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La donna con il vestito giallo canarino, senza lasciare il tegame, guardò l’orologio da polso: «Oh, sono le undici meno venti».

Avevano un ritardo di due ore e quaranta minuti. Non potevano perdere tempo per cercare una macchina, soprattutto ora che ce n’era una a disposizione davanti a loro e per giunta con le chiavi. Klietmann non avrebbe esitato a uccidere le due donne per impadronirsi dell’auto. Non avrebbe però potuto abbandonare i corpi in quel parcheggio, poiché appena fossero stati ritrovati sarebbe scattato l’allarme e subito dopo la polizia avrebbe ricercato l’auto: una seccante complicazione. Avrebbe dovuto infilare i corpi nel bagagliaio e portarli con sé.

La donna con il vestito blu chiese: «Perché siete venuti da noi? Siete angeli?»

Klietmann si chiese se non fosse arteriosclerotica. Angeli in doppiopetto? Poi ricordò che erano nelle vicinanze di una chiesa, e che la loro apparizione era stata in un certo senso miracolosa, perciò non era poi così assurdo che la poveretta pensasse che fossero angeli, indipendentemente dall’abbigliamento. Forse non sarebbe stato necessario ucciderle, dopotutto. Klietmann rispose: «Sì, signora. Siamo angeli. Dio ha bisogno della sua auto».

La donna con il vestito giallo chiese: «La mia Toyota

«Sì, signora.» La portiera era spalancata e Klietmann appoggiò sul sedile la sua valigetta. «Il Signore ci ha incaricati di una missione urgente. Con i suoi occhi lei ci ha visto uscire dal cancello dorato del Paradiso. Abbiamo bisogno di un mezzo di trasporto.»

Von Manstein e Bracher nel frattempo si erano portati sull’altro lato della Toyota, avevano aperto le portiere ed erano saliti in macchina.

La donna in blu disse: «Shirley, sei stata scelta per offrire la tua macchina».

«Il Signore gliela restituirà», annunciò Klietmann, «quando il nostro compito sarà terminato.» Si ricordò della carenza di benzina che affliggeva il suo mondo devastato dalla guerra e non essendo sicuro di quale fosse la situazione nel 1989, aggiunse: «Oh, ovviamente non deve preoccuparsi per la benzina, la macchina le sarà restituita con il serbatoio pieno e lo sarà per sempre. Come la moltiplicazione dei pani e dei pesci».

«Ma nella macchina c’è un’insalata di patate che abbiamo preparato per la chiesa», esclamò la donna in giallo.

Felix Hubatsch aveva già aperto la portiera anteriore e aveva trovato l’insalata di patate. Tirò fuori il recipiente dalla macchina e lo depose ai piedi della donna.

Klietmann si mise al volante richiuse la portiera, aspettò che Hubatsch salisse, mise in moto e si allontanò dal parcheggio della chiesa. Quando guardò dallo specchietto retrovisore, un attimo prima di immettersi nel traffico, vide che le due vecchiette erano ancora nella stessa posizione, con in mano i tegami, lo sguardo fisso su di loro.

10

Giorno dopo giorno perfezionarono i calcoli e Stefan esercitava il braccio e la spalla sinistra più che poteva, cercando di evitare che si irrigidisse durante la guarigione e nella speranza di mantenere il più possibile il tono muscolare. Sabato pomeriggio, 21 gennaio, mentre la loro prima settimana a Palm Springs volgeva al termine, completarono i calcoli e ottennero le esatte coordinate spazio-temporali che sarebbero servite a Stefan per effettuare i due viaggi una volta ritornato nel 1944.

«Adesso ho solo bisogno di un po’ di tempo per riprendermi», annunciò Stefan, allontanandosi dal computer, mentre esercitava il braccio sinistro tracciando dei cerchi nell’aria.

Laura disse: «Sono passati undici giorni da quando ti hanno sparato. Ti fa ancora male?»

«Un po’. Ma è un dolore sordo, profondo, e non lo sento sempre. Ma la forza non mi è tornata. Forse è meglio che aspetti ancora qualche giorno. Se mi sento in forma tornerò all’istituto venerdì prossimo, il 27. Anche prima, se i progressi sono più rapidi, ma certamente non più tardi di venerdì prossimo.»

Quella notte, Laura si svegliò da un incubo in cui si vedeva confinata, ancora una volta, su una sedia a rotelle e nel quale il destino, sotto forma di un uomo senza volto con un vestito nero, era impegnato a cancellare Chris dalla realtà, come se il bambino fosse solo un disegno a matita su un pannello. Era madida di sudore e per un po’ rimase seduta sul letto, l’orecchio teso a cogliere dei rumori nella casa, ma non udì nulla, tranne il respiro lento e regolare di suo figlio accanto a lei.

Più tardi, incapace di prendere sonno, rivolse il suo pensiero a Stefan Krieger. Era un uomo interessante, estremamente autonomo e a volte difficile da capire.

Da quando, una settimana prima, le aveva spiegato che era diventato il suo Custode perché si era innamorato di lei e voleva migliorare la vita che le era stata destinata, Stefan non aveva più parlato d’amore. Non aveva ribadito i suoi sentimenti per lei, non aveva giocato la parte dello spasimante che si strugge d’amore. Le aveva confidato i suoi sentimenti e ora le dava il tempo necessario per pensare e per conoscerlo prima di decidere. Laura era quasi certa che quell’uomo avrebbe atteso anni, se fosse stato necessario, e senza lamentarsi. Aveva acquisito quella pazienza che nasce dalle grandi avversità e questa era una cosa che Laura comprendeva.

Era un uomo tranquillo, per la maggior parte del tempo assorto nei suoi pensieri, a volte estremamente malinconico, stati d’animo che Laura attribuì agli orrori cui aveva assistito in quella lontanissima Germania. Forse quel fondo di tristezza aveva le sue radici in atti che egli stesso aveva compiuto e di cui ora si pentiva, atti per i quali sentiva che non ci sarebbe mai stata espiazione.

Dopotutto, lui stesso aveva detto che gli era riservato un posto all’inferno. Non le aveva rivelato altro oltre a ciò che le aveva raccontato del suo passato in quella stanza di motel dieci giorni prima.

Laura però aveva la sensazione che avesse voglia di confessarle tutto nei minimi dettagli, sia le cose negative, sia quelle che gli avrebbero fatto guadagnare la sua stima. Non le avrebbe nascosto nulla. Stava semplicemente aspettando che lei decidesse che cosa veramente pensava di lui e se, in ogni caso, volesse conoscere di più.

Malgrado il profondo e cupo dolore che lo affliggeva, era dotato di un pacato senso dell’umorismo, inoltre era bravo con Chris e lo faceva divertire e Laura gliene era grata. Il suo sorriso era intenso e dolce.

Non lo amava, però, e pensò che non avrebbe mai potuto. Ma si chiese come potesse esserne così sicura. Rimase per un paio d’ore assorta nei suoi pensieri, nella stanza avvolta dall’oscurità, finché alla fine ebbe il sospetto che la ragione per la quale non poteva amarlo era che Stefan non era Danny. Danny era stato un uomo unico e accanto a lui aveva conosciuto un amore perfetto. Stefan Krieger, perciò, nel ricercare il suo affetto, avrebbe dovuto competere per sempre con un fantasma. Laura sentiva che fra di loro c’era della simpatia, ma era anche tristemente conscia della propria solitudine. In cuor suo voleva essere amata e amare, ma nella sua relazione con Stefan vedeva unicamente che la passione di lui non sarebbe mai stata ricambiata, e che le sue speranze non sarebbero mai state esaudite.

Accanto a lei, Chris mormorò nel sonno, poi sospirò.

Ti voglio bene, tesoro, pensò. Ti adoro.

Suo figlio, l’unico che avrebbe mai potuto avere, era ora il centro della sua esistenza e per l’immediato futuro la ragione principale per cui vivere. Se fosse accaduto qualcosa a Chris, Laura sapeva che non sarebbe mai più stata in grado di trovare la forza di vivere. Questo mondo in cui l’aspetto tragico e comico si fondeva in tutte le cose, sarebbe diventato per lei esclusivamente un luogo di tragedia, troppo cupo e triste per essere sopportato.