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Ferma accanto alla Buick, sotto il sole del deserto, Laura guardò Stefan che si caricava sulla spalla l’Uzi.

«Mi chiedo se sia necessario», disse Stefan. «Se il gas nervino agirà come dovrebbe, probabilmente non avrò neppure bisogno della pistola, per non parlare di un mitragliatore.»

«Prendilo», ordinò Laura in tono risoluto.

Stefan annuì. «Hai ragione. Chi può dire che cosa succederà?»

«Peccato che tu non abbia anche un paio di granate», osservò Chris. «Le granate andrebbero benissimo.»

«Speriamo che la situazione laggiù non diventi pericolosa a tal punto», replicò Stefan.

Tolse la sicura della pistola e la impugnò nella mano destra. Con la sinistra afferrò la bomboletta di Vexxon per la maniglia, saggiandone il peso per vedere come reagiva la spalla ferita. «Mi fa un po’ male», disse. «Ma è un dolore sopportabile, ce la farò senza problemi.»

Avevano tagliato il filo che teneva bloccato il gancio della bomboletta, consentendo in questo modo l’uso manuale del Vexxon. Stefan infilò il dito nell’anello. Una volta terminata la missione nel 1944, avrebbe intrapreso l’ultimo viaggio di ritorno nel 1989 e il piano prevedeva che sarebbe arrivato solo cinque minuti dopo la partenza. Stefan disse: «Ci rivedremo presto. Quasi non vi accorgerete che me ne sono andato».

Improvvisamente Laura ebbe paura che non sarebbe mai più tornato. Gli accarezzò il volto e lo baciò su una guancia. «Buona fortuna, Stefan.»

Non era il bacio di una donna innamorata e neppure una promessa d’amore, era solo il bacio affettuoso di un’amica, il bacio di una donna che doveva eterna gratitudine, ma che non poteva concedere il suo cuore. Stefan lo sapeva, glielo leggeva negli occhi. Nonostante qualche momento di allegria, era sempre malinconico e Laura avrebbe voluto renderlo felice. Le dispiaceva di non riuscire nemmeno a sforzarsi di provare qualcosa di più per lui; ma sapeva bene che a Stefan non sarebbe sfuggita una simile finzione.

«Voglio che ritorni», mormorò Laura. «Veramente. Lo desidero con tutto il cuore.»

«Questo è sufficiente», disse. Poi rivolto a Chris: «Abbi cura di tua madre mentre sono via».

«Cercherò», promise Chris. «Ma se la cava abbastanza bene da sola.»

Laura strinse a sé il bambino.

Stefan sollevò in aria il cilindro del Vexxon. Tirò l’anello.

Mentre il gas fuoriusciva con un suono simile al sibilo di tanti serpenti, Laura fu colta all’improvviso dal panico. Ebbe il terrore che le pillole di antidoto non li avrebbero protetti dal gas tossico, che sarebbero crollati a terra, in preda a spasmi e convulsioni e che sarebbero morti nel giro di trenta secondi. Il Vexxon era incolore, ma non inodore o insapore. Anche all’aria aperta, dove si disperdeva rapidamente, Laura sentì un odore dolciastro di albicocche e un sapore acido, nauseante.

Ma per quanto percepisse un odore e un sapore, non avvertì alcun effetto devastante.

Stefan portò la mano destra in cui impugnava la pistola all’altezza della cintura, infilò un dito sotto la camicia e premette tre volte il pulsante.

Von Manstein fu il primo a intravedere l’auto nera ferma in quella vasta distesa di sabbia bianca e pallida roccia, qualche centinaio di metri a est della strada. Richiamò subito l’attenzione degli altri.

Il tenente Klietmann non poteva certo individuare la marca della macchina così da lontano, ma era sicuro che si trattasse di quella che stavano cercando. Accanto all’auto c’erano tre persone. Non erano che sagome indistinte a quella distanza, ma Klietmann riuscì comunque a distinguere due adulti e un bambino. Improvvisamente uno dei due adulti svanì nel nulla. Non era un’illusione ottica. Se n’era andato e Klietmann sapeva che doveva trattarsi di Stefan Krieger.

«È tornato indietro!» esclamò Bracher al colmo dello stupore.

«Ma perché mai ha deciso di tornare indietro?» si chiese von Manstein. «Quando tutti all’istituto vogliono la sua testa?»

«C’è di peggio», disse Hubatsch, che era seduto dietro il tenente. «Krieger è arrivato nel 1989 molto prima di noi, perciò quella cintura deve averlo riportato allo stesso punto, al giorno in cui Kokoschka gli ha sparato, esattamente undici minuti dopo. Tuttavia sappiamo per certo che egli non fece mai ritorno quel giorno. Ma che diavolo sta succedendo qui?»

Anche Klietmann era preoccupato, ma non aveva tempo per cercare di comprendere ciò che stava accadendo. Il suo compito era di uccidere la donna e suo figlio, se non Krieger. «State pronti», disse ai suoi uomini e cominciò a rallentare alla ricerca di un passaggio che gli consentisse di scendere dalla banchina.

Hubatsch e Bracher erano già pronti, avevano tirato fuori i loro fucili a Palm Springs. L’ultimo ad armarsi fu von Manstein.

A un certo punto il livello del terreno incontrò quello della strada. Klietmann abbandonò il selciato, superò la banchina e s’inoltrò nel deserto, puntando direttamente verso la donna e il bambino.

Dopo che Stefan ebbe attivato la cintura, l’aria si fece pesante e Laura si sentì oppressa da un enorme, invisibile peso. Fece una smorfia di disgusto quando nell’aria si diffuse l’odore di cavi elettrici incandescenti e isolante bruciato, a cui ben presto si sostituì l’odore dell’ozono e del Vexxon. La pressione dell’aria aumentò, la miscela di odori si fece più intensa e Stefan lasciò il suo mondo. Per un istante sembrò che non ci fosse aria a sufficienza per respirare, ma il temporaneo vuoto fu seguito da una folata di vento caldo pregna del debole profumo del deserto.

Tenendosi stretto a Laura, Chris esclamò: «Accidenti! Hai visto che roba, mamma? Non è fantastico?»

Laura non rispose perché aveva notato una macchina bianca che aveva abbandonato la strada e stava avanzando nel deserto. Aveva puntato nella loro direzione e ora stava avanzando a tutta velocità.

«Chris, vai davanti alla macchina. Stai giù!»

Il bambino vide la macchina e obbedì senza discutere.

Laura si precipitò verso la portiera aperta della Buick e afferrò uno dei fucili mitragliatori posati sul sedile. Si appostò sul retro dell’auto, accanto al bagagliaio aperto, di fronte alla macchina in arrivo.

Era a meno di duecento metri e si stava avvicinando a tutta velocità. I raggi del sole si riflettevano sulla lamiera cromata, scintillavano sul parabrezza.

Laura considerò la possibilità che gli occupanti non fossero agenti tedeschi provenienti dal 1944, ma persone innocenti. Ma era un’ipotesi troppo improbabile.

Il destino lotta per riaffermare il modello predestinato.

No, dannazione, no.

Quando l’auto fu a un centinaio di metri, Laura fece partire due raffiche e vide che le pallottole avevano perforato almeno in due punti il parabrezza. Il resto del vetro si incrinò all’istante.

L’auto — una Toyota — compì un intero giro su se stessa, poi girò di altri novanta gradi, sollevando nuvole di polvere e sradicando un paio di cespugli ancora verdi. Si arrestò a una sessantina di metri, l’estremità anteriore puntata verso nord.

Dall’altra parte le portiere si spalancarono e Laura sapeva che gli occupanti stavano sgattaiolando fuori dall’auto, senza che lei potesse vederli. Aprì nuovamente il fuoco, non nella speranza di colpirli attraverso la Toyota, ma con l’intenzione di forare il serbatoio della benzina. Sapeva che una scintilla, provocata dall’urto di una pallottola contro la lamiera di metallo, avrebbe incendiato la benzina e gli uomini che si nascondevano contro la fiancata dell’auto sarebbero così stati avvolti dalle fiamme. Riuscì solo a svuotare il caricatore dell’Uzi, senza provocare alcun incendio, anche se quasi certamente aveva svuotato il serbatoio.