Thelma le diede le chiavi della casa di Palm Springs. «Non c’è personale a tempo pieno. Chiamiamo semplicemente un’impresa di pulizia per rassettare un po’ la casa un paio di giorni prima del nostro arrivo. Ovviamente non l’ho chiamata, perciò troverai polvere, ma niente di veramente sporco e soprattutto non troverai nessuna delle teste decapitate che hai l’abitudine di lasciare in giro.»
«Sei un amore.»
«Ah, c’è un giardiniere. Non è a tempo pieno come quello che abbiamo a Beverly Hills. Viene solo una volta la settimana, il lunedì, per falciare il prato, potare le siepi e calpestare alcuni fiori, così ci può far pagare quelli che ripianta. Vi consiglio di stare lontani dalle finestre e di tenere la testa bassa finché non ha finito.»
«Ci nasconderemo sotto i letti.»
«A proposito, sotto il letto troverai parecchie fruste e catene, ma non farti venire l’idea che io e Jason siamo dei sadomasochisti. Le catene e le fruste appartenevano a sua madre e le teniamo semplicemente per ragioni sentimentali.»
Andarono a prendere le valigie nella stanza del motel e le caricarono sul sedile posteriore con altri pacchi che non stavano nel bagagliaio dell’auto. Dopo i saluti Thelma disse: «Shane, nelle prossime tre settimane farò degli spettacoli nei night-club, ma se hai bisogno di me per qualsiasi cosa, mi puoi trovare alla casa di Beverly Hills, notte e giorno. Starò attaccata al telefono». Partì a malincuore.
Laura tirò un sospiro di sollievo quando il camioncino scomparve nel traffico. Thelma era salva, fuori pericolo. Restituì le chiavi della stanza alla reception e partì con Chris al fianco e Stefan nel sedile posteriore con i bagagli. Lasciava a malincuore quel motel che per quattro giorni era stato un rifugio sicuro per loro, come forse nessun altro posto al mondo sarebbe potuto esserlo.
La prima tappa fu un’armeria. Visto che Laura doveva esporsi il meno possibile, Stefan entrò nel negozio a comprare una scatola di munizioni per la pistola. Non avevano dato quell’incarico a Thelma perché al momento non sapevano ancora se avrebbero ottenuto la 9mm Parabellum che Stefan desiderava, e infatti erano riusciti ad avere una calibro 38 Colt Commander Mark IV.
La seconda tappa fu la pizzeria di Jack il Ciccione dove dovevano ritirare due bombolette del mortale gas nervino. Stefan e Chris attesero nell’auto, sotto le insegne al neon che già risplendevano nella luce crepuscolare.
Le bombolette erano sul tavolo di Jack. Avevano più o meno le dimensioni degli estintori da casa, ma non erano rosse, bensì in acciaio inossidabile, con un’etichetta sulla quale era stampato un teschio e delle tibie incrociate e la scritta: «VEXXON/AEROSOL — AVVERTENZA: GAS NERVINO. IL POSSESSO NON AUTORIZZATO È PUNITO DALLA LEGGE DEGLI STATI UNITI».
Con un dito grosso come una salsiccia, Jack indicò un dischetto in cima a ogni bomboletta. «Sono timer, calibrati in minuti, da uno a sessanta. Se fissa il timer e spinge il bottone al centro, può liberare il gas a distanza, una specie di bomba a orologeria, ma se vuole azionarlo manualmente, allora con una mano deve tenere il fondo della bomboletta, poi con l’altra mano afferrare questa impugnatura e premere questo anello come fosse con un grilletto. Questa merda, liberata sotto pressione, si disperderà in un edificio di circa cinquemila metri cubi in un minuto e mezzo, anche più velocemente se l’impianto di riscaldamento o l’aria condizionata sono in funzione. Esposto alla luce e all’aria, diventa rapidamente non tossico, ma rimane mortale dai quaranta ai sessanta minuti. Solo tre milligrammi sulla pelle uccidono in trenta secondi.»
«L’antidoto?» chiese Laura.
Jack il Ciccione sorrise e tamburellò con le dita sui sacchetti di plastica blu che erano fissati alle maniglie delle bombolette. «Dieci pillole in ogni sacchetto. Due saranno sufficienti per proteggere una persona. Le istruzioni sono nel sacchetto, ma mi è stato detto che le pillole devono essere prese almeno un’ora prima che venga liberato il gas. Vi proteggeranno da tre a cinque ore.»
Prese il denaro e mise le bombolette di Vexxon in una scatola di cartone che portava la scritta: «MOZZARELLE». Mentre richiudeva il coperchio della scatola scoppiò a ridere e scosse la testa.
«Che cosa c’è?» chiese Laura.
«C’è che questa faccenda mi incuriosisce», esclamò Jack il Ciccione. «Una bella donna come lei, istruita, con un figlio… se qualcuno come lei è coinvolto in uno schifo come questo, la società allora sta veramente andando a rotoli molto più velocemente di quanto avessi sperato. Forse vivrò quanto basta per vedere il giorno in cui l’impalcatura cadrà, quando l’anarchia dominerà, quando le uniche leggi saranno quelle che gli individui stabiliranno fra di loro e suggelleranno con una stretta di mano.»
Quasi fosse stato colto da un ripensamento, sollevò il coperchio della scatola, da un cassetto della scrivania estrasse dei tagliandi verdi di carta e li depose in cima alle bombolette di Vexxon.
«Che cosa sono?» chiese Laura.
«Lei è una buona cliente», disse Jack il Ciccione. «Le ho dato dei tagliandi omaggio per la pizza.»
La casa di Thelma e Jason a Palm Springs era veramente isolata. Architettonicamente parlando, la villa era un curioso e interessante incrocio tra lo stile spagnolo e quello del sudovest; un muro di cinta color pesca alto circa due metri la circondava quasi interamente, a parte l’entrata e l’uscita del vialetto circolare di accesso. Una fitta vegetazione di ulivi, palme e fichi la nascondeva su tre lati agli occhi dei vicini. Solo la facciata era visibile.
Arrivarono verso le otto, dopo aver lasciato il locale di Jack ad Anaheim ed essersi inoltrati nel deserto. Nonostante l’ora, la casa e il terreno circostante erano ben visibili perché illuminati da lampade controllate da cellule fotoelettriche. L’estetica era salva e la sicurezza anche. Le palme e le felci disegnavano strane ombre sui muri di stucco.
Thelma aveva dato loro il telecomando per aprire il box in cui sistemarono la Buick e attraverso la porta di collegamento con la lavanderia entrarono in casa, dopo aver disattivato il sistema di allarme secondo le istruzioni di Thelma.
Era più piccola della villa dei Gaines a Beverly Hills, ma sempre grande, con dieci stanze e quattro bagni. Steve Chase, l’architetto che aveva curato l’arredamento di Palm Springs, aveva lasciato la sua impronta in ogni stanza: spazi enormi dominati dalle luci; colori morbidi giallo-arancio dai toni caldi, giallorosso smorzato; macchie di turchese qua e là; pareti tappezzate in stoffa, soffitti di legno di cedro; tavoli di rame e di granito, contrasto interessante con i pratici mobili rivestiti di tessuti diversi; un ambiente sofisticato e tuttavia confortevole.
In cucina Laura trovò la dispensa praticamente vuota, a eccezione di un ripiano pieno di scatolette. Troppo stanchi per uscire a comprare del cibo, cucinarono quello che avevano trovato. Anche se Laura fosse entrata in quella casa senza chiavi e non avesse saputo a chi apparteneva, avrebbe subito capito che i proprietari erano Thelma e Jason dando una semplice occhiata alla dispensa. Non riusciva a immaginarsi nessun’altra coppia di milionari così infantile da tenere nella dispensa una scorta di ravioli e spaghetti in scatola di Chef Boyardee. Chris era al settimo cielo. Per dessert finirono due scatole di praline di gelato ricoperte di cioccolato che avevano trovato nel freezer, per il resto vuoto.
Laura e Chris divisero il grande letto matrimoniale, mentre Stefan si sistemò in una delle camere degli ospiti. Anche se aveva riattivato il sistema di allarme perimetrale che controllava ogni porta e finestra, per quanto avesse un Uzi carico sul pavimento accanto al letto e la pistola sul comodino, nonostante nessuno al mondo all’infuori di Thelma potesse sapere dove si trovavano, il sonno di Laura fu irregolare. Ogni volta che si svegliava, scattava a sedere sul letto, l’orecchio teso a cogliere i rumori nella notte: passi furtivi, sussurri.