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Più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l'allarme:

— Professore, faccia attenzione: sul violino c'è un moscone.

Pero Pera interrompeva il concerto e con l'archetto dava la caccia al moscone. Qualche volta un bacherozzo riusciva a introdursi nel violino e vi scavava delle lunghe gallerie: così lo strumento era rovinato, e il professore doveva procurarsene un altro.

Poi venne Pirro Porro, che faceva l'ortolano: aveva un gran ciuffo sulla fronte e un paio di baffi che non finivano mai.

— Questi baffi, — raccontò Pirro Porro a Cipollino, — sono la mia disperazione. Quando mia moglie deve stendere il bucato ad asciugare, mi fa sedere sul balcone, attacca i miei baffi a due chiodi, uno a destra e uno a sinistra, e ci appende i panni. E a me tocca starmene tutto il tempo al sole, fin che siano asciutti. Guarda i segni delle mollette.

Difatti sui baffi, a distanze regolari, si vedevano i segni delle mollette.

Venne anche una famiglia di Millepiedi forestieri, cioè il padre e due figli, che si chiamavano Centozampine e Centogambette e non stavano mai fermi un minuto.

— Sono sempre così vivaci? — domandò Cipollino.

— Cosa dici mai? — fece il Millepiedi. — Adesso sono due angeli. Li dovresti vedere quando mia moglie gli fa il bagno: gli lava le gambe davanti e loro si sporcano quelle di dietro, gli lava quelle di dietro e loro si sporcano davanti. Non finisce mai e ogni volta ci vuole una cassa di sapone.

Mastro Uvetta domandò:

— E così, gli prendiamo la misura per le scarpe, ai piccolini?

— Per l'amor del cielo: duemila paia di scarpe! Dovrei lavorare tutta la vita per pagare il debito.

— Io, poi, — aggiunse Mastro Uvetta, — non avrei abbastanza cuoio in tutta la bottega.

Date un'occhiata a quelle più rotte, e vedremo di cambiare almeno quelle.

Centozampine e Centogambette si sforzarono volenterosanicnte di tener fermi i piedi mentre Mastro Uvetta e Cipollino esaminavano suole e tomaie.

— Ecco, a questo bisognerebbe cambiare le prime due paia e il paio numero trecento.

— Oh, quello può andare ancora, — si affrettò a dire babbo Millepiedi, — basterà rimettere i tacchi.

— A quest'altro bisogna cambiare le dieci scarpe in fondo alla fila di destra.

— Glielo dico sempre di non strisciare i piedi. I bambini camminano, forse? Macché: saltano, ballano, strisciano. Ed ecco il risultato: tutta la fila delle scarpe di destra si consuma prima della fila di sinistra.

Mastro Uvetta sospirava:

— Eh, avere due piedi o mille è lo stesso, per i bambini. Sarebbero capaci di rompere mille paia di scarpe con un piede solo.

Infine la famiglia Millepiedi se ne andò zampettando: Centozampine e Centogambette scivolarono via meglio che se avessero le ruote. Babbo Millepiedi invece era un po' meno veloce: infatti era un po' zoppo. Ma mica tanto, poi: era zoppo solo da centodiciassette zampe…

Capitolo IV

Il terribile cane Mastino è preso per sete da Cipollino

E la casa del sor Zucchina? Andò a finire che una brutta mattina il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da quattro cetrioli; ma stavolta era accompagnato da una dozzina di guardie. Senza tanti complimenti il sor Zucchina fu fatto sgomberare e nella sua casetta fu messo un terribile cagnaccio, di nome Mastino.

— Così, — esclamò Pomodoro guardandosi attorno con aria di minaccia, — i monelli del paese impareranno a portarmi rispetto, a cominciare da quel monello forestiero che Mastro Uvetta si è preso in casa.

— Bene, bene, — approvò Mastino.

— Quanto a quel vecchio scimunito di Zucchina, imparerà ad opporsi ai miei ordini. Se vuole una casa, c'è un posto per lui in prigione. Là dentro c'è posto per tutti.

— Bene, bene, — approvò di nuovo Mastino.

Mastro Uvetta e Cipollino, sulla soglia della bottega, assistettero a quella scena senza poter muovere un dito. Zucchina si sedette tristemente su un paracarro a lisciarsi la barba. E ogni volta che se la lisciava gli restava in mano un pelo. Così decise di non toccarsi più la barba per non consumarla. Se ne stava seduto sul paracarro zitto zitto, e sospirava, perché avrete già capito che Zucchina aveva una grande riserva di sospiri.

Pomodoro rimontò in carrozza. Mastino si mise sull'attenti e gli presentò la coda.

— Tu, fai buona guardia, — comandò il Cavaliere. — Diede una frustata ai quattro cetrioli e la carrozza ripartì.

Era una bella giornata d'estate, molto calda. Mastino passeggiò per un po' davanti alla casetta, in su e in giù, dimenando la coda per darsi delle arie. Poi cominciò a sudare e pensò che gli avrebbe fatto piacere un bicchiere di birra. Si guardò attorno per vedere se c'era qualche monello da mandare all'osteria a prendere la birra, ma monelli non se ne vedevano. C'era Cipollino sulla soglia della bottega di Mastro Uvetta che tirava lo spago, ma, chissà perché, da quella parte Mastino sentiva un odore sospetto. Decise di non dirgli nulla.

Il caldo aumentava col salir del sole, e col caldo la sete.

— Chissà cos'ho mangiato, questa mattina, — borbottava Mastino. — Che mi abbiano messo troppo sale nella zuppa? Mi sembra di avere il fuoco in gola e ho la lingua di cemento armato.

Cipollino si fece sulla porta a dare un'occhiata.

— Ehi! — guaì Mastino con un fil di voce.

— Dite a me?

— Sì, dico a voi, giovanotto. Mi andreste a prendere una aranciata?

— Ci andrei volentieri, signor Mastino, ma giusto adesso il mio padrone mi ha dato questa scarpa da risuolare e non ho tempo.

E rientrò senz'altro nella bottega.

— Che maleducato! — brontolò il cane, scuotendo con rabbia la catena che gli impediva di fare senz'altro una scappata all'osteria.

Dopo un poco, Cipollino si affacciò di nuovo.

— Signorino, — mormorò Mastino, — mi portereste un bicchiere d'acqua?

— Io sì che ve lo porterei, — rispose pronto Cipollino, — ma giusto adesso il mio padrone mi ha comandato di rimettere i tacchi a un paio di scarpe del barbiere.

Verso le tre del pomeriggio il sole scottava tanto che perfino i sassi sudavano. Il Mastino non ne poteva più. Allora Cipollino riempì d'acqua una bottiglia e ci versò una polverina bianca che la moglie di Mastro Uvetta usava per addormentarsi la sera. Difatti la povera donna era tanto nervosa che senza quella polverina non le riusciva di dormire.

Cipollino mise il pollice sulla bocca della bottiglia e poi, portandosela alle labbra, finse di bere.

— Ah! — esclamò poi lisciandosi la gola, — quant'è fresca!

Il Mastino inghiottì un litro di acquolina e per un momento gli parve di star bene.

— Signor Cipollino, — disse poi, — è molto buona quell'acqua?

— Buona? Dite pure che è meglio del rosolio.

— E non ci sono microbi?

— Macché, è acqua purissima, distillata da un professore dell'università di Barberino.

E così dicendo si portò di nuovo la bottiglia alla bocca e finse di inghiottirne un paio di sorsate.

— Signor Cipollino, — fece il Mastino, — com'è che la bottiglia resta sempre piena?

— Dovete sapere, — rispose Cipollino, — che questo è un regalo del mio povero nonno. E' una bottiglia che non si vuota mai.

— Me ne dareste una sorsatina? Tanto come un cucchiaio mi basterebbe.

— Una sorsatina? Ma io ve ne dò una mezza dozzina di bottiglie! — rispose Cipollino.

Figuratevi la gioia di Mastino: non la finiva più di ringraziare il ragazzo, gli leccava le ginocchia dimenando la coda come non avrebbe fatto nemmeno per le sue padrone, le Contesse del Ciliegio. Cipollino gli porse la bottiglia. Il cane se l'attaccò alle labbra e bevve, la bevve tutta fino in fondo con una sola sorsata e stava per dire: