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Mentre tendeva la mano verso il volume scintillante (la ragazza sulla copertina si preparava a togliersi anche l’ultimo indumento violetto) una esplosione di fiamma rovente, ruggente e fetida, proruppe al suo fianco e annientò in un istante il mondo pigmeo della bamboletta tutta sesso. Gaspard balzò indietro, ancora stordito dal suo sogno, benché questo si fosse appena trasformato in un incubo. In tre secondi, lo splendido albero natalizio carico di libri si era trasformato in uno scheletro tremante, carico di raggrinziti frutti neri. La fiamma si spense e un frastruono di risate omicide ne sostituì il ruggito. Gaspard riconobbe un drammatico tono di contralto.

— Heloise! — gridò, incredulo.

Perché non c’era dubbio: era la sua amante, che secondo lui stava accumulando libidine a letto… I suoi lineamenti decisi erano resi convulsi da uno splendore malvagio, i suoi capelli scuri erano sciolti come quelli d’una menade, la sua figura vigorosa sembrava prorompere con esuberanza dagli abiti: e brandiva nella destra un sinistro globo nero.

Al suo fianco c’era Homer Hemingway, uno scrittore patentato dalla testa rasa, che Gaspard aveva sempre giudicato un grosso idiota anche se Heloise, in quegli ultimi tempi, aveva preso l’abitudine di ripetere le sue balorde, laconiche osservazioni. Le caratteristiche dell’abbigliamento di Homer erano un abito da cacciatore in velluto a coste e una grossa cintura da cui pendeva un’ascia. E stringeva fra le mani pelose la canna fumante d’un lanciafiamme.

Dietro di loro c’erano due robusti scrittori avventizi che indossavano maglioni a strisce e berretti blu. Uno portava il serbatoio del lanciafiamme e l’altro una specie di mitra e una bandiera con un 30 nero su fondo grigio.

— Cosa stai facendo, Heloise? — chiese debolmente Gaspard, ancora sconvolto.

La sua valchiria di passione si piantò i pugni sui fianchi.

— Gli affari miei, sonnambulo! — sogghignò. — Togliti la cera dalle orecchie! Togliti le bende dagli occhi! Apri la tua mente piccina!

— Ma perché stai bruciando i libri, cara?

— E tu chiami libri quei prodotti di mulinatura? Verme! Lombrico! Non hai mai desiderato scrivere qualcosa che fosse veramente tuo? Qualcosa di importante?

— Naturalmente no — rispose Gaspard, in tono scandalizzato. — Come potrei? Cara, non mi hai detto perché state bruciando…

— È solo un assaggio — scattò lei. — Un simbolo. — Poi l’espressione perversa ritornò nel suo sogghigno. — La distruzione più importante deve ancora venire! Andiamo Gaspard, tu puoi aiutarci. Liberati della tua idiozia e agisci da uomo!

— Aiutarvi a fare cosa? Tesoro, non mi hai ancora detto…

Homer Hemingway lo interruppe con un: — Perdiamo tempo, bambola. — E lanciò a Gaspard uno sguardo distratto e sprezzante.

Quest’ultimo l’ignorò.

— E che cos’è quella palla di ferro nero che hai in mano, Heloise? — si informò.

La domanda sembrò deliziare la sua atletica uri.

— Tu leggi molti libri, vero, Gaspard? Hai mai letto niente sul nichilismo e sui nichilisti?

— No, cara, non posso dire di aver mai letto niente.

— Bene, li leggerai, tesoruccio, li leggerai. In verità, scoprirai che cosa si prova a essere un nichilista. Dagli la tua ascia, Homer.

Di colpo, Gaspard ricordò la domanda di Zane Gort:

— State scioperando? — domandò, incredulo. — Heloise, tu non mi hai mai detto niente!

— Naturalmente no! Non potevo fidarmi di te. Hai molte debolezze… specialmente per i mulini-a-parole. Ma adesso avrai la possibilità di dimostrare ciò che vali. Prendi l’ascia di Homer.

— Senti, non potete darvi alla violenza — protestò subito Gaspard. — Il Viale è pieno di robot.

— Non ci daranno fastidio, amico — affermò enigmatico Homer Hemingway. — Li abbiamo sistemati, quegli straccioni di latta. Se è questo che ti preoccupa, amico, puoi prendere un’ascia e fracassare personalmente qualche mulino-a-parole.

— Fracassare i mulini-a-parole? — boccheggiò Gaspard, con il tono che avrebbe usato per dire “Uccidere il Papa?”, “Avvelenare il Lago Michigan?” o “Fare esplodere il sole?”.

— Sì, fracassare i mulini-a-parole! — scattò la sua adorabile divoratrice d’uomini. — Presto, Gaspard, scegli! Sei un vero scrittore o un pidocchio? Sei un eroe o una marionetta degli editori?

Un’espressione decisa apparve sul viso di Gaspard.

— Heloise — disse con fermezza, avvicinandosi a lei — tu verrai immediatamente a casa con me.

Una grossa zampa pelosa lo fermò e lo mise a sedere sul pavimento gommato della strada.

— La signora andrà a casa quando ne avrà voglia, amico — disse Homer Hemingway. — Con me.

Gaspard balzò in piedi e sferrò un pugno al gigante, ma fu respinto con una calma pacca al petto che lo fece boccheggiare.

— E dici di essere uno scrittore, amico? — domandò Homer, in tono dubbioso, mentre sferrava a sua volta il pugno che, un secondo più tardi, doveva far perdere la conoscenza a Gaspard. — Eh, non ti sei nemmeno tenuto in allenamento!

3

Splendenti negli abiti uguali color turchese con i bottoni di opale, padre e figlio stavano ritti, con aria compiacente, davanti al mulino-a-parole di Gaspard. Non si era presentato un solo scrittore del turno di giorno. Joe la Guardia dormiva in piedi vicino all’orologio. Gli altri visitatori si erano allontanati. Un robot rosa era apparso all’improvviso e si era seduto quietamente su uno sgabello, all’estremità della grande sala a volta. Le sue chele si muovevano in fretta, come se lavorasse a maglia.

PADRE: Ecco qua, figliolo. Guardalo. No, no, non devi appoggiarti a questo modo.

FIGLIO: È grande papà.

PADRE: SÌ, è grande. È un mulino-a-parole, figlio, una macchina che scrive libri di narrativa.

FIGLIO: Scrive anche i miei libri di racconti?

PADRE: No, scrive romanzi per adulti. Una macchina molto più piccola, di misura adatta ai bambini, scrive i tuoi…

FIGLIO: Andiamo papà.

PADRE: No, figliolo! Volevi vedere un mulino-a-parole, hai insistito tanto, ho dovuto faticare molto per procurarmi un lasciapassare, quindi adesso devi guardare questo mulino-a-parole e ascoltare mentre io ti spiego come funziona.

FIGLIO: Sì, papà.

PADRE: Bene, vediamo, è così… No… è come…

FIGLIO: È un robot, papà?

PADRE: No, non è un robot come l’elettricista o il tuo insegnante. Un mulino-a-parole non è una persona come lo è un robot, sebbene entrambi siano fatti di metallo e funzionino grazie all’elettricità. Un mulino-a-parole è come un calcolatore elettronico, ma manipola le parole, non i numeri. È come la grande macchina che gioca a scacchi o che fa i piani di guerra, ma fa le sue mosse in un romanzo invece che su una scacchiera o su un campo di battaglia. Ma un mulino-a-parole non è vivo come un robot e non può muoversi e andare in giro. Può soltanto scrivere libri di narrativa.

FIGLIO (sferrando un calcio al mulino-a-parole): Stupida vecchia macchina!

PADRE: Non devi fare così, figliolo. Su ecco… vi sono infiniti modi di raccontare una vicenda.

FIGLIO (continuando a sferrare calci più fiacchi): Sì, papà.

PADRE: Il modo dipende dalle parole che vengono scelte. Ma una volta che è stata scelta una parola, le altre devono adattarsi a quella. Devono avere lo stesso tono o la stessa atmosfera e devono adattarsi alla catena di suspense con precisione micrometrica… te lo spiegherò più tardi.

FIGLIO: Sì, papà.

PADRE: Un mulino-a-parole viene fornito dello schema generale d’una vicenda che viene trasmessa al suo grande banco-memoria, molto più grande perfino di quello di tuo padre: e sceglie la prima parola a casaccio. Oppure il programmatore gli dà la prima parola. Ma quando sceglie la seconda parola, deve sceglierne una che abbia la stessa atmosfera, e così via. Basta fornire lo stesso schema di vicenda e cento prime parole diverse (una alla volta, naturalmente) e il mulino-a-parole scriverà cento romanzi completamente diversi. Naturalmente è molto più complicato, troppo complicato perché tu capisca, ma funziona così.