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Oltre a eseguire elaborati calcoli per i viaggi, era necessario del tempo perché Stefan guarisse. Quando sarebbe tornato nel 1944, non avrebbe avuto vita facile e anche se era armato di gas nervino e di armi di prima qualità, sarebbe dovuto essere veloce e agile per evitare di essere ucciso. «Partirò fra due settimane», annunciò Stefan. «Fra un paio di settimane dovrei essere in grado di muovere abbastanza bene la spalla e il braccio.»

Ma se anche avesse avuto bisogno di dieci settimane e non di due, non aveva importanza, perché quando avrebbe usato la cintura di Kokoschka, sarebbe tornato all’istituto solo undici minuti dopo che Kokoschka era partito. Qualunque fosse la data di partenza dal 1989, non avrebbe influenzato la data di ritorno nel 1944.

L’unica preoccupazione di Stefan era che la Gestapo riuscisse a trovarli nel frattempo e inviasse una squadra nel 1989 per eliminarli, prima che potesse tornare nella sua epoca e mettere in atto il piano. E non era certo una preoccupazione da poco.

Con estrema cautela, attendendosi da un momento all’altro un’improvvisa scarica di lampi e un rombo di tuoni, si concessero una pausa e andarono a fare compere il lunedì pomeriggio. Laura, rimase nell’auto, mentre Chris e Stefan entrarono nel supermercato. Non ci furono lampi. Fecero ritorno a casa con molte provviste.

In cucina, mentre svuotava i sacchetti, Laura si accorse che più della metà degli acquisti consistevano in gelati, mousse al cioccolato, burro di arachidi, sacchetti formato famiglia di caramelle, patatine, noccioline, taco chips, biscotti, una torta al cioccolato, una crostata di ciliegie, una confezione di brioches e pacchetti di dolcetti vari.

Mentre Stefan l’aiutava a mettere via la spesa, Laura gli disse: «Devi essere la persona più golosa di questa terra».

«Vedi, questa è un’altra delle cose che trovo straordinarie e meravigliose nella vostra epoca», rispose Stefan. «Non riesco a crederci… non c’è più alcuna differenza dal punto di vista nutritivo fra una torta al cioccolato e una bistecca. In queste patatine ci sono tante vitamine e minerali quanto in un’insalata. Puoi nutrirti tranquillamente solo di dolci e rimanere sano quanto un uomo che consuma pasti equilibrati. È incredibile! Come avete fatto a raggiungere un tale progresso?»

Laura si voltò in tempo per vedere Chris che sgattaiolava fuori dalla cucina. «Ehi, tu! Piccolo imbroglione che non sei altro!»

Con un’espressione innocente Chris disse: «Non trovi che Krieger si sia fatto una strana idea della nostra cultura?»

«Io so da dove l’ha tirata fuori», replicò Laura. «Hai fatto una cosa ignobile.»

Chris sospirò e cercò di mostrarsi dispiaciuto. «D’accordo. Ma… dal momento che siamo inseguiti da agenti della Gestapo, è meglio che mangiamo più dolci che possiamo, perché ogni pasto potrebbe essere l’ultimo.» La guardò di sottecchi, per vedere se quella scena aveva sortito qualche effetto.

Ciò che, il bambino aveva detto conteneva quel tanto di verità che bastava a perdonare lo scherzo e Laura non riuscì a trovare il coraggio di punirlo.

Quella sera, dopo cena, Laura cambiò la fasciatura della ferita di Stefan. L’impatto del proiettile aveva lasciato un’enorme bruciatura sul petto, con il foro della pallottola più o meno al centro, mentre attorno al foro di uscita la bruciatura era minore. Dopo aver attentamente lavato le ferite, eliminando il più possibile le secrezioni ma senza toccare la crosta, Laura palpò delicatamente la pelle attorno alla ferita. Fuoriuscì un liquido chiaro, ma non c’era però segno di formazione di pus a indicare una grave infezione. All’interno poteva esserci un ascesso in corso, ma era poco probabile, visto che Stefan non aveva febbre.

«Continua a prendere la penicillina», disse Laura, «e sono sicura che ti riprenderai presto. Il dottor Brenkshaw ha fatto un buon lavoro.»

Domenica e lunedì Laura e Stefan trascorsero molte ore davanti al computer mentre Chris, guardava la televisione, curiosava nella libreria in cerca di qualcosa da leggere, rimase perplesso di fronte a una vecchia raccolta di fumetti di Barbarella. Di tanto in tanto faceva delle rapide apparizioni nello studio e li guardava mentre lavoravano al computer. Durante una delle visite lampo, lo sentirono borbottare: «In Ritomo al futuro avevano semplicemente questa automobile del tempo, non avevano che da premere alcuni pulsanti sul cruscotto e puf! scomparivano in men che non si dica. Come mai nella vita reale non è tutto semplice come nei film?»

Il lunedì fecero attenzione a non farsi vedere mentre il giardiniere falciava il prato e potava alcuni arbusti. In quattro giorni era l’unica persona che avevano visto; nessun venditore si era presentato alla loro porta, neppure un testimone di Geova.

«Qui siamo al sicuro», disse Stefan, «ovviamente la nostra presenza in questa casa non è mai diventata di dominio pubblico. Se lo fosse stato, la Gestapo sarebbe già arrivata.»

Nonostante questo, Laura continuò a lasciare in funzione il sistema d’allarme praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro. La notte sognava che il destino riaffermava i propri piani e Chris veniva cancellato dall’esistenza; sognava di svegliarsi e di ritrovarsi su una sedia a rotelle.

9

Secondo il programma sarebbero dovuti arrivare alle otto del mattino, potendo così disporre di tutto il tempo necessario per raggiungere la località in cui i ricercatori avevano individuato la donna e il bambino se non Krieger. Ma quando il tenente Klietmann sbattè gli occhi e si ritrovò proiettato a quarantacinque anni dalla sua era, seppe subito che erano in ritardo di almeno due ore. All’orizzonte il sole era già troppo alto. La temperatura era di almeno venti gradi, troppo caldo perché fossero le prime ore di un mattino invernale nel deserto.

Come una fenditura bianca in un’ampolla di vetro blu, un lampo squarciò il cielo. Altri squarci si aprirono sprigionando scintille ovunque.

Mentre il rombo dei tuoni andava affievolendosi, Klietmann si voltò per vedere se von Manstein, Hubatsch e Bracher erano arrivati sani e salvi. Erano con lui, con le loro valigette e gli occhiali da sole nei taschini dei costosi abiti.

C’era un problema. A una decina di metri dal sergente e dai due caporali, due anziane signore, nei loro abiti dai tenui colori, erano ferme accanto a una macchina bianca, vicino alla porta secondaria di una chiesa e con sguardo esterrefatto fissavano Klietmann e il suo gruppo. Fra le mani tenevano qualcosa, forse dei tegami.

Klietmann si guardò attorno e vide che erano arrivati nel parcheggio che si trovava dietro la chiesa. C’erano altre due macchine oltre a quella che sembrava appartenere alle due donne, ma non c’erano altri testimoni. Il parcheggio era circondato da un muro, perciò per uscire dovevano superare le donne costeggiando la chiesa.

Klietmann decise di assumere un atteggiamento spavaldo e si incamminò verso le donne, come se non ci fosse assolutamente nulla di insolito nel fatto che si era materializzato nell’aria. Gli altri lo seguirono. Come ipnotizzate, le poverette rimasero a osservarli mentre si avvicinavano.

«Buongiorno, signore.» Come Krieger, Klietmann aveva imparato a parlare inglese con accento americano, nella speranza di diventare un agente segreto, ma non era mai riuscito a perdere completamente l’accento tedesco, nonostante lo studio e la pratica. L’orologio era stato regolato sull’ora locale, ma sapeva che non poteva più fidarsi, perciò chiese: «Potreste gentilmente dirmi l’ora?»

Le due donne lo fissarono.

«L’ora?» ripetè una di esse.