«Oh, Cristo!» Laura dovette appoggiarsi al bancone della cucina per non perdere l’equilibrio.
Spencer continuò: «Laura, dolcezza, solo tu sai ciò che è meglio per te, ma, a meno che non considerino i centomila come offerta minima di base, io vorrei che tu pensassi alla possibilità di rifiutare».
«Rifiutare centomila dollari?» domandò incredula.
«Senti, io voglio mandare questo manoscritto a sette, forse otto editori, fissare una data per l’asta e vedere che cosa succede. Io credo di sapere che cosa succederà, Laura, credo che tutti ameranno questo libro quanto lo amo io. Ma, d’altro canto… forse no. Lo so, è una decisione difficile, devi prendere tempo e pensarci prima di darmi una risposta.»
Appena Spencer riappese, Laura telefonò a Danny e gli spiegò dell’offerta.
«Se non accetteranno di considerarla come offerta minima, rifiuta», suggerì il marito.
«Ma, Danny, possiamo permettercelo? Voglio dire, la mia auto ha undici anni e sta cadendo a pezzi, la tua ha quasi quattro anni…»
«Che cosa ti avevo detto di questo libro? Non ti avevo detto che eri tu, un riflesso di ciò che tu sei?»
«Sei un tesoro, ma…»
«Rifiuta. Dammi retta, Laura. Tu stai pensando che rifiutare centomila dollari sia come sputare in faccia alla fortuna; è come invitare quel lampo di cui mi hai parlato tante volte. Ma tu questa ricompensa te la sei guadagnata e il fato non te la porterà via.»
Chiamò Spencer Keene e lo informò della sua decisione.
Eccitata, nervosa, pensando già di aver perduto quei centomila dollari, tornò nel suo studio, si sedette davanti alla macchina per scrivere e per qualche minuto fissò il breve racconto non ancora terminato, finché non avvertì l’odore di zuppa di pollo e si ricordò di averla lasciata sul fuoco. Corse in cucina e non trovò che mezzo dito di zuppa e la pasta, bruciata, attaccata sul fondo del pentolino.
Alle due e dieci, le cinque e dieci di New York, Spencer richiamò per comunicarle che la Viking aveva accettato di fissare i centomila dollari come offerta minima. «Ora, questa è veramente la cifra minima che realizzerai con Shadrach, centomila dollari. La data dell’asta dovrebbe essere il 26 settembre. E sarà un portento, Laura, lo sento.»
Trascorse il resto del pomeriggio cercando di sentirsi soddisfatta, ma non riuscì a scrollarsi di dosso l’ansia. Shadrach era già un grande successo, indipendentemente da ciò che sarebbe accaduto all’asta. Non c’era ragione di agitarsi, eppure non riuscì a calmarsi.
Quel giorno Danny rientrò con una bottiglia di champagne, un mazzo di rose e una scatola di cioccolatini. Si sedettero sul sofà e tra un cioccolatino e un sorso di champagne, parlarono del loro futuro, un futuro che sembrava luminoso; tuttavia l’ansia non l’abbandonò.
Alla fine Laura disse: «Non voglio né cioccolatini né champagne né rose. E neanche centomila dollari. Voglio te. Portami a letto».
Fecero l’amore a lungo. Il sole di fine estate calò lentamente e le ombre della sera sopraggiunsero prima che con riluttanza i loro corpi si separassero. Disteso al suo fianco, al buio, Danny le baciò teneramente i seni, la gola, gli occhi e le labbra. Laura si rese conto che la sua ansia si era dissolta. Non era stato il sesso a scacciare la sua paura, ma l’intimità. Abbandonarsi totalmente e quella sensazione di speranze, sogni e destini condivisi era stata la vera medicina. Quella grande e meravigliosa sensazione di famiglia che Laura provava quando era vicino a lui, era un talismano che teneva lontano il gelido destino.
Mercoledì 26 settembre, Danny rimase a casa dal lavoro per essere vicino a Laura quando sarebbero arrivate le notizie da New York.
Alle sette e mezzo del mattino, le dieci e mezzo di New York, Spencer Keene chiamò per annunciare che la Random House aveva fatto la prima offerta. «Centoventicinquemila. E siamo sulla buona strada.»
Due ore più tardi chiamò di nuovo. «Sono tutti fuori a pranzo, perciò ci sarà un momento di calma. Ora come ora siamo arrivati a trecentocinquantamila e sei case devono ancora fare la loro offerta.»
«Trecentocinquantamila?» ripetè Laura.
Danny, che era in cucina a risciacquare le stoviglie della colazione, lasciò cadere un piatto.
Quando riappese, Laura guardò Danny che sorrise e disse: «Sbaglio, o questo è quel libro che tu avevi paura che fosse carta straccia?»
Quattro ore e mezzo più tardi, mentre erano seduti al tavolo del tinello, fingendo di giocare a carte, squillò il telefono. Danny seguì Laura in cucina per ascoltare la conversazione.
Spencer salutò: «Sei seduta, dolcezza?»
«Sono pronta, Spencer. Non ho bisogno di una sedia. Dimmi.»
«È fatta. Simon and Schuster. Un milione duecentoventicinquemila dollari.»
Tremante per lo choc, Laura parlò con Spencer per altri dieci minuti e quando riagganciò non ricordava praticamente nulla di quanto si erano detti dopo che Spencer le aveva rivelato la cifra.
Danny la stava fissando con aria interrogativa e Laura si rese conto di non ricordare nulla di ciò che era accaduto. Gli riferì il nome della casa editrice che aveva comprato il libro e la cifra.
Per un momento si fissarono intensamente, in silenzio.
Poi Laura concluse: «Credo che forse ora potremo permetterci di avere un bambino».
8
Stefan superò una collina e scrutò attentamente il tratto di strada spazzato dalla neve dove «il fatto» sarebbe accaduto. Alla sua sinistra, al di là della carreggiata che correva in direzione sud, i tre versanti boscosi della montagna scendevano ripidi fino al ciglio della strada. Alla sua destra, la corsia che andava verso nord era costeggiata da una dolce cunetta, larga poco più di un metro, al di là della quale il fianco della montagna cadeva a strapiombo in una profonda gola. Non c’erano guard-rail a proteggere gli automobilisti da quel volo mortale.
In fondo al pendio la strada svoltava a sinistra e non era più visibile. Fra quella curva più in basso e la cima della collina, che aveva appena superato, le due corsie asfaltate erano deserte.
Secondo il suo orologio, Laura sarebbe morta fra un minuto, due al massimo.
Si rese improvvisamente conto che non avrebbe mai dovuto cercare di recarsi alla casa dei Packard, visto che era arrivato così tardi. Avrebbe dovuto subito scartare l’idea di fermare i Packard, tentando invece di identificare e fermare il veicolo dei Robertson molto più a monte, sulla strada per Arrowhead. E quella sarebbe stata una soluzione altrettanto buona.
Ma ora era troppo tardi.
Stefan non aveva tempo per tornare indietro, né poteva correre il rischio di spingersi più a nord incontro ai Packard. Non conosceva il momento esatto della loro morte, non al secondo perlomeno, ma quella catastrofe si stava avvicinando rapidissimamente. Se avesse cercato di percorrere anche solo un chilometro in più, nel tentativo di fermarli prima che giungessero al punto fatale, forse sarebbe anche riuscito a raggiungere la cima del pendio, ma poi, svoltando, li avrebbe visti sfrecciare in direzione opposta e a quel punto non sarebbe stato più in grado di tornare indietro, raggiungerli e fermarli prima che il camion dei Robertson si scontrasse frontalmente con la loro auto.
Frenò delicatamente e svoltò all’angolo, mettendosi sull’altra corsia, quella in direzione sud, fermò la jeep sulla parte più spaziosa della banchina, a metà circa del pendio, così vicino al terrapieno che non poté aprire la portiera. Il cuore gli batteva forte, fino a fargli male, mentre parcheggiava la jeep, inseriva il freno a mano, spegneva il motore e scivolava sull’altro sedile per poter scendere dall’altra parte.
La neve e l’aria gelida gli sferzarono il volto e lungo il versante della montagna il vento ululava e fischiava come fossero tante voci, forse le voci delle tre sorelle della mitologia greca, le Parche, che si prendevano gioco di lui per il suo tentativo disperato di evitare ciò che loro avevano deciso.