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Fece attenzione a non superare il punto di trasmissione. Se fosse stato trasportato all’improvviso nel vuoto dell’infinito spazio, a sei miliardi di anni, sarebbe morto prima di avere la possibilità di premere il pulsante sulla sua cintura e tornare al laboratorio.

Dopo aver eliminato i cinque cadaveri e ripulito ogni traccia, Stefan era esausto. Fortunatamente il gas nervino non aveva lasciato residui apparenti; non c’era quindi bisogno di pulire ogni superficie nell’istituto. La spalla gli doleva come nei giorni immediatamente successivi al ferimento.

Ma era riuscito a occultare in modo intelligente le sue tracce. Al mattino, tutto avrebbe fatto pensare che Kokoschka, Hoepner, Eicke, Schmauser e due agenti della Gestapo avessero deciso che il Terzo Reich era ormai destinato a soccombere, e avessero scelto di trovare rifugio in un futuro in cui avrebbero potuto trovare pace e ricchezza.

Si ricordò degli animali nel sotterraneo. Se li avesse lasciati nelle gabbie, sarebbero sicuramente stati eseguiti esami per scoprire che cosa li avesse uccisi e probabilmente i risultati avrebbero gettato dei dubbi sulla teoria che Kokoschka e gli altri fossero fuggiti attraverso il tunnel. Ancora una volta, quindi, il principale sospettato sarebbe stato Stefan Krieger. Meglio far sparire gli animali. Certo sarebbe stato un mistero, ma almeno non avrebbe portato direttamente alla verità.

Il dolore alla spalla si fece lancinante mentre avvolgeva gli animali nei camici puliti e li legava con una corda. Spedì anche loro a sei miliardi di anni nel futuro, ma senza cinture. Lo stesso destino fu riservato anche alla bomboletta vuota di gas nervino.

Finalmente era pronto a intraprendere i due viaggi cruciali che sperava avrebbero portato alla distruzione dell’istituto e alla sconfitta certa della Germania nazista. Si avviò verso il quadro di programmazione del tunnel e da una tasca dei jeans estrasse un foglietto ripiegato, dov’erano riportati i risultati di giorni di calcoli che lui e Laura avevano eseguito sul computer nella casa di Palm Springs.

Se fosse stato in grado di tornare dal 1989 con una quantità di esplosivo sufficiente a ridurre l’istituto in macerie fumanti, lo avrebbe fatto. Ma, oltre alla pesante bombola di Vexxon, allo zainetto pieno di libri, alla pistola e all’Uzi, non avrebbe potuto trasportare più di venti, venticinque chili di plastico, una quantità insufficiente per la realizzazione di quell’obiettivo. Gli esplosivi che aveva sistemato nell’attico e nel sotterraneo erano stati rimossi da Kokoschka un paio di giorni prima, ora locale, ovviamente. Avrebbe potuto tornare dal 1989 con un paio di taniche di benzina, cercando di distruggere l’edificio con un incendio; ma gran parte dei documenti relativi alla ricerca erano rinchiusi in schedari resistenti al fuoco, ai quali nemmeno lui poteva accedere. Solo un’esplosione, perciò, avrebbe potuto scardinarli, esponendo il contenuto alle fiamme.

Da solo non avrebbe potuto distruggere l’istituto.

Ma sapeva chi poteva aiutarlo.

Con i dati ottenuti grazie al computer si accinse a riprogramrnare il tunnel che lo avrebbe portato nel futuro, ma a soli tre giorni e mezzo da quella sera del 16 marzo. Dal punto divista geografico, sarebbe arrivato sul suolo britannico, nel cuore di un vasto rifugio sotterraneo, sotto gli uffici governativi che dominavano St. James’s Park, vicino a Storey’s Gate, dove, in occasione del Blitz, erano stati costruiti uffici e quartieri generali a prova di bomba destinati al primo ministro e agli altri funzionari e dove era ancora ospitato il comando militare. Per l’esattezza, Stefan sperava di arrivare in una particolare sala conferenze alle sette e mezzo del mattino. Tanta precisione era possibile grazie alle conoscenze e alla tecnologia disponibili nel 1989.

Completamente disarmato, con lo zaino pieno di libri sulle spalle, Stefan entrò nel tunnel, attraversò il punto di trasmissione e si materializzò in un angolo di una sala conferenze al centro della quale c’era un grande tavolo circondato da dodici sedie. Dieci di queste erano vuote. Solo due uomini erano presenti. Il primo era un segretario in uniforme con una penna in una mano e nell’altra un blocco per appunti; il secondo uomo, impegnato nella dettatura di un messaggio urgente, era Winston Churchill.

16

Mentre si rannicchiava contro la Toyota, Klietmann giunse alla conclusione che il loro abbigliamento non poteva essere più inadatto per quella missione. I colori dominanti nel deserto erano il bianco e il beige, il rosa pallido e il rosso arancio, con pochissima vegetazione e solo qualche formazione rocciosa poteva fornire un riparo. Con i vestiti scuri, appena avessero tentato di aggirare la macchina e prendere la donna alle spalle, sarebbero stati visibili come scarafaggi su una torta nuziale.

Hubatsch, che si era alzato per dirigere delle brevi raffiche contro la Buick, si riabbassò. «È andata a nascondersi davanti con il bambino. Non riesco più a vederla.»

«Le autorità locali arriveranno fra poco», disse Bracher, guardando verso la Statale 111 e poi verso la direzione in cui la macchina della polizia era volata fuori strada.

«Toglietevi le giacche», ordinò Klietmann, liberandosi della sua. «Le camicie bianche saranno meno visibili. Bracher, tu resta qui. Cerca di evitare che quella puttana torni da questa parte. Von Manstein e Hubatsch, voi cercate di aggirarla sul lato destro. Mantenete una distanza di sicurezza e non lasciate un riparo prima di aver individuato quello successivo. Io andrò a nord e poi a est, sulla sinistra.»

«Dobbiamo ucciderla senza cercare di scoprire ciò che Krieger ha in mente?» chiese Bracher.

«Sì», rispose Klietmann senza esitazione. «È troppo armata per essere presa viva. E comunque, scommetto sul mio onore che Krieger tornerà da loro. Tornerà qui attraverso il tunnel fra qualche minuto e se per allora avremo già eliminato la donna potremo occuparci di lui. Ora andate. Andate.»

Hubatsch, seguito dopo qualche secondo da von Manstein, lasciò il suo nascondiglio dietro la Toyota; si muoveva velocemente, tenendosi basso, in direzione sud-sudest.

Il tenente Klietmann andò verso nord, prendendo la sua mitragliatrice. Correva chino, in direzione del misero riparo fornito da un cespuglio disordinato su cui si erano impigliati dei fasci di erba.

Laura si alzò leggermente per controllare la situazione e proprio in quel mentre vide i due uomini in camicia bianca e pantaloni neri che si stavano allontanando a tutta velocità dalla Toyota. Venivano verso di lei ma stavano girando anche verso sud, ovviamente con l’intenzione di circondarla. Scattò in piedi e fece partire una breve raffica contro il primo uomo, che si gettò dietro una formazione rocciosa e scomparve alla vista.

Udendo i colpi, il secondo uomo si era appiattito in una depressione che non lo nascondeva completamente, ma l’angolo di tiro e la distanza facevano di lui un difficile bersaglio. E Laura non intendeva sprecare altri colpi.

Inoltre, nonostante fosse riuscita a vedere dove si era nascosto il secondo uomo, un terzo aprì il fuoco su di lei da dietro la Toyota. Le pallottole colpirono la Buick, mancandola di un soffio. Fu costretta ad abbassarsi di nuovo. Stefan sarebbe tornato fra tre, quattro minuti al massimo. Non era molto. Ma sembrava un’eternità.

Chris era seduto con la schiena contro il paraurti, le braccia attorno alle gambe ripiegate contro il petto. Tremava visibilmente.

«Tieni duro, figliolo», gli sussurrò Laura.