Mentre sorseggiavano l’aperitivo e studiavano il menu, Laura lo vide rilassato come mai prima di quel momento e in effetti si dimostrò un conversatore piacevole e persino divertente. Quando furono serviti gli antipasti, salmone in salsa di aneto per lei e scaloppine per lui, fu immediatamente chiaro che il cibo non era all’altezza dei prezzi, decisamente il doppio di quelli del ristorante italiano che avevano appena lasciato. Portata dopo portata, Daniel parve sempre più imbarazzato e anche la sua conversazione si fece meno brillante. Laura affermò che tutto era delizioso, ma non servì a nulla.
Il servizio inoltre era lentissimo. Quando finalmente fecero ritorno alla macchina, erano già in ritardo di mezz’ora per il film.
«Non importa», disse Laura. «Possiamo andare lo stesso e l’inizio lo vediamo dopo.»
«No, no», replicò Daniel. «È un modo indecente di vedere un film. Lo rovineremmo. E io che volevo che questa serata fosse perfetta!»
«Rilassati», esclamò Laura. «Mi sto divertendo.»
La guardò incredulo, si sorrisero, ma il suo era un sorriso triste.
«Se non vuoi andare al cinema», disse Laura, «non importa. Qualsiasi cosa tu voglia fare, ci sto.»
Lui scosse la testa, mise in moto la macchina e uscirono dal parcheggio. Solo dopo qualche chilometro Laura si rese conto che la stava accompagnando a casa.
Mentre la scortava fino alla porta di casa, continuò a scusarsi per la serata e lei a sua volta continuò ad assicurargli che non era rimasta affatto delusa. Giunti davanti all’appartamento, nell’istante in cui Laura infilò la chiave nella serratura Daniel si voltò e corse giù per le scale, senza chiederle il bacio della buonanotte e senza lasciarle la possibilità di invitarlo in casa.
Dall’alto lo guardò mentre scendeva, e a metà scala una folata di vento gli rovesciò l’ombrello. Mentre cercava di raddrizzarlo rischiò di perdere l’equilibrio almeno un paio di volte. Quando raggiunse il vialetto riuscì finalmente a raddrizzare l’ombrello, ma il vento dispettoso pensò bene di capovolgerglielo un’altra volta. Al culmine della frustrazione lo gettò in un cespuglio vicino, poi alzò lo sguardo verso Laura. Ormai era fradicio da capo a piedi e alla pallida luce di un lampione, Laura vide che il vestito gli si era praticamente appiccicato addosso. Era un uomo enorme, forte come un toro, ma era stato messo in difficoltà da piccole cose come una pozzanghera, una folata di vento e in tutto ciò c’era qualcosa di ridicolo. Laura sapeva che non avrebbe dovuto ridere, che non avrebbe dovuto osare, ma alla fine non seppe trattenersi e scoppiò in una risata.
«Sei dannatamente bella, Laura Shane!» le gridò Daniel. «Che Dio mi assista, sei semplicemente troppo bella!» Poi si allontanò velocemente.
Sentendosi in colpa per essersi messa a ridere, ma incapace di trattenersi, entrò in casa, si cambiò e indossò un pigiama. Erano solo le otto e quaranta.
O Daniel era matto da legare e senza speranza, oppure si trattava dell’uomo più dolce che avesse conosciuto da quando suo padre era morto.
Alle nove e mezzo il telefono squillò. Era Daniel. «Uscirai ancora con me?»
«Pensavo che non avresti più chiamato.»
«Allora lo farai?»
«Certo.»
«Una cenetta e un film?» propose Daniel.
«Mi sembra un’ottima idea.»
«Sì, ma non torneremo in quell’orribile ristorante francese. Mi dispiace che sia accaduto, davvero.»
«Senti, non m’interessa dove andiamo», esclamò Laura, «ma una volta che ci saremo seduti al ristorante devi promettermi che ci rimarremo.»
«Lo so, sono un testone per certe cose. E, come ti avevo già detto… non sono mai stato abile con le belle donne.»
«Tua madre, immagino.»
«Giusto. Ha rifiutato me e anche mio padre. Non ho mai avuto calore umano da quella donna. Ci abbandonò quando avevo undici anni.»
«Dev’essere stato tremendo.»
«Ma tu sei molto più bella di lei e mi spaventi a morte.»
«Ehi, mi stai adulando.»
«Be’, scusa, ma avevo proprio intenzione di farlo. Il problema è che, per quanto tu sia bellissima, i tuoi scritti sono più belli ancora, almeno una volta e mezzo, e questo mi spaventa ancora di più. Mi chiedo, che cosa può trovare un genio come te in un uomo come me. Forse un passatempo divertente?»
«Solo una domanda, Daniel.»
«Danny.»
«Solo una domanda, Danny. Che razza di agente di cambio sei? Conti qualcosa?»
«Prima categoria», disse con orgoglio genuino e Laura fu certa che stava dicendo la verità. «I miei clienti credono ciecamente in me e ho un portfolio tutto mio che ha superato l’andamento del mercato per tre anni consecutivi. Come analista, mediatore ed esperto finanziario, non lascio mai al vento la possibilità di capovolgermi l’ombrello.»
2
Il pomeriggio successivo alla sistemazione degli esplosivi nei sotterranei dell’istituto, Stefan intraprese quello che riteneva essere il suo penultimo viaggio lungo la Via del Lampo. Era una puntata illegale al 10 gennaio 1988, non figurava sulla tabella ufficiale e i suoi colleghi ne erano all’oscuro.
Quando arrivò una neve leggera stava scendendo sulle San Bernardino Mountains, ma il suo abbigliamento era adeguato al tempo: stivali di gomma, guanti di pelle e un giaccone da marinaio. Trovò riparo sotto una fitta macchia di pini, con l’intenzione di attendere finché i lampi non fossero cessati.
Guardò l’orologio alla tremula luce celeste e rimase sbigottito quando si accorse di essere arrivato tanto tardi. Aveva meno di quaranta minuti per raggiungere Laura prima che fosse uccisa. Se avesse commesso un errore, se fosse arrivato troppo tardi, non ci sarebbe stata una seconda possibilità.
Anche se gli ultimi lampi squarciavano il cielo tetro e il boato secco dei tuoni echeggiava ancora dietro di lui, lasciò frettolosamente il suo riparo e s’incamminò a passo sostenuto giù per un campo scosceso, dove la neve accumulatasi durante le precedenti bufere era alta fino al ginocchio. In superficie si era formato un sottile strato di ghiaccio che a ogni passo Stefan doveva rompere. Procedere era difficile come guadare un profondo corso d’acqua. Cadde due volte e la neve gli entrò negli stivali; il vento lo colpiva e l’ostacolava con tale furia che sembrava animato dalla volontà di annientarlo. Arrivò in fondo alla collina, superò un cumulo di neve e quando si ritrovò sul ciglio della statale a due corsie che portava ad Arrowhead e a Big Bear, aveva i pantaloni e il cappotto incrostati di ghiaccio, i piedi congelati e aveva perso più di cinque minuti.
La strada, sgombrata di recente dalla neve, era pulita. Ma l’intensità della tormenta era già aumentata. I fiocchi si erano fatti molto più piccoli e fitti da quando era arrivato. Presto la strada sarebbe diventata pericolosa.
Notò un cartello a lato della strada: «LAGO ARROWHEAD 1,5 KM». Fu sconvolto quando scoprì di essere molto più lontano da Laura di quanto pensasse.
Socchiuse gli occhi e guardando verso nord vide il caldo bagliore di una lampada elettrica in quel desolato e grigio pomeriggio: un edificio a un piano e delle auto parcheggiate a circa trecento metri, sulla destra. Puntò immediatamente in quella direzione, tenendo il capo chino per proteggersi il volto dalle gelide sferzate del vento.
Doveva trovare un’auto. Laura aveva meno di mezz’ora da vivere ed era a quindici chilometri di distanza.
3
Cinque mesi dopo quel primo appuntamento, sabato 16 luglio 1977, sei settimane dopo essersi laureata, Laura sposò Danny Packard con rito civile di fronte a un giudice. Gli unici ospiti, che fungevano anche da testimoni, erano il padre di Danny, Sam Packard, e Thelma Ackerson.