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«Bimbo, che facevi in quel buco?» disse una delle donne sedute sui gradini quando Billy riemerse sul marciapiede.

«Crepa!» gridò mentre correva verso l'angolo della strada, seguito dalle urla delle arpie. Bambino! Aveva già diciott'anni. Anche se non era tanto alto, non era più un bambino. Quelle lì, credevano di essere padrone del mondo.

Fino a Park Avenue mantenne un passo svelto, non voleva farsi intercettare da nessuna delle ghenghe locali. Poi scese nella città bassa unendosi al lento procedere del traffico, finché raggiunse Madison Square e il suo mercato delle pulci.

Affollato, torrido, rombante di voci che martellavano gli orecchi e ributtante per i suoi cattivi odori di vecchio sudiciume, di polvere, di umanità stipata, era un lento, mobile maelstrom di gente in transito, che si fermava alle bancarelle per sfiorare col dito gli abiti usati, le stoviglie sbrecciate, gli ornamenti senza valore; che contrattava il prezzo di piccoli pesci tilapia già morti, dalla bocca spalancata, dagli occhi tondi e stralunati. Gli imbonitori vantavano le qualità delle loro merci scadenti e la gente passava, facendo largo a due poliziotti dallo sguardo duro che camminavano fianco a fianco, guardando, vedendo ogni cosa, ma senza mai scostarsi dal viale principale che tagliava la piazza in due parti e portava alla tendopoli eretta molti anni prima, “a titolo provvisorio”, con materiale residuato dell'esercito, mare di grigiore e di sporcizia.

La polizia evitava i sentieri che si inoltravano nella giungla dei carrettini a mano, delle bancarelle e dei tendoni che stipavano la piazza, mercato universale dove si poteva acquistare qualsiasi cosa, vendere qualsiasi cosa. Billy inciampò in un mendicante cieco che si era disteso per traverso fra una panca di cemento e l'instabile bancarella di un venditore d'alghe e si inoltrò nel mercato. Lui guardava la gente, non la roba da vendere e finalmente si fermò davanti a un carretto colmo di vecchi contenitori, brocche, piatti e ciotole di plastica, dal colore un tempo vivace ora scalfito o reso grigio dal tempo.

«Via le mani!» Il bastoncino picchiò sui bordi del carretto e Bill si tirò indietro.

«Io non tocco la vostra roba,» si lamentò.

«Fila, se non vuoi comperare,» disse l'uomo, un orientale dalle guance rugose e dai capelli bianchi e radi.

«Io non compero, vendo.» Billy si chinò vicino al vecchio in modo che soltanto lui potesse sentire e gli sussurrò:

«Volete delle polpette di soia e lenticchie?»

Il vecchio lo guardò di traverso.

«Refurtiva, scommetto,» disse senza entusiasmo.

«Andiamo! Le volete o no?»

Non ci fu ironia nel sorriso fugace di quell'uomo. «Naturalmente le voglio. Quante ne hai?»

«Dieci.»

«Un dollaro e mezzo l'una. Quindici D.»

«Un corno! Me le mangio io piuttosto. Trenta D tutto.»

«Non ti lasciare prendere dall'avidità, giovanotto, sappiamo entrambi quanto valgono. Venti dollari tutto e basta.» Tirò fuori due logori biglietti da dieci dollari e li tenne piegati fra le dita. «Fammi vedere cos'hai.»

Billy porse il fazzoletto rigonfio e l'uomo lo tenne sotto il carretto per guardarci dentro. «Va bene,» disse e, sempre sotto il carretto, le versò in un pezzo di carta tutto sgualcito e restituì a Billy il fazzoletto. «Questo non lo voglio.»

«I soldi, ora.»

L'uomo glieli consegnò lentamente, sorridendo, ora che la transazione era terminata. «Non vieni mai al Club di Mott Street?»

«Volete scherzare?» Billy afferrò il denaro e l'uomo lasciò la presa.

«Dovresti venire. Sei cinese, quelle polpette le hai portate a me perché sono cinese e perché sapevi di poterti fidare. Ciò dimostra che sai ragionare.»

«Ah! sentite! chiudete il becco, nonno.» Si batté il petto con il dito pollice. «Io sono di Formosa e mio padre era un generale. E di una cosa sono certo, di non avere nulla da spartire con voialtri cinesi comunisti della città bassa.»

«Pezzo di cretino…» Alzò il bastone, ma Bill era già scappato.

Le cose ora stavano per cambiare. Sicuro! Non faceva caso nemmeno al caldo. Mentre avanzava meccanicamente attraverso la folla in movimento, pensava al suo futuro e stringeva il denaro nella mano affondata nella tasca. Venti dollari erano più di quanto avesse mai posseduto in una sola volta da quando era al mondo. La maggior somma che fosse riuscito a racimolare, prima d'oggi, erano tre dollari e ottanta centesimi, somma che aveva pizzicato da un alloggio di fronte al suo nel corridoio, una volta che si erano dimenticati di chiudere la finestra. Era difficile mettere mano sui contanti, e i contanti erano la sola cosa che importasse. A casa sua non se ne vedevano mai. La tessera della Previdenza suppliva a tutto, a tutto ciò che permetteva di sopravvivere quel tanto che bastava a odiare la vita. Occorrevano soldi per andare avanti. E ora ne aveva. Era tanto tempo che pensava a quel momento.

Entrò in un'agenzia del telegrafo Western Union. Era l'agenzia di Chelsea, situata nella Nona Avenue. La ragazza dal viso smunto dietro il bancone alzò gli occhi e guardò oltre Billy, oltre la porta spalancata, posandosi sul traffico ondeggiante della strada illuminata dal sole. Si asciugò qualche goccia di sudore sulle labbra con un fazzoletto sgualcito che strofinò poi sotto il mento. Gli operatori del telegrafo chini sui loro tavoli non alzarono gli occhi. Il posto era tranquillo e si sentiva solo il rumore della città come un ronzio che entrava dalla porta aperta, o l'improvviso scatto delle telescriventi che si mettevano a trasmettere. Su una panca lungo la parete sedevano sei ragazzi che contemplavano Billy con uno sguardo pieno di curiosità ma pronta a tramutarsi in odio. Mentre si dirigeva verso l'addetto al recapito dei telegrammi, sentì che quei ragazzi strisciavano i piedi sul pavimento e facevano scricchiolare la panca. Si sforzò di non voltarsi a guardarli, mentre aspettava con simulata pazienza che l'impiegato lo notasse.

«Che vuoi, ragazzo?» disse infine il telegrafista, alzando lo sguardo e parlando con le labbra strette, come se gli spiacesse dar via qualcosa, perfino le parole. Era un uomo sui cinquant'anni, stanco, accaldato, che guardava con rabbia un mondo che pareva avergli promesso di più.

«Non avete bisogno di un fattorino, signore?»

«Vattene, abbiamo già troppi ragazzi.»

«Io avrei bisogno di lavorare, signore, lavorerei in qualsiasi momento vi occorresse. Ho i soldi per la cauzione.» Tirò fuori uno dei due biglietti da dieci dollari e lo spiegò sul banco. Lo sguardo dell'uomo vi si posò rapido e poi vagò lontano. «Abbiamo già troppi ragazzi.»

La panca scricchiolò e dei passi si avvicinarono dietro Billy; uno dei ragazzi parlò, con la voce piena di rabbia contenuta.

«Questo cinesino vi dà fastidio, signor Burgger?»

Billy ricacciò i soldi in tasca e li tenne stretti.

«Torna a sederti, Roles,» disse l'uomo. «Il regolamento lo conosci, riguardo alle liti.»

Guardò minaccioso i due ragazzi e Billy indovinò qual era la regola e sapeva che non gli sarebbe riuscito di lavorare se non prendeva subito una decisione.

«Grazie per avermi permesso di parlarvi, signor Burgger,» disse con aria innocente mentre cercava dietro di sé col tallone il piede del ragazzo e lo schiacciava con tutto il suo peso prima di voltarsi e uscire. «Non vi importunerò oltre.»