Sam era un bell’uomo, sulla cinquantina, con i capelli grigi, che sembrava minuto in confronto al figlio. Pianse per tutta la cerimonia e Danny non fece che voltarsi a chiedere: «Tutto bene, papà?» Sam annuiva, si soffiava il naso e diceva loro di andare avanti, ma un attimo dopo era di nuovo in lacrime. A un certo punto il giudice disse: «Figliolo, le lacrime di tuo padre sono lacrime di gioia, perciò se potessimo andare avanti… ho ancora tre cerimonie dopo questa».
Anche se il padre dello sposo non fosse stato un disastro dal punto di vista emotivo e anche se lo sposo non fosse stato un gigante dal cuore di cerbiatto, il loro matrimonio sarebbe comunque rimasto memorabile grazie a Thelma. Aveva un taglio di capelli strano, stile porcospino, con al centro una ciocca color rosso porpora. Era piena estate e aveva scelto per la cerimonia un paio di scarpe rosse con vertiginosi tacchi a spillo, pantacollant neri aderentissimi e un giubbotto nero tutto sbrindellato, accuratamente, deliberatamente sbrindellato, stretto in vita da una catena di ferro che fungeva da cintura. Gli occhi erano pesantemente truccati con un ombretto rosso porpora e le labbra dipinte con un rossetto rosso sangue. All’orecchio portava un orecchino a forma di amo.
Mentre Danny scambiava due parole a tu per tu con il padre, Thelma si appartò con Laura in un angolo del palazzo di Giustizia e le spiegò il suo nuovo look. «Questa è la moda punk, una supernovità che viene dall’Inghilterra. Qui da noi non c’è ancora nessuno che la segue e in Inghilterra sono pochissimi. Ma nel giro di qualche anno si vestiranno tutti così. Per il mio lavoro poi è una bomba. Do subito l’impressione di una stramba, perciò appena metto piede sul palcoscenico alla gente viene da ridere. Ed è perfetto anche per me. Siamo onesti, non si può certo dire che con l’età io stia sbocciando. Per la miseria, se la bruttezza fosse riconosciuta come malattia e avesse un’organizzazione caritatevole alle spalle io potrei essere l’immagine perfetta per i loro manifesti. Comunque, lo stile punk ha due grandi qualità: primo, ti puoi nascondere dietro un trucco e una capigliatura appariscenti e nessuno potrà dire che sei scialba; secondo, è scontato che risulti sempre originale. Accidenti, Shane, Danny è gigantesco! Mi hai raccontato tante cose di lui al telefono, ma non mi hai mai detto neppure una volta che era così enorme. Mettigli addosso un costume da Godzilla, lascialo libero a New York, filma quello che succede e vedrai che viene fuori uno di quei film senza dover allestire delle costose scene in miniatura. E così lo ami, eh?»
«Lo adoro», confessò Laura. «La sua delicatezza è pari alla sua mole, forse a causa di tutta la violenza che ha visto e a cui ha preso parte in prima persona in Vietnam, o forse perché è sempre stato così di natura. È dolce, Thelma, premuroso e pensa che io sia una delle migliori scrittrici che abbia mai avuto occasione di leggere.»
«E pensare che quando all’inizio ha cominciato a regalarti i rospi, pensavi che fosse uno psicopatico!»
«Errore!»
Due poliziotti in uniforme, che scortavano un giovane ammanettato, attraversarono il corridoio diretti a una delle aule. Quando furono all’altezza di Thelma, il prigioniero le lanciò un’occhiata e disse: «Ehi, pupa, andiamo a spassarcela!»
«Ah, il fascino Ackerson», commentò Thelma. «Tu ti sei trovata un uomo che è una combinazione fra un dio greco, un orsacchiotto e Bennett Cerf, mentre a me toccano le avance dei rifiuti della società. Ma se ci penso bene, non ho mai ricevuto neanche quelle, perciò forse è arrivato il mio momento.»
«Ti sottovaluti, Thelma. L’hai sempre fatto. Ma qualcuno di veramente speciale scoprirà il tesoro che c’è in te…»
«Sì. Charles Manson quando verrà rilasciato sulla parola.»
«No. Un giorno anche tu potrai vivere attimo per attimo la felicità che sto assaporando io. Lo sento. È destino, Thelma.»
«Santi numi, Shane, sei diventata un’ottimista scatenata! E che cosa mi dici dei lampi? E di tutti quei discorsi così profondi che facevamo al Caswell, ricordi? Arrivammo alla conclusione che la vita non è che un’assurda commedia, che di tanto in tanto viene interrotta dai fulmini della tragedia per equilibrare la storia, per far sì che la farsa grottesca delle torte in faccia, al confronto, sembri più buffa.»
«Forse ha colpito per l’ultima volta nella mia vita», disse Laura.
Thelma la fissò duramente. «Ti conosco, Shane, e so che conosci perfettamente qual è il rischio emotivo in cui ti stai cacciando solo per il semplice fatto di voler essere così felice. Spero tu abbia ragione, amica mia, e scommetto che è così. Scommetto che non ci saranno più lampi per te.»
«Grazie, Thelma.»
«E penso che il tuo Danny sia un tesoro, un gioiello. Ma ti dirò di più. Anche a Ruthie sarebbe piaciuto. Ruthie avrebbe pensato che è perfetto.»
Si strinsero in un forte abbraccio e per un attimo furono di nuovo due ragazzine, provocatorie e vulnerabili, assurdamente fiduciose e al contempo terrorizzate dal cieco destino che aveva segnato così profondamente l’adolescenza che avevano condiviso.
Domenica 24 luglio, di ritorno dalla luna di miele a Santa Barbara, andarono a fare la spesa e poi prepararono insieme la cena nel loro appartamento di Tustin: spaghetti saltati in padella, pane integrale, polpettine al forno e insalata. Laura aveva lasciato il suo appartamento e si era trasferita da Daniel qualche giorno prima del matrimonio. Secondo il piano che avevano elaborato sarebbero rimasti in quell’appartamento per due anni, forse tre. (Avevano parlato così spesso del loro futuro e in termini così dettagliati che nelle loro menti avevano riassunto il tutto in due sole parole, Il Piano.) Perciò dopo due, forse tre anni, avrebbero potuto permettersi di versare un anticipo in contanti per una casa che rispondesse meglio alle loro esigenze, senza intaccare il rispettabile portafolio di azioni che Danny si stava creando, e solo allora avrebbero potuto spostarsi.
La cucina si apriva sul pergolato del giardino, dove cenarono godendo dello spettacolo delle palme giganti nella luce dorata del tramonto. Discussero la parte centrale del Piano, che prevedeva che Danny provvedesse al mantenimento, mentre Laura sarebbe rimasta a casa a scrivere il suo primo romanzo. «E quando diventerai ricca e famosa», disse Danny, mentre arrotolava gli spaghetti sulla forchetta, «allora io lascerò il mio lavoro per dedicarmi completamente ad amministrare i tuoi guadagni.»
«E che cosa succederà se non diventerò né ricca né famosa?»
«Ah, lo diventerai di sicuro.»
«E che cosa succederà se non riuscirò a pubblicare neppure un romanzo?»
«Chiederò il divorzio.»
Laura gli gettò un pezzo di pane. «Porco!»
«Bisbetica.»
«Vuoi un’altra polpetta?»
«No, se hai intenzione di tirarmela dietro!»
«No, mi è già sbollita la collera. Sono buone le mie polpettine, vero?»
«Eccellenti», confermò Danny.
«Allora, non credi che valga la pena di festeggiare, visto che hai una moglie che prepara delle ottime polpette?»
«Ne vale decisamente la pena.»
«Allora facciamo l’amore.»
«Nel bel mezzo della cena?»
«No, a letto.» Laura spinse indietro la sedia e si alzò. «Su, vieni, la cena si può sempre riscaldare.»
Durante quel primo anno fecero spesso l’amore e nell’intimità Laura trovò qualcosa che andava al di là del semplice sfogo sessuale, qualcosa che superava di gran lunga le sue aspettative. Quando era con Danny, quando lo teneva dentro di sé, si sentiva così vicina a lui che a volte sembrava quasi che fossero una sola persona, un solo corpo e una mente, uno spirito, un sogno. Lo amava immensamente, sì, ma quella sensazione di unicità era molto più che amore. Quando arrivò Natale, il loro primo Natale insieme, Laura capì che quello che provava era una sensazione di possesso, la sensazione di essere di nuovo una famiglia; perché Danny era suo marito e lei era sua moglie e un giorno dalla loro unione sarebbero nati dei bambini, dopo due o tre anni, secondo il Piano, e nel guscio familiare c’era una pace che non aveva trovato altrove.