Chris la guardò, ma non disse nulla. Neppure nei momenti peggiori di quelle ultime due settimane, l’aveva mai visto così scoraggiato. Il suo volto era pallido, indifferente. Doveva aver compreso che quel gioco a rimpiattino non era mai stato un gioco per nessuno tranne che per lui. Che nulla era semplice come nei film e questa spaventosa intuizione aveva impresso nei suoi occhi un’espressione di freddo distacco che impauri Laura.
«Tieni duro», gli ripetè. Poi lo superò camminando carponi e si appostò accanto all’altro parafango, dalla parte del guidatore, dove si rannicchiò per studiare la distesa di deserto a nord.
Temeva che altri uomini la stessero circondando da quel lato. Non poteva permettere che questo succedesse perché in quel caso la Buick non sarebbe stata di alcuna utilità come riparo e non ci sarebbe stato altro luogo dove rifugiarsi tranne che nell’aperto deserto, dove lei e Chris sarebbero stati uccisi prima di poter fare cinquanta metri. La Buick rimaneva l’unico rifugio per loro. Doveva tenere quella macchina fra lei e loro.
Non riusciva a scorgere nessuno sul fianco nord. Il terreno in quella direzione non era uniforme, presentava qualche protuberanza rocciosa, piccole dune di sabbia bianca e senza dubbio molte depressioni a misura d’uomo che dalla sua posizione non erano visibili, punti dove un uomo poteva già essersi nascosto. Ma le uniche cose che si muovevano in quella distesa erano tre fasci di erba; rotolavano lentamente, in modo irregolare, nella tiepida e incostante brezza.
Tornò nuovamente sull’altro lato, passando davanti a Chris, in tempo per vedere i due uomini che in direzione sud si stavano nuovamente muovendo. Erano a una trentina di metri da lei e stavano avvicinandosi a una velocità spaventosa. Il primo correva chinato, zigzagando, mentre l’altro era più spavaldo, forse pensava che l’attenzione di Laura si sarebbe focalizzata sul suo compagno.
Ma Laura fece esattamente il contrario. Si alzò, si sporse dalla Buick quanto era necessario, tenendosi sempre riparata e fece partire una breve raffica. L’uomo nascosto dietro la Toyota aprì nuovamente il fuoco su di lei, cercando di coprire i suoi compagni, ma Laura riuscì a colpire il secondo uomo tanto che questi perse l’equilibrio e venne scaraventato su un ispido cespuglio di manzanita.
Anche se non era morto, era chiaramente fuori gioco e, a giudicare dalle sue urla strazianti, senza dubbio era stato colpito mortalmente.
Si abbassò nuovamente, sotto la linea del fuoco e in quell’attimo si accorse che stava sogghignando compiaciuta. Il dolore e il terrore che avvertiva nelle grida di quell’uomo le davano un immenso piacere. La sua reazione selvaggia, la sua sete di sangue e di vendetta la lasciarono sbalordita, ma si aggrappò a quell’istinto perché ebbe la sensazione che avrebbe lottato meglio e in modo più intelligente, mentre era sotto la spinta di quella collera primordiale.
Uno in meno. Forse ce n’erano solo altri due da eliminare.
E presto Stefan sarebbe ritornato.
Non importava quanto tempo gli sarebbe occorso per compiere il suo lavoro nel 1944, Stefan l’avrebbe raggiunta e sarebbe entrato nella mischia fra due, tre minuti al massimo.
17
Il primo ministro stava proprio guardando in quella direzione quando Stefan si materializzò mentre l’uomo in uniforme, un sergente, si accorse di lui solo in seguito alla scarica di energia elettrica che accompagnò il suo arrivo. Attorno a Stefan si agitavano migliaia di luminosissimi serpentelli azzurrognoli, come se il suo stesso corpo li avesse generati. Forse, là fuori, il cielo era squarciato da lampi luminosi e scosso da tremendi boati, ma parte dell’energia impiegata nel viaggio nel tempo si stava scaricando proprio in quella stanza, uno spettacolo sconvolgente che aveva fatto scattare in piedi l’uomo in uniforme un po’ per la sorpresa, un po’ per la paura. I sibilanti serpenti di elettricità balenarono lungo il pavimento, si arrampicarono sulle pareti, si fusero brevemente con il soffitto, per poi svanire, lasciando tutti illesi. L’unico danno era stato arrecato a una grande carta dell’Europa appesa a una parete, che era rimasta bruciacchiata in alcuni punti ma non aveva preso fuoco.
«Guardie!» gridò il sergente. Era disarmato, ma evidentemente era sicuro che qualcuno avrebbe udito quel richiamo e sarebbe subito accorso, perché lo ripetè solo una volta e non fece una mossa verso la porta. «Guardie!»
«Signore. Per favore», disse Stefan rivolgendosi a Churchill e ignorando completamente il sergente, «non voglio fare del male a nessuno.»
La porta si spalancò e due soldati inglesi irruppero nella stanza. Uno impugnava una rivoltella, l’altro un fucile mitragliatore automatico.
Stefan parlò in tono concitato, temendo che gli potessero sparare da un momento all’altro. «Il futuro dipende da lei, signore. Deve ascoltarmi. La prego.»
In mezzo a tutta quella eccitazione, il primo ministro rimase seduto nella poltrona, all’altro capo del tavolo. A Stefan era parso di vedere un barlume di sorpresa e forse persino un brivido di paura sul volto di quel grande uomo, ma non avrebbe potuto giurarci. Adesso il primo ministro aveva un’aria assorta e impassibile, come in tutte le fotografie che Stefan aveva avuto occasione di vedere. Alzò una mano verso le guardie. «Aspettate un momento.» Quando il sergente cominciò a protestare, il primo ministro replicò: «Se avesse avuto intenzione di uccidermi, certamente l’avrebbe già fatto». Rivolgendosi a Stefan, disse: «E devo dire, signore, che la sua è stata una notevole entrata. Più drammatica di qualsiasi altra apparizione che il giovane Olivier abbia mai fatto».
Stefan non poté fare a meno di sorridere. Fece qualche passo in avanti, ma quando si mosse verso il tavolo vide le guardie irrigidirsi, perciò si fermò e parlò da una certa distanza. «Signore, proprio per il modo in cui mi sono presentato, lei avrà certamente capito che non sono un messaggero comune e che ciò che devo dirle può essere… insolito. E anche qualcosa di estremamente sensazionale e lei potrebbe anche non desiderare che le mie informazioni giungano all’orecchio di qualcun altro.»
«Se lei si aspetta che la lasciamo solo con il primo ministro», esclamò il sergente, «lei… lei è pazzo!»
«Potrebbe essere pazzo», replicò il primo ministro, «ma ha del coraggio. Questo deve ammetterlo, sergente. Perquisitelo, e se non troverete armi, concederò a questo gentiluomo, un po’ del mio tempo, come desidera.»
«Ma, signore, non sa nemmeno chi sia. Non sa che cosa sia. Il modo in cui è piombato nella…»
Churchill lo zittì. «So perfettamente com’è arrivato, sergente. Anzi, vorrei ricordarle che solo io e lei lo sappiamo. Desidero che lei non faccia parola con nessuno di quanto ha visto. La consideri un’informazione militare top secret.»
Umiliato, il sergente rimase in disparte, fissando Stefan con aria torva, mentre le guardie lo perquisivano.
Non trovarono armi, solo i libri contenuti nello zainetto e alcuni fogli di carta che Stefan teneva nelle tasche. Gli restituirono i fogli e ammassarono i libri al centro del lungo tavolo. Stefan si divertì vedendo che non avevano neppure notato la natura dei volumi che avevano maneggiato.
Con riluttanza il sergente seguì le guardie fuori dalla stanza, come il primo ministro aveva ordinato. Quando la porta venne richiusa, Churchill fece cenno a Stefan di accomodarsi sulla sedia che il sergente aveva liberato. Rimasero in silenzio per qualche minuto, scrutandosi l’un l’altro con interesse. Poi, il primo ministro indicò una teiera fumante riposta su un vassoio. «Tè?»
Venti minuti più tardi, quando Stefan era solo a metà della versione sintetica della sua storia, il primo ministro chiamò il sergente. «Rimarremo qui ancora un po’, sergente, devo posticipare la riunione di un’ora, mi dispiace. Faccia in modo che tutti ne siano informati e porga loro le mie scuse.»