttavia dovremmo essere in grado di cavarcela. Fammi un po’ di luce anche con la torcia elettrica… puntala sul gancio della finestra, qui».
Cinque minuti più tardi erano riusciti a sbloccare il gancio di una delle finestre a ghigliottina del pianterreno e a sollevarne la parte inferiore scorrevole. Subito dopo si ritrovarono senza fatica all’interno della casetta.
«Non si può certo dire che siamo penetrati ’con scasso’, come dice la polizia. Adesso, dove trovo la luce?» chiese Isaac Newton come se stesse parlando a se stesso.
«Qualcuno potrebbe accorgersi della luce.»
«Gli abitanti dei cottage si alzano qualche volta di notte. Che importanza potrebbe avere un po’ di luce?»
«Non intendevo questo. E’ solo che qualcuno, stando fuori, potrebbe vederci, mentre noi non potremmo vedere lui», ribatté Frances Margaret.
Isaac Newton girò un interruttore e la luce fornita da due lampade con paralume rivelò che erano nel soggiorno della casetta, una stanza piccola, ma confortevolmente arredata, con un caminetto. Accanto al caminetto c’era una piccola catasta di legna e sul focolare la cenere bianca. All’improvviso si udì un sordo colpo immediatamente sopra le loro teste e una voce smorzata esclamò:
«Chi va là?»
«Gran Dio, abbiamo sbagliato cottage», bisbigliò Isaac Newton. Frances Margaret gli afferrò il braccio e rispose bisbigliando: «Sono assolutamente certa che è questo. Lo si vede dai libri di fisica laggiù». La ragazza indicò una piccola libreria.
Al piano di sopra si aprì una porta, e la voce gridò di nuovo, in tono più chiaro: «Ehi, dico! Chi va là?»
La stretta sul braccio di Isaac Newton si fece più forte e a lui si rizzarono i capelli in testa quando riconobbe la voce.
«E’ Mike Howarth», fece Frances Haroldsen quasi con un urlo. «Quel coso nella cappella non era lui!»
Poi, mentre le luci si spegnevano, il ricordo di quell’attimo misterioso nella cappella la assalì e Frances Margaret lanciò un urlo da far accapponare la pelle. Isaac Newton si liberò delle sue dita, che gli serravano il braccio, prese la torcia elettrica e uscì dal soggiorno nella piccola anticamera, dimostrando un coraggio che non sentiva affatto. I passi al primo piano raggiunsero il pianerottolo e cominciarono a scendere una rampa di scala scricchiolante.
Eppure, la torcia rivelò che sulla scala non c’era nessuno. I rumori sembravano riempire il cottage.
Seguendo un impulso, Isaac Newton si avvicinò rapidamente alla scala, e quando cominciò a salirla Frances Margaret gridò: «Torna indietro! Lassù c’è qualcosa di orribile, lo so».
Seguì un’esplosione simile a un colpo di pistola, accompagnata da un grido acuto. Poi calò il silenzio nel quale Frances Haroldsen poté udire un rauco ansimare che, l’istinto glielo diceva, non era umano.
Una luce continuò a tremolare al piano di sopra, e improvvisamente Isaac Newton gridò dall’alto: «E’ tutto a posto. Puoi salire».
Quasi nello stesso istante una civetta gridò, fuori, nel bosco, e il grido risuonò doppiamente forte a causa della finestra aperta. Frances Margaret salì a tentoni la scala ed entrò in una stanza dove il fascio di luce della torcia sciabolava l’aria.
«Che cos’è?» chiese con voce strozzata.
«Un nastro registrato che trasmette il messaggio amplificato dagli altoparlanti sistemati nelle varie parti della casa. E’ un ingegnoso sistema di allarme per proteggere dai ladri la casetta.»
Le luci si riaccesero altrettanto improvvisamente come si erano spente pochi minuti prima.
«Dobbiamo essere inciampati nel dispositivo quando siamo entrati attraverso la finestra o nel soggiorno. Secondo me, per la luce teneva un interruttore automatico a tempo», disse Isaac Newton.
La stanza al primo piano era piena di attrezzature elettroniche sparpagliate un po’ ovunque. Evidentemente non era stata usata come camera da letto. Nella stanza c’era anche un armadietto-schedario, alto circa un metro, con la chiave inserita nella serratura in alto.
«Quanto scommetti che è quello che stiamo cercando?» esclamò Isaac Newton trionfante.
Poi, mentre stendeva la mano verso la chiave, Frances Haroldsen gridò con impeto: «Non toccarla! Quella chiave è un interruttore. Mike Howarth non era tipo da lasciare una chiave nella serratura».
«Avevi ragione, prima. Qui c’è davvero qualcosa che fa orrore.»
«Ci dev’essere un cavo, da qualche parte.»
«Non credo che lo troveremo con tanta facilità», rispose Isaac Newton. «Io, se volessi ammazzare qualcuno con la corrente elettrica, farei arrivare il cavo di alimentazione attraverso le tavole del piancito, immediatamente sotto l’armadietto, in maniera che la vittima non possa vederlo. Inoltre metterei un trasformatore da duemila volt nel cassetto più basso. Mica male, come idea.»
«Faremo bene a interrompere la corrente al raccordo principale.»
«Oppure tagliare all’aperto il cavo principale che porta l’energia alla casetta. Io, volendo essere ancora più cattivo, avrei inserito un cavo di alimentazione che escludesse l’interruttore principale.»
Nella serratura della porta d’ingresso principale trovarono inserita una grossa chiave che Isaac Newton strinse dopo averla coperta con un fazzoletto ripiegato, brontolando: «Non dovrebbe essere necessario, ma non vale la pena correre rischi a questo punto. E poi, così non lasciamo troppe impronte digitali in giro».
Ci fu una pioggia di scintille quando tagliò il cavo elettrico a una certa distanza dal cottage, nel punto in cui scendeva dall’ultimo palo. Dopo aver riposto nella cassetta degli attrezzi la pinza isolante, e cingendo con il braccio la spalla di Frances Margaret, Isaac Newton soggiunse: «Mi dispiace aver dovuto tagliarlo perché la cosa sarà certamente notata. A proposito: grazie per avermi avvertito».
All’improvviso, la ragazza si girò finendo tremante tra le sue braccia e cominciò a baciarlo freneticamente.
«C’è un motel sulla strada per Londra che è aperto tutta la notte. Andiamo là», bisbigliò lei. «Facciamo presto!»
14
«Dopo una notte simile, la giornata d’oggi ci metterà a dura prova», disse Isaac Newton, tutto assonnato, a Frances Margaret Haroldsen mentre lei gli porgeva una tazza del tè preparato nella stanza del motel dove avevano preso alloggio cinque ore prima.
Sul tavolo, accanto all’inevitabile televisore, c’erano un mucchio di nastri e dischi e una pila di schede alta una trentina di centimetri, tutta roba che proveniva dall’armadietto-schedario di Mike Howarth.
«Cominciamo ad affrontare la prova dando un’occhiata a questi dischi», continuò Isaac Newton, appoggiandosi ai cuscini contro la testiera del letto.
Frances Margaret gli portò i dischi uno alla volta.
Terminato l’esame, Isaac Newton finì di bere il tè e osservò: «Per quanto io possa dedurne, questi dischi sono assolutamente identici a quelli custoditi alla Barclays Bank. Credo che questi siano gli originali».
«Mike Howarth ha tenuto senz’altro gli originali. Questo è certo.»