— Ah, bene — sospirò infine, — questo dannato pasticcio è proprio come una partita di Gwiddbwcl, Vostra Grazia. Loro hanno Camdel… il loro alfiere… e stanno cercando di toglierlo dalla scacchiera mentre noi piazziamo i nostri uomini per fermarli. Sfortunatamente, non so se la prossima mossa spetti a noi o a loro. Jill, vieni a scambiare due chiacchiere in privato con me: voglio sapere nei dettagli tutto quello che è successo nei giorni che hai trascorso da sola e non c’è bisogno di annoiare Sua Grazia e Rhodry con queste cose.
Obbediente, la ragazza si alzò in piedi, guardandolo con la disperata speranza di essere tenuta al sicuro, e nel profondo del suo cuore Nevyn si augurò di esserne capace.
Mentre la porta della camera si richiudeva alle spalle di Jill e di Nevyn, Blaen vuotò il boccale di sidro in un lungo sorso e Rhodry fece altrettanto con il suo; per un momento i due cugini si fissarono a vicenda con una comprensione assoluta che non aveva bisogno di parole… Rhodry sapeva benissimo che erano entrambi terrorizzati. Dopo un po’, Blaen sospirò.
— Sei sporco, daga d’argento. Ordinerò ai paggi di prepararti un bagno… e già che ci siamo mi andrebbe proprio dell’altro sidro.
— Hai già bevuto abbastanza per oggi pomeriggio.
Per un momento, Blaen parve infuriarsi, poi scrollò le spalle.
— È vero. Andiamo a provvedere per il tuo bagno.
Mentre Rhodry si lavava nell’elegante camera che avrebbe diviso con Jill, suo cugino si sedette sul bordo del letto e gli porse il sapone come un paggio; immerso nella vasca di legno, Rhodry si sfregò vigorosamente con esso e desiderò di poter lavare via tutti quei discorsi di dweomer con la stessa facilità con cui si stava liberando della polvere accumulata lungo la strada.
— Stai pensando che ho gusti dannatamente strani in fatto di donne? — chiese infine a Blaen.
— Li hai sempre avuti, ma d’altro canto Gilyan si adatta perfettamente a te e al genere di vita che stai conducendo. Ah, per gli dèi, mi duole il cuore nel vedere quella daga d’argento alla tua cintura.
— Sempre meglio che morire di fame sulle strade. Non c’erano molte altre cose che potessi fare.
— Hai ragione. L’ultima volta che sono stato a corte ho parlato con tua madre, che mi ha chiesto di insistere con Rhys perché ti richiamasse… ma lui non ha voluto sentire da me una sola dannata parola.
— Non sprecare altro fiato. Ha sempre voluto liberarsi di me e come un idiota io gli ho fornito l’occasione che cercava.
Nel parlare Rhodry uscì dalla tinozza e prese l’asciugamano che Blaen gli porgeva.
— Io non ho un’alleanza formale con Aberwyn — osservò il gwerbret, — e se vuoi ti posso offrire un posto qui presso di me. Potresti sposare la tua Jill ed essere il mio consigliere personale o qualcosa del genere. Anche ammesso che la cosa non gli vada a genio, che potrebbe fare Rhys? È troppo lontano per avviare una guerra contro di me.
— Ti ringrazio, ma quando ho accettato questa daga ho giurato di portarla con onore. Posso essere un esule, ma che io sia dannato se arriverò anche ad infrangere la mia parola.
Blaen inarcò un sopraccìglio con aria fra il divertito e l’incredulo.
— Ah, dannazione — sospirò Rhodry. — La verità è che credo sarebbe peggio vivere della tua carità, vedendo i tuoi onorati ospiti che sogghignano del fratello disonorato del Gwerbret di Aberwyn. Preferisco percorrere la lunga strada che questo.
— Anch’io la penserei così — ammise Blaen, porgendogli i calzoni. — Ma, per il nero posteriore del Signore dell’Inferno, tu sarai sempre il benvenuto qui.
Rhodry non replicò, per il timore di scoppiare in pianto e di coprirsi di vergogna. Mentre lui si rivestiva, Blaen estrasse la daga d’argento dal fodero e prese a giocherellarvi, soppesandola e provandone il filo con il pollice.
— È dannatamente affilata — commentò.
— Disonorata o meno, è la migliore daga che abbia mai avuto. Non ho la più pallida idea di come i fabbri ne ottengano il metallo, ma so che non scurisce mai.
Blaen scagliò la daga contro la legna da ardere accatastata in un angolo e la lama sibilò diritta verso il bersaglio, conficcandovisi in profondità:
— Un’arma eccellente, non ci sono dubbi. Bene, tutti sanno che una daga d’argento porta con sé la vergogna, ma non avevo idea che portasse con sé anche il dweomer.
Pur sapendo che suo cugino stava soltanto scherzando, Rhodry sentì nella propria mente scattare qualcosa in risposta a quell’osservazione. In effetti era strano, ora che indugiava a rifletterci sopra, che dapprima il dweomer gli avesse arrecato la daga d’argento e che poi la sua prima estate sulla lunga strada lo avesse a sua volta condotto al dweomer.
— C’è qualcosa che non va? — domandò Blaen.
— Nulla, davvero — garantì Rhodry.
E tuttavia sentì che il suo Wyrd lo stava chiamando, come un fischio sulle ali del vento.
Pur essendo passato parecchie volte da Dun Deverry, Salamander vi si era fermato di rado perché un gerthddyn incontrava troppa competizione nelle strade affollate della capitale, che a quell’epoca era costituita da un labirinto di vie a spirale che si allargavano intorno a metà del perimetro del Loc Gwerconnedd. Dun Deverry, che era la più grande città del regno, ospitava all’interno delle sue mura circa trecentomila abitanti, che richiedevano tutti forme d’intrattenimento più sofisticate di qualche semplice trucco con alcune sciarpe colorate. Nei molti parchi e nelle piazze che punteggiavano l’abitato era facile trovare gerthddynion e acrobati, menestrelli del Bardek, intrattenitori che disponevano di orsi ammaestrati, giocolieri e bardi girovaghi, tutti impegnati seriamente per indurre i passanti a separarsi dal loro denaro. In quella confusione, d’altro canto, nessuno avrebbe notato un altro gerthddyn, anche se questi avesse di tanto in tanto posto qualche domanda in merito al commercio dell’oppio.
Dal momento che stava cercando di evitare di attirare l’attenzione, Salamander aveva attuato un compromesso rispetto ai suoi consueti standard di vita e si era stabilito in una locanda di livello medio, nella parte vecchia della città che sorgeva lungo l’Aver Lugh, un distretto di piccoli artigiani e di rispettabili bottegai. Il Fascio di Grano offriva anche il vantaggio di ospitare gran parte degli intrattenitori girovaghi, cosa che rendeva possibile sentire i più disparati pettegolezzi. Non che fosse difficile raccogliere pettegolezzi sul conto di Lord Camdel e del suo crimine, considerato che anche ad alcune settimane di distanza dal furto la città ne era ancora piena.
— Dicono che il re abbia inviato messaggeri ad ogni gwerbret del regno — commentò quel pomeriggio Elic, il locandiere. — Quello che vorrei proprio sapere è come può fare un uomo a sgusciare in questo modo in mezzo a tante bande da guerra.
— Potrebbe essere morto — replicò Salamander. — Una volta che la notizia si è diffusa, ogni ladro del regno avrà probabilmente cominciato a tenere gli occhi aperti nella speranza di intercettarlo.
— Hai ragione — rifletté Elic, mordicchiandosi i lunghi baffi, — in effetti potrebbe essere morto.
Al Fascio di Grano c’era un cliente che se ne stava in disparte per la semplice ragione che era originario del Bardek e parlava assai poco la lingua di Deverry. Enopo era un giovane di circa venticinque anni, scuro di pelle e con il volto privo di decorazioni, il che significava che la sua famiglia lo aveva allontanato dalla casa e dal clan per qualche ragione; adesso lui vagabondava per le strade di Deverry con un wela-wela, un complesso strumento musicale del Bardek che si teneva in grembo e che aveva una trentina di corde da pizzicare e toccare con una penna d’oca. Dal momento che conosceva bene la lingua del Bardek, Salamander si era coltivato l’amicizia di quel menestrello, che aveva manifestato una contentezza quasi patetica nel trovare qualcuno che parlasse la sua lingua natale. Alla fine delle loro giornate di esibizioni i due s’incontravano nella taverna per confrontare i rispettivi guadagni e lamentarsi per la tirchieria degli abitanti della città più ricca del regno.