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— Naturalmente, posso capire perché i miei colleghi siano diventati apoplettici sentendo quello che diceva la signorina Blushes — proseguì Gaspard. — “Amate gli adorabili editori” — ripeté, canticchiando.

— Anch’io posso ridere della indiscriminata ipersensibilità dei censori — disse Zane, un po’ impettito. — Ma non ti pare, Gaspard, che la razza umana, negli ultimi duecento anni, si sia attaccata troppo alla volgarità e a poche inequivocabili parole che alludono ad attività genito-escretorie? Come ho fatto dire al mio dottor Tungsteno, quando la sua robicchia dorata sogna di diventare un essere umano, “Gli esseri umani non sono come tu li idealizzi, Blanda. Gli umani sono uccisori di sogni. Prendono le bollicine della schiuma di sapone, Blanda, e le chiamano detergente. Guardano il chiaro di luna senza romanticismo e lo chiamano sesso”. Ma adesso basta con queste discussioni socio-letterarie. Devo procurare un po’ di elettricità alla signorina Blushes, ed è evidente che su tutto il Viale del Lettorato la corrente è stata tagliata.

— Scusami, — disse Gaspard, — ma non potresti passarle un po’ di energia delle tue batterie?

— Lei potrebbe fraintendere le mie intenzioni — rispose il robot in tono di lieve riprovazione. — Naturalmente potrei farlo, ma la situazione non è ancora disperata. Non soffre. Ho regolato i suoi comandi perché rimanga in una trance profonda. Tuttavia…

— E l’Editrice Razzi? — suggerì Gaspard. — Gli uffici editoriali sono riforniti da un’altra rete. Heloise crede che io sia un tirapiedi degli editori, quindi tanto vale che mi comporti da tirapiedi per davvero e corra dai miei editori.

— Un’ottima idea — rispose il robot, voltando a destra al primo crocicchio e allungando il passo, in modo che Gaspard fu costretto a trottare per seguirlo. Trotterellò con leggerezza, per non dare scossoni alla signorina Blushes. Distesa fra loro, assolutamente immobile, con quelle bruciature alle ginocchia e alle cosce, la robicchia sembrava, agli occhi inesperti di Gaspard, pronta per finire in un mucchio di ferrivecchi.

— In ogni caso — disse — voglio vedere Flaxman e Cullingham. Ho una faccenda da discutere con loro. Voglio sapere perché non hanno cercato di proteggere i loro mulini-a-parole in modo più efficiente, invece di limitarsi ad assoldare un mucchio di guardie di latta del tutto (scusami, Zane) infide. Non è da loro venire meno in questo modo al dovere verso i loro volumetti tascabili.

— Anch’io ho questioni delicate da discutere con i nostri illustri datori di lavoro — disse Zane. — Gaspard, Vecchio Osso, oggi mi sei stato molto utile, ben più di quanto sia il normale dovere di una razza empatica e intelligente verso un’altra che le è affine. Vorrei esprimerti la mia gratitudine in modo più concreto che con le parole. Non ho potuto fare a meno di ascoltare il crudo linguaggio della tua vigorosa e disamorata amica. Ora, questa è una faccenda delicata e non voglio correre il rischio di essere offensivo, ma, Gaspard, Vecchio Corpuscolo, non è assolutamente vero ciò che la signorina Ibsen ha detto, e cioè che i robot siano assolutamente incapaci di offrire certi servizi molto intimi ai maschi umani. Per san Wuppertal, no! Non mi riferisco esattamente alle nostre robicchie e certamente non alla signorina Blushes… perisca tale pensiero, e io preferirei tuffarmi in un bagno d’acido piuttosto di averti indotto a credere a questo! Ma se mai dovessi provare l’impulso e fossi momentaneamente privo dei mezzi per soddisfarlo, e se volessi provare uno sbalorditivo simulacro di umano piacere, una stupefacente e folle amabilità femminile in assoluto, io posso darti l’indirizzo della casa di madame Pneumo, un…

— Zitto, Zane — fece secco Gaspard. — È un aspetto della mia vita di cui posso occuparmi da solo.

— Ne sono sicuro — disse cordialmente Zane. — Vorrei che tutti noi potessimo vantarci della stessa cosa. Scusami, Vecchio Muscolo, ma forse ho toccato inavvertitamente un punto de…

— Sì, — fece brevemente Gaspard. — Ma non importa… — Esitò, poi sogghignò e aggiunse: — Vecchio Bullone!

— Scusami ti prego — disse sottovoce Zane. — Qualche volta mi lascio trasportare dall’entusiasmo per le straordinarie capacità dei miei colleghi metallici e commetto qualche indelicatezza. Sono un po’ robocentrico, temo. Ma sono veramente fortunato perché tu hai reagito con tanta mitezza alla mia offesa. Homer Hemingway mi avrebbe chiamato mezzano di latta.

6

Quando l’ultimo direttore editoriale della Harper fu crivellato di colpi, l’ultimo Antologizzatore della Viking ridotto a un guscio annerito coperto di manifesti, gli scrittori esaltati dalla vittoria ritornarono alle varie caserme da Bohème, ai loro Quartieri Latini e Francesi, ai loro Bloomsbury e Greenwich Village e North Beach, e sedettero in cerchio, felici, ad aspettare l’ispirazione.

L’ispirazione non venne.

I minuti divennero ore, le ore giorni. Interi barili di caffè vennero preparati e bevuti, montagne di mozziconi di sigarette si accumularono sui pavimenti smaltati di nero delle soffitte, dei solai e degli attici garantiti dagli archeologi come perfetti duplicati delle abitazioni degli antichi scrittori. Ma non servì a nulla, la grande epica del futuro e perfino le umili, quotidiane storie del sesso e le saghe spaziali rifiutarono di farsi vive.

A questo punto molti scrittori, ancora seduti in cerchio ma ormai infelici, si presero per mano nella speranza di concentrare l’energia psichica e di accrescere la creatività, o forse addirittura di mettersi in contatto con gli spiriti degli autori morti da molto tempo, che avrebbero dovuto fornirli gentilmente di trame assolutamente inutili nell’aldilà.

Sulla base di misteriose tradizioni filtrate dai lontani giorni oscuri in cui gli scrittori scrivevano veramente, quasi tutti credevano che scrivere fosse una lavoro di squadra, in cui otto o dieci amici, dotati di una certa congenialità, si stendevano in ambienti lussuosi bevendo cocktail e “prendendo a calci le idee” (qualunque cosa significasse quella frase) e ogni tanto venivano rinfrescati dalle premure di bellissime segretarie, fino a che i romanzi e i racconti saltavano fuori: un’immagine che rendeva lo scrivere una specie di partita di calcetto interrotta da periodi di riposo in camera da letto e conclusa da un miracolo.

Oppure, credevano che scrivere dipendesse da un “collegamento con la mente inconscia”, una versione del processo che lo rendeva affine alla psicanalisi e alla trivellazione dei pozzi petroliferi (alla ricerca dell’oro nero dell’id!) e che destava la speranza di sostituire la capacità creativa con una percezione extrasensoria o qualche altra forma di ginnastica psionica.

In ogni caso, stringersi le mani in cerchio sembrò una buona trovata, che avrebbe potuto fornire la necessaria unione e, nello stesso tempo, favorire l’apparizione delle cupe forze psichiche. E di conseguenza fu praticato largamente.

Eppure le idee non venivano.

Il fatto era che nessuno scrittore professionista poteva immaginare come si cominciasse un’opera se non premendo il pulsante d’avvio di un mulino-a-parole; e, per quanto potesse essere meraviglioso, l’uomo dell’Età dello Spazio non era ancora riuscito a farsi germogliare addosso i pulsanti. Poteva solo digrignare i denti per l’invidia nei confronti dei robot, che in quanto a questo erano molto più progrediti.

Molti scrittori scoprirono di non essere assolutamente in grado di disporre le parole sulla carta, in un ordine qualsiasi, o addirittura di non essere in grado di scrivere parole. In una grande epoca di istruzione pittoriale-auditiva-cinestetica-tattile-gustatoria-olfattiva-ipnotica-psionica, non avevano frequentato le speciali lezioni in cui si insegnava quell’arte piuttosto arcaica. Quasi tutti quegli analfabeti si procurarono fonoscriventi, comode macchine che traducevano la parola detta in parola scritta, ma anche con questo aiuto una notevole minoranza dovette rendersi amaramente conto che la propria padronanza del linguaggio parlato non andava molto oltre al Basico Semplificato o al Dialetto Solare. Potevano bere il ricco laudano purpureo della sapiente mescolanza delle parole, ma non potevano più crearlo dentro di sé, più di quanto potessero produrre miele o seta da ragnatela.