Hitler ruotò nella sua poltrona girevole per guardare in faccia Stefan. Al pari di Churchill non mostrò alcuna sorpresa. A differenza del suo nemico, era a conoscenza dell’istituto e sapeva in che modo si era materializzato in quella stanza. Inoltre conosceva Stefan. Sapeva che era il figlio di un leale e vecchio sostenitore del regime e che era un ufficiale delle SS che da lungo tempo lavorava per la causa.
Anche se Stefan non si era aspettato di leggere sorpresa sul volto di Hitler, aveva almeno sperato che la paura alterasse i suoi lineamenti da avvoltoio. Dopotutto, se il Führer aveva letto i rapporti della Gestapo sugli ultimi avvenimenti all’istituto — cosa che aveva sicuramente fatto — sapeva che Stefan era accusato dell’omicidio di Penlovski, Januskaya e Volkaw, avvenuto sei giorni prima, e che dopo era fuggito nel futuro. Probabilmente pensava che Stefan avesse intrapreso questo viaggio per uccidere anche lui. Tuttavia, se era spaventato, controllava bene la sua paura. Rimanendo seduto, aprì con tutta calma il cassetto della scrivania e tirò fuori una Luger.
Anche se le scariche elettriche non erano ancora esaurite, Stefan alzò il braccio nel saluto nazista e con finta esaltazione disse: «Heil Hitler!» Per dimostrare immediatamente che le sue intenzioni non erano ostili, cadde in ginocchio, come se si stesse genuflettendo davanti all’altare di una chiesa e chinò il capo, facendo di sé un bersaglio facile e sottomesso. «Mein Führer, sono qui per discolparmi e per mettervi in guardia circa l’esistenza di traditori all’interno del contingente della Gestapo responsabile della sicurezza all’istituto.»
Per un lungo momento il dittatore rimase in silenzio.
Dall’alto, le onde d’urto provocate dal bombardamento notturno penetravano nella terra, attraverso gli spessi muri di cemento armato, e nel bunker si udiva un rumore continuo, sordo e sinistro. Ogni volta che una bomba cadeva nelle vicinanze, i tre dipinti, sottratti al Louvre dopo l’occupazione della Francia, sbattevano contro le pareti.
«Si alzi, Stefan», disse Hitler. «Si sieda lì.» Indicò una poltrona di pelle marrone, uno dei cinque componenti che arredavano il piccolo studio senza finestre. Appoggiò la Luger sulla scrivania, ma a portata di mano. «Non solo per il suo onore, ma anche per quello di suo padre e delle SS, spero che lei sia innocente come dichiara.»
Stefan parlò con tono energico, perché sapeva che Hitler ammirava molto la forza. Ma anche con ostentata reverenza, come se credesse veramente di essere di fronte all’uomo che impersonava lo spirito stesso del popolo tedesco, quello passato, quello presente e quello futuro. Ma più che dalla forza, Hitler era incantato dal timore riverente con cui certi suoi subordinati lo trattavano. Era una linea sottile da seguire, ma del resto non era la prima volta che Stefan incontrava quell’uomo. Sapeva come ingraziarsi quel pazzo megalomane, quella vipera nascosta sotto sembianze umane.
«Mein Führer, non sono stato io a uccidere Vladimir Penlovski, Januskaya e Volkaw. È stato Kokoschka. Era un traditore del Reich. Io l’ho sorpreso nella stanza dell’archivio, all’istituto, subito dopo che aveva sparato a Januskaya e Volkaw. In quella stessa stanza sparò anche a me.» Stefan si portò la mano alla spalla sinistra. «Posso mostrarle la ferita se desidera. Colpito, fuggii nel laboratorio principale. Ero sconvolto. Non sapevo quanti all’istituto fossero coinvolti nel suo tradimento. Non sapendo bene a chi rivolgermi, mi rimaneva un’unica possibilità per salvarmi. Fuggii attraverso il tunnel nel futuro, prima che Kokoschka potesse raggiungermi e finirmi.»
«Il rapporto del colonnello Kokoschka è alquanto diverso. Egli sostiene di averle sparato mentre stavate fuggendo attraverso il tunnel, dopo che lei aveva ucciso Penlovski e gli altri.»
«Se fosse così, mein Führer, sarei forse tornato qui per cercare di discolparmi? Se fossi un traditore che ripone la sua fiducia più nel futuro che in lei, non sarei forse rimasto in quel futuro, dov’ero al sicuro, piuttosto che tornare qui?»
«Ma era veramente al sicuro, laggiù, Stefan?» chiese Hitler sorridendo maliziosamente. «Se non ricordo male, due squadre della Gestapo prima, e in un secondo tempo una delle SS furono inviate sulle sue tracce in quell’era lontana.»
L’accenno alla squadra delle SS scosse Stefan, perché intuì che doveva trattarsi del gruppo che era arrivato a Palm Springs meno di un’ora prima dalla sua partenza, il gruppo che aveva provocato quei lampi nel limpido cielo del deserto. All’improvviso la sua preoccupazione per Laura e Chris si fece maggiore, perché l’abnegazione e il fanatismo omicida delle SS erano famosi.
Comprese anche che Hitler non era stato informato che le squadre della Gestapo erano state eliminate da una donna. Pensava che Stefan le avesse affrontate da solo, non sapendo che Stefan era rimasto in coma durante quegli scontri. Ciò fece il suo gioco. «Mein Führer, è vero, ho affrontato gli uomini inviati sulle mie tracce e lo feci in tutta coscienza perché sapevo che erano traditori, che avevano intenzione di uccidermi perché non potessi ritornare da lei e avvertirla che all’interno dell’istituto c’era, e c’è tuttora, un covo di sovversivi. Da allora Kokoschka è scomparso, dico bene? E così cinque uomini all’istituto, se ho ben compreso. Non avevano fiducia nel futuro del Reich e temendo che i loro ruoli negli omicidi del 15 marzo sarebbero presto stati scoperti, fuggirono nel futuro, per nascondersi in un’altra era.»
Stefan tacque, affinchè Hitler assimilasse quanto aveva detto.
Mentre le esplosioni cessavano, nel momento di calma Hitler lo studiò intensamente. L’attento esame di quest’uomo era diretto quanto lo era stato quello di Winston Churchill, ma non vi era nulla della chiarezza, della franchezza e della stima reciproca che aveva caratterizzato l’atteggiamento del primo ministro. Al contrario, Hitler valutava Stefan come un dio scruta una delle sue creature per trovarvi indicazione di un mutamento pericoloso. E questo era un dio malvagio che non aveva amore per le sue creature. Amava solo la realtà della loro obbedienza.
Alla fine chiese: «Se ci sono dei traditori all’interno dell’istituto, qual è il loro obiettivo?»
«Quello di ingannarla», rispose Stefan. «Presentano informazioni false sul futuro, nella speranza di incoraggiarla a commettere gravi errori militari. Le hanno detto che nell’ultimo anno e mezzo di guerra, praticamente tutte le sue decisioni militari si dimostreranno fallimentari, ma questo non è vero. Così come si presenta ora il futuro, lei perderà la guerra con uno stretto margine. Apportando qualche cambiamento alle sue strategie, lei potrà vincere.»
Il volto di Hitler si indurì, gli occhi si fecero fessure, non perché diffidasse di Stefan, ma perché improvvisamente sospettava di tutti coloro che all’istituto gli avevano detto che avrebbe commesso errori militari fatali nei giorni a venire. Stefan lo stava incoraggiando a credere nuovamente nella sua infallibilità e quel folle era semplicemente troppo desideroso di fidarsi una volta di più del suo genio.
«Con qualche piccolo cambiamento nelle mie strategie?» chiese Hitler. «E quali potrebbero essere questi cambiamenti?»
Stefan riassunse rapidamente sei modifiche nella strategia militare che sosteneva sarebbero state decisive in alcune battaglie chiave. Quei cambiamenti, non avrebbero inciso in alcun modo sul risultato e le battaglie a cui fece riferimento non sarebbero stati i principali impegni sostenuti negli ultimi anni della guerra.
Ma il Führer voleva credere che sarebbe stato quasi sicuramente un vincente invece che un sicuro perdente e prendeva i consigli di Stefan per veri, poiché suggerivano audaci strategie solo leggermente diverse da quelle che il dittatore stesso avrebbe appoggiato. Si alzò dalla sua poltrona e cominciò a passeggiare nervosamente per la piccola stanza. «Dai primi rapporti presentati dall’istituto intuii che ci doveva essere una sorta di scorrettezza nel futuro che descrivevano. Ebbi la sensazione che non potevo aver condotto questa guerra in modo così brillante e poi all’improvviso essere ostacolato da una serie così lunga di errori. Oh, certo, questo è un momento difficile, ma non durerà. Quando scatterà la tanto attesa invasione dell’Europa da parte degli Alleati, falliranno. Noi li ricacceremo indietro in mare.» Parlò quasi in un sussurro, ma con quell’enfasi caratteristica di tante sue orazioni pubbliche. «In quell’assalto fallimentare perderanno gran parte delle loro riserve. Dovranno ritirarsi su un fronte più ampio e non saranno in grado di ricostituire le loro forze e di lanciare una nuova offensiva per molti mesi. Nel frattempo rafforzeremo il nostro dominio sull’Europa, sconfiggeremo i barbari russi e saremo più forti che mai!» Smise di passeggiare, sbattè gli occhi come se uscisse da uno stato di trance e chiese: «Sì, e che cosa mi dice dell’invasione dell’Europa? Del giorno dello sbarco in Normandia, come mi è stato detto verrà chiamato? I rapporti dall’istituto dicono che gli Alleati sbarcheranno in Normandia.»